Melanoma: intervista al prof. Gisondi
Professor Paolo Gisondi

Fondamentale la prevenzione: al mare e in spiaggia (ma non solo) bisogna proteggere la pelle dai raggi ultravioletti con creme solari ad elevata protezione

L’avvicinarsi della bella stagione e l’opportunità di trascorrere più weekend al sole costituiscono l’ormai ben noto presupposto per tornare a parlare del melanoma, poiché tra i fattori di rischio di questo tumore figurano le scottature solari. Il melanoma, infatti, è un tumore della pelle abbastanza frequente che si “vede” e si “osserva” in maniera diretta: ne consegue come sia utile imparare a riconoscerne le caratteristiche distintive e, così facendo, identificarlo fin dagli stadi iniziali, aumentando il successo delle terapie e migliorando la prognosi. Perciò, se da un lato rimane fermo il richiamo a conoscere (e riconoscere) un melanoma, distinguendolo da un neo benigno, dall’altro è d’obbligo - specie in estate - proteggere la pelle ed evitare situazioni che potrebbero favorirne lo sviluppo.

Negli ultimi decenni, soprattutto tra la popolazione caucasica di diversi Paesi, è cresciuta l’incidenza del melanoma, divenuto uno dei tumori più frequenti, specie in età giovane-adulta”, afferma Paolo Gisondi, Professore Associato di Dermatologia presso il Dipartimento di Medicina dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Verona e Direttore della Scuola di Specializzazione di Dermatologia dell’Università degli Studi di Verona. “I motivi di tale crescita non sono ancora del tutto chiariti, ma verosimilmente includono una maggiore consapevolezza da parte dell’opinione pubblica nei confronti di questo tumore, che porta i pazienti a farsi visitare dal dermatologo e quindi a una diagnosi precoce, senza dimenticare anche l’abitudine a esporsi al sole senza protezione adeguata, soprattutto durante l’infanzia e l’adolescenza, e l’uso frequente di lampade abbronzanti”. In Italia lo scorso anno sono state poste circa 13mila nuove diagnosi di melanoma (pari a circa 20 nuovi casi ogni 100mila abitanti), collocando questo tumore tra i più diffusi tra la popolazione maschile e femminile. Ecco perché bisogna affrontare il problema cominciando a capire quali siano i fattori di rischio.

“Un primo fattore di rischio per il melanoma è il fototipo”, puntualizza Gisondi, facendo riferimento non solo alle caratteristiche fenotipiche - cioè esteriori - di certi individui, bensì alla capacità della pelle di produrre la melanina e alla qualità della stessa. “Le persone con occhi azzurri, capelli rossi, maggior densità di lentiggini e una pelle chiara, con una facile tendenza alla scottatura, sono a maggior rischio di sviluppare un melanoma rispetto a quanti hanno un fototipo mediterraneo, contraddistinto da carnagione olivastra, occhi scuri, capelli castani e una più facile tendenza ad abbronzarsi”. Un altro fattore di rischio è la storia familiare di melanoma. “È stata stabilita una correlazione tra il rischio di melanoma e la familiarità di primo grado con un parente affetto dallo stesso tumore”, riprende Gisondi. Altri fattori che incrementano la probabilità di sviluppo del melanoma sono il numero di nevi (il rischio è più elevato in quelle persone con nevi multipli e atipici, ovvero irregolari), lo stato di immunosoppressione (il rischio è maggiore in chi sia stato sottoposto a trapianto e stia assumendo una terapia immunosoppressiva) e l’esposizione ai raggi ultravioletti.

Il principale fattore di rischio ambientale sono le scottature cutanee”, aggiunge Gisondi. “Le categorie di lavoratori più a rischio di sviluppare un melanoma cutaneo sono quelle che lavorano regolarmente all’aperto, esposte per lunghi periodi alla luce solare diretta, ad esempio agricoltori, operai edili e muratori. Inoltre, nel tempo libero e in vacanza bisogna prestare attenzione a non esporsi al sole per periodi prolungati senza un’adeguata protezione”. L’esposizione solare è la principale causa del melanoma nell’uomo ma la probabilità si associa anche all’uso eccessivo di lampade a UV e dei lettini abbronzanti nei centri estetici. “In particolare, le ustioni - specie quelle che capitano in età pediatrica - sono associate al maggior rischio di melanoma”, prosegue l’esperto. “Perciò bisogna essere accorti quando si portano i bambini in spiaggia, usando creme e prodotti ad ampio spettro (soprattutto quelle a fattore di protezione 50) o gli indumenti protettivi con cui si può fare il bagno e che, allo stesso tempo, riescono a schermare la pelle”.

