Le malattie croniche sono patologie che presentano sintomi costanti nel tempo e per le quali le terapie non sono quasi mai risolutive.
L'incidenza di queste patologie, che possono essere di origini molto diverse, è molto alta. Le malattie croniche rappresentano circa l'80 per cento del carico di malattia dei sistemi sanitari nazionali europei.

Fibromialgia, i criteri diagnostici adottati dalla comunità scientifica internazionale

Per questa malattia non esiste un biomarcatore, ma il reumatologo può porre la diagnosi clinica dopo una complessa analisi del paziente e una diagnosi differenziale attenta

I sintomi della fibromialgia sono molto simili a quelli di diverse altre malattie: l'esperienza ha perciò un valore fondamentale per una corretta diagnosi. Il medico di medicina generale, dopo aver osservato segni e sintomi che possono indurre il sospetto di una sindrome fibromialgica, potrà quindi identificare immediatamente la patologia, oppure affidare il paziente ad uno specialista reumatologo, affinché venga sostanziata la diagnosi e vengano adottate le terapie fondamentali in grado di modificare l’evoluzione della malattia. In questa fase potrà affidarsi a dei precisi criteri diagnostici, riportati sia negli atti di una consensus conference che si è svolta nel 2017 tra i maggiori esperti italiani, sia nel Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) italiano redatto per la patologia nello stesso anno.

Fibromialgia: un PDTA italiano esiste ma ancora non viene applicato a livello nazionale

Il documento identifica le fasi fondamentali di diagnosi, terapia e presa in carico dei pazienti e i responsabili del percorso di cura

Roma – La maggior parte dei pazienti affetti da fibromialgia ha un'età compresa fra i 45 e i 64 anni: sono, cioè, nel pieno della loro vita lavorativa, che viene però fortemente compromessa dal dolore e dalla stanchezza causati dalla malattia. Circa un terzo di queste persone va incontro a una vera e propria disabilità, e la stessa percentuale è stata costretta a cambiare occupazione per mantenere il proprio reddito. La sindrome fibromialgica è quindi una delle principali cause di disabilità e di assenze dal lavoro, e il suo onere socioeconomico è di gran lunga superiore ai costi che dovrebbero essere sostenuti per curarla. Con una diagnosi precoce e un trattamento appropriato, invece, è possibile influenzare positivamente la storia della malattia.

Fibromialgia, identificati i criteri per definire la severità di malattia

Uno studio italiano mette a confronto le tre principali scale per la valutazione del dolore, confermando come la misurazione della severità della malattia possa contribuire all’ottimizzazione del percorso terapeutico

Non è semplice fornire un riscontro oggettivo su una patologia per cui non esistono marcatori specifici. Se, in aggiunta, la cifra distintiva della malattia in questione è un dolore genericamente diffuso in tutto il corpo, le cose si fanno ancora più complicate. Di fatto, però, questa è la situazione in cui si trovano coloro che sono affetti da fibromialgia, una malattia che esordisce di solito intorno ai 30-40 anni e che si caratterizza anche per la presenza di crampi muscolari, affaticabilità, rigidità muscolare, alterazione del sonno e disturbi neurocognitivi spesso associati a stati di ansia e depressione.

Fibromialgia, un disegno di legge per riconoscerla come cronica e invalidante

Continua la battaglia affinché la malattia sia inserita nei LEA. Il DDL 299, in discussione al Senato, prevede di istituire centri di riferimento, centri di ricerca e un registro nazionale

Roma – Due o tre milioni di persone, che corrispondono al 3-4 per cento dell'intera popolazione: sono i pazienti italiani che – secondo uno studio pubblicato nel 2010  – soffrono di fibromialgia, una malattia neurologica che sei volte su sette riguarda donne in età giovanile. Fin dal 1992 la sindrome fibromialgica è riconosciuta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), con la cosiddetta Dichiarazione di Copenhagen, ed è stata inclusa nella decima revisione dell’International statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10), con il codice M79-7.

