Il prof. Pier Mannuccio Mannucci e il Dott. Massimo Franchini fanno il punto della situazione
L’emofilia è una delle poche malattie monogeniche legate al cromosoma X ad avere a disposizione terapie efficaci e di alto livello, grazie ai progressi degli ultimi 40 anni. Due esperti italiani nel campo dell’emofilia hanno recentemente tracciato una breve storia della malattia, analizzato le attuali opzioni terapeutiche e gli obiettivi per il futuro.
Si tratta del Dott. Massimo Franchini della U.O.C. trasfusionale ed immunoematologia dell’azienda Ospedaliera Universitaria di Verona e il prof. Pier Mannuccio Mannucci, ordinario di Medicina Interna dell’Università Statale di Milano e direttore scientifico della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore di Milano, i quali hanno recentemente pubblicato questa review sulla rivista Orphanet Journal of Rare Disease.
La moderna cura dell’emofilia, malattia nota fin dai tempi antichi, conosce una prima “età d’oro” negli anni ’70, con la disponibilità di concentrati plasmatici di fattori FVIII e FIX di sostituzione e l’introduzione della profilassi primaria.
“Questa situazione ottimistica cambiò drammaticamente nei primi anni ’80”, spiegano gli ematologi, “In seguito alle infezioni virali, trasmesse per via ematica, causate da concentrati plasmatici prodotti senza l’inattivazione virale.”
Negli ultimi 30 anni sono stati fatti grandi progressi: “L’introduzione di fattori di coagulazione derivati da plasma sottoposto a inattivazione di virus e, successivamente, di prodotti ricombinanti, ha rivoluzionato le cure di queste persone” al punto che l’aspettativa di vita dei pazienti emofiliaci ha quasi raggiunto quella della popolazione sana maschile.
Per quanto riguarda il futuro, Mannucci e Franchini portano l’attenzione sugli aspetti ancora irrisolti: “In questo contesto promettente, la complicazione più critica è la comparsa di alloanticorpi inibitori contro FVIII e FIX”. Sono pertanto attualmente in fase di studio numerose molecole in grado di diminuire la reazione immunitaria dell’ospite contro i fattori di sostituzione: “Diverse aziende farmaceutiche stanno attualmente sviluppando fattori caratterizzati da emivite più lunghe, allo scopo di diminuire la frequenza delle somministrazioni, e da antigenicità/immunogenicità ridotte, per minimizzare la formazione di inibitori”.
Un’altra interessante opzione terapeutica, in fase di sviluppo, viene dalla genetica: “Nell’ultimo decennio ci si è concentrati sulla ricerca di una cura definitiva per l’emofilia, per esempio attraverso la correzione alla radice del difetto nel DNA mediante il trasferimento genico” oppure attraverso “l’induzione genetica dell’espressione di FVIII e FIX nelle piastrine o in cellule endoteliali”.
Gli autori infine mettono l’accento sulla necessità di tenere alto l’interesse verso questa malattia e di aumentare la disponibilità delle cure nei paesi in via di sviluppo : “E’ necessario prima di tutto il mantenimento degli ottimi standard di cura attuali, che sono messi a rischio dalla crisi economica globale. E’ da sottolineare che i costi dell’emofilia sono un’esigua parte del costo totale della sanità in tutti i paesi e l’efficacia delle cure è ampiamente dimostrata. Inoltre, i paesi più ricchi dovrebbero soddisfare le richieste di fattori di sostituzione dei paesi poveri dell’Africa”
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