Gli esperti italiani: “Adesso una delle sfide da affrontare è l'armonizzazione dei diversi approcci di analisi delle proteine”
Pavia – Gli studi moderni sul DNA si collocano nell'ambito della genomica, quelli sull'RNA rientrano nel campo della trascrittomica e quelli sulle proteine nel settore della proteomica. Quest'ultima branca delle scienze biologiche consiste nell'identificazione sistematica delle proteine e nella loro caratterizzazione rispetto a struttura, funzione, attività, quantità e interazioni molecolari. La caratterizzazione dei depositi proteici nei tessuti è un pilastro nella cura dei pazienti con amiloidosi, e a questo tema è stato dedicato un editoriale pubblicato sulla rivista scientifica Mayo Clinic Proceedings, a firma della dr.ssa Francesca Lavatelli e del prof. Giampaolo Merlini, del Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche presso la Fondazione IRCCS – Policlinico San Matteo di Pavia.
“L'identificazione precisa della proteina amiloide è un prerequisito per una terapia appropriata, per una prognosi accurata e, quando indicato, per una consulenza genetica. Nel corso degli anni, per rilevare e caratterizzare le fibrille e i loro costituenti, è stata utilizzata una serie di tecniche biochimiche, istologiche e immunologiche, fino all'avvento della proteomica. Questa metodologia combina le capacità di valutare la presenza di fibrille, attraverso la rilevazione della firma proteomica dell'amiloide, di identificare la proteina depositata e di studiare i cambiamenti nel proteoma tissutale indotti dal processo di formazione dell'amiloide”, scrivono Lavatelli e Merlini. “La proteomica ha rivoluzionato il campo della diagnosi di amiloidosi ed è considerata il nuovo approccio gold standard per la tipizzazione della malattia: ha avuto infatti un profondo impatto nella gestione clinica delle malattie legate all'amiloide, ed è da notare che le amiloidosi sono state il primo esempio di un'applicazione clinica della proteomica e il suo trampolino di lancio verso la pratica medica”.
Nello stesso numero di Mayo Clinic Proceedings, Dasari e colleghi hanno descritto i dati ottenuti dall'analisi proteomica di un'imponente serie di campioni di tessuto ottenuti da oltre 16mila pazienti con amiloidosi, testati nel corso di 11 anni: questo è il più ampio set pubblicato di campioni clinici valutati tramite proteomica nel campo della stessa amiloidosi. Utilizzando questo approccio, sono stati identificati 21 tipi diversi di amiloide, fra cui alcuni rari, ed è stata accuratamente calcolata la frequenza con cui ciascun tipo amiloide è stato rilevato nei diversi organi analizzati.
I risultati presentati in questo documento, per i due ricercatori del San Matteo di Pavia, suggeriscono diverse considerazioni. “In primo luogo, negli ultimi tempi, la proteomica ha contribuito come nessun'altra tecnica a rimodellare la nostra conoscenza della distribuzione clinica dei tipi di amiloide prevalenti e rari, e ha permesso di scoprire diverse nuove forme. In secondo luogo, i numeri presentati indicano quanto profondamente questo approccio abbia modificato la pratica clinica. Dai metodi pionieristici pubblicati circa un decennio fa, la proteomica dell'amiloide è ora uno strumento diagnostico comune in molti centri specializzati in tutto il mondo e, in molti casi, rappresenta la prima strategia di tipizzazione”.
Ora che sono disponibili informazioni così ampie, tuttavia, anche le sfide da affrontare diventano più chiare e, secondo la dr.ssa Lavatelli e il prof. Merlini, una prima considerazione riguarda l'armonizzazione dei diversi approcci. Abbinare la microdissezione laser con la spettrometria di massa, come descritto da Dasari e colleghi, è la metodologia più utilizzata per la tipizzazione dell'amiloide su tessuti prelevati con biopsia, inclusi in paraffina e fissati in formalina; tuttavia, la scelta dell'approccio analitico in ogni centro dipende principalmente dall'esperienza locale e dalle attrezzature disponibili. Sebbene tutte le tecniche di proteomica pubblicate abbiano mostrato buone prestazioni, non sono mai state confrontate direttamente, e quindi la questione relativa alla loro intercambiabilità rimane aperta. Inoltre, la proteomica non è ancora accreditata come test clinico da diverse organizzazioni sanitarie nazionali, con significative conseguenze economiche per quanto riguarda il rimborso dei costi.
“La proteomica ha ora una posizione consolidata nella valutazione clinica di routine dell'amiloidosi”, concludono Lavatelli e Merlini. “Le sue future possibili applicazioni, come la quantificazione di specifiche proteine e peptidi, o la scoperta di biomarcatori, rendono questa versatile metodologia uno degli strumenti più promettenti per migliorare ulteriormente la nostra conoscenza e gestione delle malattie causate da “misfolding”, ossia dall'errato ripiegamento strutturale delle proteine”.
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