Le ultime incoraggianti novità vengono da uno studio preclinico condotto dai ricercatori americani del Massachusetts Institute of Technology
Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che pregiudica la naturale capacità dell'organismo di mantenere il controllo dei livelli di zucchero nel sangue. Le persone che soffrono di questo disturbo sono costrette a monitorare costantemente la concentrazione sanguigna di glucosio (glicemia) e a sottoporsi a frequenti iniezioni di insulina per regolarizzare il proprio tasso glicemico. Allo scopo di poter fornire ai pazienti diabetici un'alternativa terapeutica in grado di migliorare la loro qualità di vita, la comunità scientifica internazionale è da tempo impegnata nello sviluppo di un trattamento a lungo termine basato sul trapianto di cellule pancreatiche.
Il diabete mellito di tipo 1 (DMT1) è provocato da un attacco del sistema immunitario che comporta la distruzione delle cosiddette 'cellule beta' del pancreas. Questa particolare tipologia di cellule è organizzata in strutture complesse, denominate 'isole di Langerhans', che si trovano nel parenchima pancreatico e che, attraverso la secrezione di ormoni come l'insulina, sono deputate al controllo del tasso glicemico sanguigno.
A partire dagli anni '80, lo standard di cura per le persone affette da DMT1 è rappresentato dalla terapia insulinica, ossia da una continua somministrazione di insulina esogena tramite iniezioni. Pur essendo efficace, un simile trattamento implica necessariamente un grande sacrificio e un costante impegno da parte del paziente. Inoltre, a causa della difficoltà di raggiungere un preciso controllo dei livelli di glucosio nel sangue, la terapia insulinica, oltre a comportare effetti collaterali come gravi episodi ipoglicemici, non è sempre in grado di proteggere i pazienti dalle conseguenze a lungo termine della malattia.
Per poter migliorare il trattamento del diabete mellito di tipo 1, la ricerca scientifica si è focalizzata sull'innesto di cellule pancreatiche sane che, assumendo il controllo del glucosio e il rilascio di insulina, riescano a ripristinare il tasso glicemico dei pazienti. Il trapianto di pancreas o di isole di Langerhans è un tipo di approccio che viene già utilizzato in centinaia di casi, ma che presenta le tipiche problematiche relative all'impianto di tessuti ricavati da donatore. L'inconveniente principale è rappresentato dal fatto che, per contrastare un eventuale fenomeno di rigetto, i pazienti trapiantati sono obbligati ad assumere farmaci immunosoppressori per il resto della loro vita. Oltretutto, tale strategia è ovviamente influenzata dalla limitata disponibilità di soggetti donatori.
Nel tentativo di superare questi ostacoli, l'ambiente scientifico sta attualmente valutando l'impiego di cellule beta prodotte in laboratorio da cellule staminali embrionali umane. Per fare in modo che queste cellule, una volta trapiantate, non vengano attaccate dal sistema immunitario del paziente, i ricercatori stanno cercando di isolarle con un tipo di biomateriale poroso che, senza ostacolare la loro azione di controllo del tasso glicemico, sia in grado di proteggerle da un'eventuale reazione immunitaria. Diversi sono gli studi svolti in tal senso, come il progetto 'Next' (Nano Engineering for Cross Tolerance), un programma di ricerca finanziato dalla Commissione Europea e coordinato da Explora Biotech, una società di biotecnologie italiana.
Esiti incoraggianti sembrano provenire da una sperimentazione preclinica recentemente condotta da un team di scienziati appartenenti al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e ad altri centri di ricerca statunitensi. Gli autori di questo studio, pubblicato su Nature Medicine,hanno sviluppato un innovativo materiale biologico denominato TMTD (triazole-thiomorpholine dioxide) e derivato dall'acido alginico, un polisaccaride originariamente estratto dalle alghe brune. Il TMTD è stato utilizzato per incapsulare alcune cellule beta umane che sono state poi trapiantate in un modello di topo con diabete di tipo 1 e con un forte sistema immunitario.
Il trattamento si è rivelato in grado di indurre la correzione del tasso glicemico negli esemplari per 174 giorni, senza provocare alcun tipo di risposta immunitaria e senza che la funzionalità delle cellule beta fosse compromessa dalla formazione di tessuto cicatriziale intorno alle capsule di TMTD. Gli impianti cellulari recuperati dai topi al termine dei 6 mesi di sperimentazione erano ancora integri e contenevano cellule vitali e capaci di produrre insulina.
I ricercatori stanno lavorando per poter testare questo promettente approccio terapeutico sugli esseri umani, sperando che, nel prossimo futuro, i pazienti con diabete di tipo 1 abbiano a disposizione un nuovo trattamento a lungo termine che elimini la necessità di continue iniezioni di insulina.
Seguici sui Social