La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) è un tumore maligno relativamente raro, pari al 9,5 per cento di tutte le leucemie diagnosticate nel periodo 1998-2002 nell’area dell’AIRT. La malattia deriva dalla proliferazione maligna delle cellule linfoidi, che vengono bloccate in uno stadio precoce della differenziazione. La LLA rappresenta il 75 per cento di tutti i casi di leucemia infantile e in Europa vengono diagnosticati circa 5.000 casi infantili all’anno, con un picco di incidenza tra i 2 e i 5 anni di vita. Oggi, l’esistenza di diverse opzioni terapeutiche ha avuto l’effetto di aumentare considerevolmente il tasso di sopravvivenza dei bambini di età inferiore ai 15 anni.

L'immunoterapia cellulare anti-CD19 CTL019 ha ottenuto una risposta completa del 92% su pazienti pediatrici con leucemia linfoblastica acuta recidivata o refrattaria. Lo confermano i dati recentemente presentati al meeting annuale dell’American Society of Hematology, a San Francisco.

In seguito ad un trial condotto su 185 pazienti e presentato all’ultimo congresso dell’ASCO, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha approvato l’impiego dell’anticorpo monoclonale blinatumomab per i pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta da precursori delle cellule B (pre-B LLA) Philadelphia-negativa (Ph-) recidivante/refrattaria.

Blinatumomab ha raggiunto l’endpoint primario dello studio, determinando la remissione completa della malattia nel 41,6% dei pazienti trattati con due cicli di terapia.

La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) è una neoplasia che nella grande maggioranza dei casi colpisce i soggetti in età pediatrica, ma ne esiste una variante (Philadelphia positiva, Ph-like) estremamente aggressiva, tipica dell’età avanzata che origina da una preciso quadro genetico e che merita una speciale attenzione.
Nella variante Ph-like della leucemia linfoblastica acuta è stato ipotizzato che gli oncogeni in grado di innescare la cascata di segnali che porta alla malattia potessero essere differenti rispetto alla forma patologica classica.

Secondo i risultati di studi condotti dal  National Cancer Institute (NCI)  e dalla Perelman School of Medicine (Penn) della University of Pennsylvania di Philadelphia e ora pubblicati sulla rivista The Lancet, i pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta trarrebbero un vantaggio significativo, in alcuni casi persino l’eradicazione della malattia, dal trattamento con linfociti T autologhi ingegnerizzati che esprimono un recettore chimerico capace di riconoscere un antigene tumorale (CAR), in questo caso il CD19.

Secondo i risultati di due studi pilota realizzati nella Perelman School of Medicine (Penn) della University of Pennsylvania e pubblicati su New England Journal of Medicine, il 90% dei pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta in recidiva/refrattaria (LLA r/r) coinvolti nello studio hanno ottenuto remissioni complete con la terapia sperimentale CTL019, basata sul recettore antigenico chimerico (CAR, chimeric antigen receptor).
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La Commissione Europea ha autorizzato l’uso di ofatumumab (in combinazione con clorambucile o bendamustina) in pazienti con leucemia linfatica cronica, qualora la terapia con fludarabina sia ritenuta inappropriata.

La decisione segue lo studio di fase III COMPLEMENT 1 che ha mostrato un miglioramento statisticamente significativo nella sopravvivenza senza progressione.

In una forma acuta di leucemia infantile, colpendo un particolare recettore chiamato BAFF-R (B-cell activating factor receptor) è possibile uccidere in modo selettivo le cellule tumorali resistenti alla chemioterapia. A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori del Children’s Hospital di Los Angeles, che ha pubblicato i risultati dei suoi esperimenti in un articolo pubblicato di recente online sulla rivista Molecular Cancer Therapeutics.

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