La malattia di Parkinson, scoperta agli inizi del 1800 da James Parkinson, venne chiamata per oltre un secolo “paralisi agitante” e anche “morbo di Parkinson”. Colpisce in modo indistinto i due sessi e può esordire a qualsiasi età, anche se, in prevalenza, i sintomi si riscontrano in pazienti sopra i 60 anni, raramente in pazienti sopra i 40 e in casi rarissimi in persone più giovani. Si tratta di un disturbo che colpisce il sistema nervoso centrale; il sintomo generalmente più evidente è il tremore, ma non basta questo per stabilire la diagnosi. Altri sintomi possono essere rigidità, lentezza nei movimenti, debolezza, problemi di equilibrio e postura ricurva.
Il codice di esenzione della malattia di Parkinson è 038 (Malattie croniche – Morbo di Parkinson e altre malattie extrapiramidali).

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Pietro Cortelli

Protagonisti dello studio gli IRCCS della Rete di Neuroscienze e Neuroriabilitazione del Ministero della Salute

Roma – Sono 1.600 pazienti arruolati dall’Istituto Virtuale Nazionale (IVN) Parkinson, uno dei cinque creati nell’ambito della Rete Nazionale IRCCS Neuroscienze e Neuroriabilitazione del Ministero della Salute, che parteciperanno allo studio sulle basi genetiche della malattia di Parkinson, e sul ruolo delle mutazioni del gene GBA in particolare, grazie all’utilizzo di un protocollo di analisi genetica e caratterizzazione fenotipica armonizzato da 16 dei 30 IRCCS aderenti la Rete che intervengono all’iniziativa.

Cervello

Per l’occasione, la Società Italiana di Neurologia fa chiarezza sul rapporto tra la patologia e il COVID-19

Roma - In occasione della Giornata Nazionale Parkinson, che si celebra il 27 novembre, la Società Italiana di Neurologia (SIN) analizza la relazione esistente tra la patologia e il COVID-19. A partire dalla prima ondata pandemica di inizio 2020, la grave malattia respiratoria acuta causata dal virus SARS-CoV-2 è stata oggetto di numerose ricerche scientifiche con l’obiettivo di valutarne specificatamente il potenziale impatto negativo in ambito neurologico, e in particolare nel contesto delle malattie neurodegenerative croniche come malattia di Parkinson e altre condizioni correlate (parkinsonismi atipici e non specificati). 

Paolo Calabresi

In futuro, il nuovo biomarcatore potrebbe consentire di diagnosticare precocemente la malattia e intervenire con strategie di medicina di precisione

Roma - Riuscire a intervenire con un trattamento risolutivo nelle primissime fasi della malattia di Parkinson, per arrestarne il decorso. È da sempre la speranza dei neurologi, che purtroppo, da trent’anni a questa parte, per il trattamento di questa condizione che interessa almeno 400mila italiani hanno potuto contare solo sulla ‘vecchia’ levodopa. Ma qualcosa potrebbe presto cambiare. E uno degli studi che riaccendono la speranza è in pubblicazione sul numero di novembre della rivista Brain.

Il prof. Simone Rossi e il dottor Francesco Cacciola

In un paziente sono stati impiantati elettrodi direzionali e “sensibili” per una stimolazione cerebrale più precisa e personalizzata

A Siena, più precisamente all’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, è stato effettuato, per la prima volta in Toscana, un innovativo intervento neurochirurgico per la neuromodulazione terapeutica della malattia di Parkinson, un approccio che rappresenta una sorta di ‘alternativa elettrica’ alla terapia farmacologica.

Il team di studio di Giovanni Piccoli

Lo studio dell’Università di Trento, finanziato da Fondazione Telethon, apre nuove prospettive per la comprensione delle patologie della terza età

Trento – Grazie allo studio di una rara forma ereditaria della malattia di Parkinson, ricercatori dell’Università di Trento hanno descritto un nuovo meccanismo patologico alla base della malattia che potrebbe in futuro essere sfruttato in chiave terapeutica anche per le forme non genetiche. Pubblicato sulla rivista Brain, il lavoro è stato coordinato da Giovanni Piccoli, ricercatore del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata (Cibio), con il supporto del programma carriere della Fondazione Telethon, l’Istituto Telethon Dulbecco.

Laboratorio per la Valutazione del Sistema Nervoso Autonomo

Il centro è in grado di eseguire in soli 60 minuti test funzionali che rivelano l’alterazione del sistema nervoso autonomo

Milano – Studiare i sintomi disautonomici cioè del sistema nervoso autonomo (quello che innerva i visceri) nel Parkinson già nelle fasi iniziali di malattia, comprenderne la sua evoluzione e differenziarla dagli altri parkinsonismi atipici: è questo quello che è possibile fare grazie al nuovo Laboratorio per la Valutazione del Sistema Nervoso Autonomo installato presso l’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano, realizzato con il Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano e con il contributo della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson.

Farmaci

Uno studio italiano evidenzia un miglioramento della disabilità motoria negli stadi avanzati di malattia

Milano – La levodopa è da più di 50 anni il trattamento sintomatico d’elezione per la malattia di Parkinson: la sua efficacia sui sintomi motori ha tuttavia oscurato la capacità di comprendere appieno gli aspetti relativi al suo meccanismo d'azione, l'efficacia differenziale sui sintomi motori, l'evoluzione delle complicanze motorie e, paradossalmente, anche la durata del suo effetto. Proprio quest’ultimo è stato oggetto dello studio sulla popolazione africana appena pubblicato sulla prestigiosa Rivista scientifica Brain, realizzato dai Ricercatori della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson, della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano e del Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’ASST Gaetano Pini-CTO in collaborazione con neurologi e altri medici locali.

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