Ciò nonostante, ancora oggi in Italia la fibromialgia non è riconosciuta come malattia invalidante. In assenza dell'inserimento nell’elenco del Ministero della Salute, la patologia non è prevista come diagnosi nei tabulati di dimissione ospedaliera: i pazienti, di conseguenza, sono privi di tutele e non possono usufruire dell'esenzione dalla spesa sanitaria.  Dato che la caratteristica principale della patologia è il dolore, i malati di fibromialgia dovrebbero invece rientrare pienamente nella categoria delle persone che necessitano di terapia del dolore e dei relativi livelli essenziali di assistenza. Negli ultimi anni alcune Regioni, come Lombardia, Emilia Romagna, Puglia, Sicilia e Sardegna, hanno approvato delle leggi in materia, ma a livello nazionale resta la necessità di uniformare il sistema e assicurare omogeneità di trattamento a tutte le persone affette da questa patologia.

I farmaci previsti dal PDTA e le sperimentazioni cliniche in corso per la fibromialgia

I farmaci previsti dal PDTA e le sperimentazioni cliniche in corso 

Vi sono malattie che, per quanto diffuse nella popolazione, riescono a celarsi dietro una sintomatologia vaga o facilmente sovrapponibile a quella di altre affezioni: ciò le rende difficili da riconoscere in tempi rapidi, con conseguenti ritardi - anche piuttosto importanti - nell’avvio delle terapie e un carico non indifferente di stress e sofferenza sulla vita di coloro che ne sono affetti. La fibromialgia è una una di queste. Perciò è fondamentale che sia i medici che le Associazioni dei pazienti collaborino per offrire a chi ne soffre un percorso il più possibile strutturato con informazioni precise sulla diagnosi e sull’accesso alle terapie a disposizione.

 Fibromialgia, tutte le opportunità terapeutiche disponibili: l'approccio non farmacologico

Quando i farmaci non bastano serve una presa in carico multidisciplinare che consideri anche strategie di rilassamento e un concreto supporto di tipo psicologico

Se avete provato almeno una volta nella vita l’effetto di una forte emicrania avrete una vaga idea di ciò che sperimentano tutti i giorni coloro che sono affetti da fibromialgia, una condizione cronica, altamente invalidante e caratterizzata da marcati riflessi su vari aspetti della vita quotidiana, dall’ambito lavorativo a quello familiare fino a quello più intimo. Infatti, i pazienti colpiti da sindrome fibromialgica sono costretti a numerose assenze dal lavoro, vivendo in uno stato di disabilità perenne a causa del dolore muscolo-scheletrico che li affligge senza sosta. Tentare di fornire una spiegazione su cosa consista la malattia è molto più semplice che non ottenere una diagnosi - il ritardo diagnostico è infatti una delle criticità associate con più frequenza alla fibromialgia - e ancora più complicato risulta essere il trattamento. Secondo il PDTA elaborato dal dal Comitato Scientifico dell’European Network of Fibromyalgia Associations (ENFA) il miglior approccio alla malattia prevede, laddove necessario, la somministrazione di una terapia farmacologica - pur non esistendo farmaci specifici si interviene in maniera sintomatica - e, in ogni caso, l’adesione a un percorso di trattamento non farmacologico che comincia con l’educazione del paziente.

Riccardo Meliconi e Francesco Ursini

La ricerca valuta il potenziale ruolo del nuovo Coronavirus come fattore predisponente allo sviluppo della patologia

È stato recentemente pubblicato sulla rivista della società scientifica che riunisce i reumatologi di tutta Europa (RMD Open: Rheumatic and Musculoskeletal Diseases), uno studio coordinato dalla struttura di Reumatologia dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, diretta dal professor Riccardo Meliconi, con primo autore il professor Francesco Ursini, professore associato in reumatologia in servizio presso la medesima struttura. Obbiettivo della ricerca la valutazione del potenziale ruolo del COVID-19 come fattore predisponente allo sviluppo di fibromialgia, avendo i ricercatori constatato il crescente afflusso agli ambulatori di reumatologia di pazienti che, dopo aver contratto la malattia COVID-19, lamentavano sintomi articolari tra cui dolore, gonfiore e rigidità. 

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