Il farmaco di Genzyme, sviluppato in accordo con Bayer, sembra ridurre di più i tassi di recidiva e l’accumulo della disabilità

Per chi è affetto da Sclerosi Multipla recidivante remittente la paura costante è sempre quella di un nuovo ‘attacco’ che porti effetti irreversibili, con nuove disabilità che si cumulano le une alle altre. Per questo oggi, oltre a cercare terapie definitive, si studiano farmaci che siano in grado di ridurre il numero e la gravità delle recidive e che siano sempre più tollerabili. I farmaci già approvati sono diversi e altrettanti sono quelli in studio, uno di questi è alemtuzumab, un anticorpo monoclonale di Genzyme, società del Gruppo Sanofi. Proprio ieri, riguardo a questo farmaco, sono usciti sul Lancet on line i risultati di due studi randomizzati di fase III – chiamati CARE-MS I e CARE-MS II (Comparison of Alemtuzumab and Rebif® Efficacy in Multiple Sclerosis) – che comparano gli effetti di questo farmaco sperimentale con quelli di un farmaco usato come trattamento standard, il Rebif di Merk Serono. Stando ai risultati dei due studi alemtuzumab sembra essere significativamente superiore al Rebif sia in termini di riduzione delle recidive e di rallentamento dell’accumulo di nuove disabilità.

"Vi è un’enorme esigenza, non soddisfatta, di trattamenti che contrastino la progressione della disabilità che può colpire le persone che vivono con la sclerosi multipla.– dichiara il dottor David Meeker, presidente e CEO di Genzyme - Confrontando, alemtuzumab esclusivamente con un trattamento approvato in tutti gli studi, Genzyme ha definito un nuovo standard. La pubblicazione di queste scoperte su The Lancet evidenzia l'importanza di questi risultati per la comunità della SM".   
"L'efficacia osservata in questi e in precedenti studi clinici, indica come alemtuzumab possa potenzualmente divenire una terapia innovativa nel panorama delle opzioni terapeutiche per la SM attualmente disponibili, una volta che sarà stato completato il processo di approvazione regolatoria", ha commentato il Prof. Alastair Compston, Presidente dello Steering Committee dello studio, autore principale di entrambe le pubblicazioni e Professore di Neurologia all’Università di Cambridge, UK.
In entrambi gli studi, infatti, alemtuzumab è stato significativamente superiore a Rebif nella riduzione delle recidive.    

ECCO ALCUNI DATI

Nello studio CARE-MS I, il 78 per cento dei pazienti trattati con alemtuzumab non ha avuto recidive  per due anni, fornendo un miglioramento statisticamente significativo rispetto a Rebif (77,6 contro 58,7 per cento). Nella sperimentazione CARE-MS II, il 65 per cento dei pazienti trattati con alemtuzumab non ha presentato  recidive  nei  due anni, rispetto al 47 per cento dei soggetti trattati con Rebif.  Inoltre, in CARE-MS II, alemtuzumab ha ridotto il tasso di recidiva in misura molto maggiore rispetto a Rebif in tutti i sottogruppi definiti dalla terapia precedente, compresi pazienti: trattati o non trattati con interferone e trattati in precedenza con Rebif o Copaxone® (iniezione di glatiramer acetato).
I dati degli studi hanno mostrato anche un forte beneficio clinico in termini di riduzione del 42 per cent del rischio di accumulo sostenuto di disabilità in pazienti trattati con alemtuzumab nel CARE-MS II rispetto a Rebif, con un miglioramento significativo nei punteggi della scala che suggeriva in alcuni pazienti una regressione della disabilità preesistente. Nella sperimentazione, il punteggio medio di disabilità per pazienti trattati con alemtuzumab è diminuito in un periodo di due anni, indicando un miglioramento nella loro disabilità fisica, mentre il punteggio medio per i pazienti trattati con Rebif è aumentato, indicando un peggioramento.   
LA SPERIMENTAZIONE ANCHE ALL'OSPEDALE S.ANDREA DI ROMA
“Come abbiamo potuto verificare nella nostra esperienza al S. Andrea, avendo partecipato al CARE-MS II, i risultati sull’efficacia di alemtuzumab confrontato in questi studi direttamente con interferone beta-1a ad alte dosi, sono molto promettenti - ha dichiarato il Prof Carlo Pozzilli, Ordinario di Neurologia della Sapienza, Università di Roma e Responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell'Azienda Ospedaliera S. Andrea di Roma - In particolare, il rallentamento dell’accumulo di disabilità mostra quale potenziale abbia alemtuzumab nell’offrire ai pazienti con sclerosi multipla una nuova opzione terapeutica altamente efficace e con un regime di somministrazione unico ed innovativo".

 

SICUREZZA E POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI
Per quanto riguarda invece la sicurezza del trattamento i risultati emersi sono sovrapponibili, con effetti avversi legati soprattutto all’infusione. Nei pazienti sottoposti al trattamento con alemtuzumab però sono stati più frequenti gli effetti di tipo autoimmune, una possibilità che era già nota.  Circa l'1 per cento dei pazienti trattati con alemtuzumab in ogni studio ha sviluppato una porpora trombocitopenica idiopatica  (ITP) nel periodo di due anni dello studio mentre non sono stati riferiti casi di malattia anti-GBM. La percentuale di casi di neoplasie maligne nei pazienti trattati con alemtuzumab è risultata  inferiore all’ 1 per cento. Il profilo di sicurezza complessivo è stato simile per i gruppi trattati con alemtuzumab 12 mg e con alemtuzumab 24 mg.  Comunque, visto che era nota la possibilità di malattie autoimmuni in risposta al farmaco sperimentale questi casi sono stati individuati precocemente grazie a un programma di monitoraggio e gestite ricorrendo a terapie tradizionali. Il monitoraggio dei pazienti per le malattie autoimmuni è incluso in tutte le sperimentazioni su alemtuzumab supportate da Genzyme per il trattamento sperimentale della SM.
Alemtuzumab non è ancora stato approvato per il trattamento della SM e pertanto non deve essere utilizzato al di fuori di una sperimentazione clinica formale e regolamentata, in cui siano state  adottate adeguate misure di monitoraggio dei pazienti con SM.

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