Ma come si può distinguere un neo benigno da un melanoma? Un metodo sempre valido, sostenuto da tutti i dermatologi, è la “regola ABCDE”, dove “A” sta per Asimmetria (un melanoma è asimmetrico nella forma), “B” indica il Bordo (che nel melanoma è frastagliato e irregolare, mentre nel neo sano è regolare), “C” indica il Colore (i melanomi sono caratterizzati da un polimorfismo cromatico mentre i nevi sani hanno una colorazione uniforme), “D” indica il Diametro (non deve esser superiore a 6 mm) ed “E” sta per Evoluzione (i melanomi crescono e cambiano in forma, colore e dimensioni abbastanza in fretta). “In certe condizioni, come la gravidanza, i nevi possono ingrandirsi e devono esser pertanto tenuti sotto controllo ma, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di modificazioni fisiologiche, per certi versi attese”, aggiunge Gisondi. “Tuttavia, in presenza di un neo sospetto è opportuno consultare un dermatologo il quale, alla visita clinica, può accompagnare una valutazione mediante dermatoscopio - uno strumento dotato di lente che ingrandisce la lesione, rendendola ben visibile a occhio nudo e consentendo una migliore visualizzazione dei dettagli. Esistono sia dermatoscopi ottici che video-dermatoscopi, in cui la componente ottica si associa a un software che trasforma l’immagine in una versione digitale che può essere salvata nel computer e consultata a distanza di tempo, per valutare eventuali modificazioni del neo”. Da alcuni anni la tecnologia è entrata a far parte della routine clinica nelle indagini sul melanoma, agevolando e velocizzando la diagnosi; ciononostante, la diagnosi definitiva, di certezza, è quella istologica, che si può fare dopo l’asportazione chirurgica del neo sospetto.

Infatti, se rilevato ad uno stadio precoce il melanoma può essere efficacemente asportato chirurgicamente: in queste situazioni il fattore prognostico più importante è lo spessore, che indica la crescita del melanoma sul piano verticale, mettendo in evidenza la capacità di infiltrare i tessuti in profondità; qualora lo spessore del melanoma sia inferiore ad 1 millimetro l’escissione chirurgica allargata (ovvero con ampi margini) è sufficiente; se invece è superiore ad 1 mm si esegue anche la ricerca del linfonodo sentinella, che aiuta a fini prognostici. La presenza del tumore anche a livello della stazione linfonodale più prossima alla sede del melanoma è un segno di metastasi linfonodale. “Purtroppo, negli stadi avanzati del melanoma, come quelli metastatici, subentra una maggior refrattarietà alle terapie convenzionali, ma oggi, grazie all’avvento dei farmaci immunoterapici e di quelli a bersaglio molecolare, l’approccio al paziente è notevolmente migliorato”, dichiara Gisondi alludendo all’importanza della classificazione molecolare del tumore. Le indagini sulla patogenesi del melanoma hanno condotto alla scoperta di mutazioni in alcuni geni (CDKN2A, NRAS-BRAF, cKIT e MITF) che provocano alterazioni a livello di alcuni meccanismi che regolano il normale funzionamento cellulare: ciò ha portato alla scoperta di farmaci specifici, particolarmente efficaci contro alcuni tipi di tumore.

Nelle forme avanzate di melanoma è emerso il ruolo dell’immunoterapia, che sfrutta la risposta del sistema immunitario per riconoscere ed attaccare con precisione le cellule tumorali”, riprende l’esperto veronese. “Farmaci come nivolumab e pembrolizumab riconoscono come bersaglio il recettore PD1 legato a processi di morte cellulare programmata: così facendo interferiscono con l’inibizione che il tumore impone alla risposta immunitaria e consentono ai linfociti di attaccare le cellule tumorali. Un altro farmaco immunoterapico è ipilimumab, diretto contro il reattore CTLA-4 che normalmente regola la risposta immunitaria. Il legame tra ipilimumab e CTLA-4 stimola la risposta immunitaria contro il melanoma”. Negli scorsi anni dati convincenti sul fatto che l’immunoterapia aumenti la sopravvivenza nei pazienti affetti da forme metastatiche di melanoma sono stati pubblicati su varie riviste scientifiche, ma si tratta pur sempre di farmaci che possono causare effetti collaterali (a livello gastrointestinale, renale o cutaneo). “Nel caso di tutte le forme di melanoma resta dunque prioritaria la prevenzione primaria”, conclude Gisondi. “Imparare a proteggere la pelle della scottature rientra in uno stile di vita sano per ridurre drasticamente la probabilità di sviluppo di un tumore come questo, ancora troppo presente tra la popolazione”.

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