Le associazioni dei pazienti hanno presentato un documento di consenso che punta a far conoscere maggiormente questa malattia genetica
Roma – Esistono malattie realmente rare, e altre che lo sono in quanto poco conosciute: se tutti i medici, davanti a determinati sintomi come fiato corto, astenia e aritmie, sospettassero fra le altre patologie anche l'amiloidosi cardiaca, sicuramente i casi diagnosticati aumenterebbero. È questo l'obiettivo del nuovo documento di consenso fra le associazioni dei pazienti, dal titolo “Amiloidosi cardiaca, conoscerla per diagnosticarla in tempo e gestirla al meglio”.
A firmare il progetto, curato dall'Osservatorio Malattie Rare e realizzato con il contributo non condizionante di Pfizer, sono state fAMY – Associazione Italiana Amiloidosi Familiare, Conacuore – Coordinamento Nazionale Associazioni del Cuore, Fondazione Italiana per il Cuore e UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare. Il documento è stato presentato lo scorso 28 settembre nel corso di una conferenza stampa online moderata dal direttore di OMaR, Ilaria Ciancaleoni Bartoli.
Le amiloidosi sono un gruppo di patologie rare, invalidanti e spesso fatali, caratterizzate dall’accumulo dannoso di sostanza amiloide all’interno dell’organismo. Questo materiale insolubile si presenta sotto forma di piccole fibrille ed è composto da proteine che, per cause diverse, si sviluppano in maniera anomala. Esistono diverse forme di amiloidosi, ognuna delle quali è dovuta ad una specifica proteina difettosa; si tratta di patologie multisistemiche, che colpiscono numerosi organi e tessuti: cuore, reni, apparato gastrointestinale, fegato, cute, nervi periferici e occhi. Il cuore, in particolare, è l’organo bersaglio in cui l’amiloide si deposita più frequentemente, dando luogo a una grave forma di scompenso chiamata “amiloidosi cardiaca”.
“Quando parliamo di amiloidosi parliamo non soltanto di malattie rare ma anche di malattie particolarmente complesse: credo che la loro complessità biologica sia uno dei motivi per cui sono state a lungo sottodiagnosticate e misconosciute, e in parte lo sono ancora”, ha spiegato la dr.ssa Laura Obici, specialista del Centro per lo studio e la cura delle Amiloidosi Sistemiche presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. “Oggi, però, abbiamo delle terapie efficaci sia per l'amiloidosi AL che per l'amiloidosi da transtiretina, quindi dobbiamo assolutamente sospettare queste patologie più precocemente e soprattutto indirizzare i pazienti verso un corretto percorso diagnostico. Abbiamo inoltre a disposizione degli strumenti di diagnosi non invasivi: in alcune condizioni è possibile evitare la biopsia e arrivare a una diagnosi di amiloidosi da transtiretina solo grazie alla scintigrafia con bifosfonati, che è uno strumento molto semplice, molto diffuso e poco costoso”.
Ma cosa significa convivere con l'amiloidosi cardiaca? L'ha descritto bene la testimonianza di Francesco Tosi, 68 anni, socio dell’associazione fAMY, presieduta da Andrea Vaccari. “Nella mia famiglia - ha spiegato Tosi - nessuno ha mai manifestato i sintomi dell’amiloidosi. Io ho avuto una vita sportiva piuttosto intensa: ho praticato varie attività, e in particolare il tennis, con prestazioni fisiche e cardiache decisamente buone. Tutto questo fino al 2012, quando mi sono reso conto di un progressivo calo nelle prestazioni, con aritmie ed extrasistole a riposo. I cardiologi consultati hanno sempre sottovalutato il problema, e anche nell’ottobre 2017 l’ecocardiogramma non ha rivelato nulla di particolare. Tuttavia, solo due mesi dopo, con esami più approfonditi i medici sono arrivati alla diagnosi di amiloidosi cardiaca. La mia condizione di scompenso cardiaco non è molto grave, ma mi ha sicuramente impedito di svolgere attività fisica. Finora la malattia non ha condizionato troppo profondamente la mia vita quotidiana e lavorativa, ma negli ultimi mesi la situazione è peggiorata, e fare degli sforzi o portare dei pesi è diventato un problema. Ciò nonostante, devo dire che ho conosciuto altri pazienti che hanno avuto una progressione della malattia molto più rapida e più grave della mia”.
Dalla gravità della malattia, e dalla sua rapida progressione, nasce appunto la necessità di farla conoscere meglio ai medici, ma non solo. “Il documento di consenso è di alto livello scientifico, quindi è utile anche per il medico, ma grazie al suo linguaggio non tecnico è leggibile praticamente da tutti, a partire dal cittadino fino ai decisori politici, che qui trovano delineati i principali elementi della patologia”, ha sottolineato il prof. Paolo Magni, coordinatore del Comitato Scientifico della Fondazione Italiana per il Cuore. “Se non conosci una cosa, non ci pensi: lo scopo di questo documento è appunto quello di aumentare la conoscenza di una malattia che definiamo rara, ma che forse non è così rara nel momento in cui noi andiamo a cercarla. Il fine ultimo è cambiare il percorso a ‘zig-zag’ che spesso questi pazienti devono affrontare: un percorso di lentezza e di sofferenza”.
A confermare le difficoltà nella diagnosi è Giuseppe Ciancamerla, presidente di Conacuore: “Noi cardiologi abbiamo almeno un 20% di scompensi cardiaci che in realtà non sappiamo bene a cosa attribuire, e con la maggiore consapevolezza di questa patologia, credo che le diagnosi di amiloidosi cardiaca aumenteranno. Il paziente, come primo gradino, si rivolge al medico di famiglia, il quale dovrebbe approfondire la sua storia familiare, cercare di conoscere quali sono le varie ereditarietà e prestare attenzione a quei sintomi particolari come il tunnel carpale, che nella mia esperienza è molto frequente: non sottovalutare i sintomi è davvero essenziale. Il secondo gradino potrebbe essere il cardiologo, ma una volta giunti alla diagnosi, la malattia dev'essere gestita da un team multidisciplinare: nel documento abbiamo elencato circa dieci specialisti che in qualche modo sono coinvolti nella cura dell'amiloidosi cardiaca”.
I problemi dei pazienti affetti da questa malattia, in ultima analisi, sono gli stessi di tanti altri malati rari, come ha evidenziato Annalisa Scopinaro, presidente di UNIAMO, la Federazione Italiana delle Malattie Rare. “Ci sono diversi elementi trasversali che accomunano tutte le malattie rare: le necessità dei pazienti, pur con alcune specificità, sono molto simili. Prima di tutto c'è il problema della diagnosi: abbiamo ancora oggi un ritardo medio di sette anni. Spesso mancano le terapie, e quando anche ci sono, è complicato accedervi: si verificano dei ritardi nell'approvazione da parte delle Regioni, che seguono quelli da parte dell'AIFA. Tutti questi ritardi si accumulano sulle spalle del paziente e quindi fanno sì che non ci sia un miglioramento nella sua qualità di vita, così come ci si aspetterebbe”.
Leggi il documento “Amiloidosi cardiaca, conoscerla per diagnosticarla in tempo e gestirla al meglio”.
I promotori del progetto si augurano che il documento di consenso possa essere condiviso e sottoscritto anche da altre associazioni di pazienti che si occupano di amiloidosi, o più in generale di malattie cardiache o patologie rare. Per manifestare il proprio interesse, è possibile inviare una e-mail all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
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