Mielofibrosi: news su diagnosi, terapie, farmaci, sperimentazioni e qualità della vita
La mielofibrosi (MF) appartiene al gruppo delle cosiddette neoplasie mieloproliferative (MPN). Tali forme tumorali colpiscono le cellule staminali ematopoietiche del midollo osseo, dalle quali hanno origine le cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine). La MF determina la graduale comparsa nel midollo osseo di un tessuto fibroso che ne sovverte la struttura. In questo modo viene modificata la sua funzionalità, con la conseguente alterazione della produzione delle cellule del sangue. Quando la malattia si manifesta in maniera isolata si parla di mielofibrosi primaria (precedentemente denominata 'idiopatica'); quando rappresenta la conseguenza di altre MPN, come policitemia vera (PV) e trombocitemia essenziale (ET), si parla di mielofibrosi secondaria.
La sezione Mielofibrosi è realizzata grazie al contributo non condizionante di GSK.
La mielofibrosi è un tumore raro: secondo il registro Orphanet, in Europa ha un’incidenza pari a 0,1-1 su 100.00 persone e una prevalenza di 2,7 persone su 100.000; l’età media alla diagnosi è di 65 anni, ma un paziente su 4 arriva alla diagnosi con meno di 56 anni e l’11% è sotto i 46 anni di età. Le cause della mielofibrosi sono ancora in parte sconosciute, tuttavia l’ipotesi più accreditata è che la malattia insorga a seguito di mutazioni acquisite che colpiscono la cellula ematopoietica. Infatti, approssimativamente il 90% dei pazienti con mielofibrosi presenta mutazioni che sono direttamente o indirettamente attivate dalla via di segnalazione JAK/STAT.
I principali sintomi della mielofibrosi sono l’ingrossamento della milza (splenomegalia) e del fegato (epatomegalia). La splenomegalia causa problemi allo stomaco e all’intestino, ma anche ai polmoni e al rene, determinando una sequela più o meno importante di problemi correlati. Altri sintomi estremamente debilitanti, che possono impedire al paziente di svolgere le attività quotidiane e lavorative, sono: fatigue, stanchezza, debolezza, dolori muscolari, febbre, sudorazioni notturne, prurito. Il decorso della malattia porta allo sviluppo di numerose complicanze, come infarti splenici (ossia infarti della milza, per il blocco dei vasi che portano il sangue all’organo) o calcoli renali (per un eccesso di acido urico nel sangue). La complicanza più pericolosa è la trombosi, che può avere anche esiti mortali.
La mielofibrosi è una malattia potenzialmente fatale, con la prognosi peggiore rispetto alle altre neoplasie mieloproliferative. La sopravvivenza mediana dalla diagnosi è di 5,7 anni, ma nei pazienti a più alto rischio è inferiore a 3 anni. In particolare, i pazienti con mielofibrosi presentano una riduzione complessiva dell’aspettativa di vita del 31% rispetto alla popolazione generale di pari età e sesso. A 5 anni dalla diagnosi si osserva un aumento del 40% del tasso di mortalità rispetto alla popolazione generale. Nei primi 10 anni dalla diagnosi, il 18-28% dei pazienti progredisce verso la leucemia mieloide acuta, e la sopravvivenza è inferiore a tre mesi.
Per lungo tempo, l’unica terapia curativa è stata il trapianto di midollo osseo, che viene però eseguito solo su un numero molto limitato di pazienti perché è una procedura complessa e gravata da notevoli rischi per la salute, soprattutto nelle fasce di età più avanzate. Nei casi in cui il trapianto non era indicato, le terapie farmacologiche tradizionali offrivano un beneficio solo transitorio rispetto al controllo dei sintomi correlati alla malattia e spesso erano scarsamente tollerate.
La scoperta, nel 2005, della mutazione a carico del gene JAK2, presente in oltre la metà dei pazienti con mielofibrosi, ha rappresentato il primo passo verso lo sviluppo di trattamenti innovativi. Grazie alla successiva scoperta dell’iper-attivazione della via JAK-STAT e, in particolare, dell’attività aumentata delle proteine JAK1 e JAK2, è stato possibile sviluppare dei nuovi farmaci in grado di bloccare selettivamente le proteine anomale. Ruxolitinib è un inibitore delle tirosin chinasi JAK1 e JAK2 che ha rivoluzionato lo scenario terapeutico della mielofibrosi, rappresentando l’unico farmaco a essersi dimostrato in grado di aumentare significativamente la sopravvivenza dei pazienti. Il trattamento con ruxolitinib ha permesso alla quasi totalità dei soggetti con MF di ottenere una rapida e duratura riduzione della splenomegalia accanto a un miglioramento significativo di tutti i sintomi, tra cui il dolore addominale, le sudorazioni notturne, il prurito, il dolore osseo, la stanchezza. Ruxolitinib è il primo farmaco specifico per la mielofibrosi ad essere rimborsato in Italia.
La Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha recentemente ordinato l'interruzione degli studi clinici condotti allo scopo di valutare l'impiego del farmaco sperimentale imetelstat per il trattamento della mielofibrosi. La decisione dell'FDA si basa su una serie di sintomi di sofferenza epatica che, secondo dati provenienti da precedenti sperimentazioni cliniche, sembrerebbero essere provocati dal farmaco. Imetelstat è un inibitore della telomerasi sviluppato dalla compagnia farmaceutica Geron.
Cell Therapeutics, Inc. rende noto l'avvio dello studio clinico di fase 3, noto come PERSIST-2, che valuta pacritinib come nuovo inibitore sperimentale della JAK2/FLT3, in pazienti affetti da mielofibrosila cui conta piastrinica è inferiore o uguale a 100.000 per microlitro (µL). E' previsto che per lo studio siano iscritti fino a 300 pazienti in Nord America, Europa, Australia e Nuova Zelanda nell'arco dei prossimi 12-14 mesi. A ottobre 2013, CTI ha raggiunto un accordo con la Food and Drug Administration statunitense (FDA) su uno Special Protocol Assessment (SPA) per lo studio PERSIST-2, un accordo scritto tra CTI e l'FDA sul disegno, gli endpoint e l'approccio previsto per l'analisi statistica dello studio clinico che sarà di supporto all'eventuale richiesta di New Drug Application (NDA). PERSIST-2 è il secondo dei due studi clinici di fase 3 in programma per lo sviluppo di pacritinib nel trattamento della mielofibrosi.
Significativi i miglioramenti dei sintomi e della splenomegalia, in confronto a trattamenti di routine
Approvato dalla FDA americana, ruxolitinib, farmaco sviluppato sviluppato in collaborazione da Novartis e Incyte, si sta confermando come trattamento per la mielofibrosi più efficace delle terapie d'elezione finora disponibili come idrossiurea, agenti chemioterapici o glucocorticoidi. Sono due i nuovi studi clinici pubblicati su The New England Journal of Medicine che ne hanno indagato gli effetti positivi su un miglioramento generale dei sintomi e una significativa riduzione del volume della milza, soggetta a splenomegalia associata alla malattia.
Lo conferma il follow-up triennale dello studio di fase III COMFORT-II, presentato all’ultimo congresso della EHA. Per il futuro, si studiano le terapie combinate
Dopo l’efficacia già dimostrata in studi precedenti, che avevano spinto la Commissione Europea ad approvare ruxolitinib come trattamento sintomatico della mielofibrosi poco più di un anno fa, la terapia con l’inibitore di JAK 1 e JAK 2 migliora la sopravvivenza dei pazienti anche nel lungo termine. Il follow-up dello studio COMFORT-II, trial clinico di fase III per valutarne l’efficacia in confronto alla terapia tradizionale, è durato tre anni e l’analisi dei risultati raccolti è stata presentata in occasione dell’ultimo Congresso dell’European Hematology Association (EHA), tenutosi a Stoccolma.
Nel 2005 è stata individuata la mutazione di JAK2 che ha portato allo sviluppo di inibitori non ancora disponibili in Italia. Ora si cerca il meccanismo primario che innesca la malattia
Alleviare i sintomi e migliorare la qualità della vita dei pazienti in attesa di scoprire il meccanismo primario che scatena la mielofibrosi. E’ questa la direzione percorsa della ricerca scientifica attuale sulla malattia rara, di cui si stimano solo 0.5-1.5 nuovi casi su 100.000 abitanti per anno in Italia, da quando è stato chiarito, solo in parte, il meccanismo genetico alla base della sua manifestazione.
UE - E’ stato approvato dall’EMA il farmaco ruxolitinib di Novartis, un nuovo trattamento per i pazienti con mielofibrosi. Si tratta di un inibitore orale di JAK 1 e JAK 2 utile per il trattamento della splenomegalia e di altre sintomatologie in pazienti adulti con mielofibrosi.
Il farmaco è stato approvato dalla Fda appena un mese fa
Il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA) ha adottato un parere positivo per Jakavi (ruxolitinib, prodotto da Novartis) per il trattamento della mielofibrosi primaria e delle patologie ad essa correlate, prima su tutte la splenomegalia. La mielofibrosi è un tumore raro caratterizzato da progressiva sostituzione del midollo osseo con materiale fibrotico, che comporta effetti quali l’insufficienza midollare, la splenomegalia e che spesso conduce alla morte.
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