Immunodeficienze, immunoglobuline

Intervista al Prof. Angelo Vacca, Ordinario di Medicina Interna e Direttore dell’U.O.C. di Medicina Interna “Guido Baccelli” al Policlinico di Bari

“Le immunodeficienze sono un raggruppamento di patologie eterogenee ma riassumibile sostanzialmente in due entità: le forme primarie e quelle secondarie, cioè quelle che sono conseguenza di altre malattie o di specifici trattamenti terapeutici. Tra le forme primarie una delle più comuni - arriva a rappresentare fino al 70% dei casi - è il deficit immunologico comune variabile che interessa il settore B-linfocitario.”

Inizia così il Prof. Angelo Vacca, Ordinario di Medicina Interna e Direttore dell’U.O.C. di Medicina Interna “Guido Baccelli” al Policlinico di Bari, intervistato da Osservatorio Malattie Rare per la realizzazione della pubblicazione "Storia e valore delle immunoglobuline. L’utilizzo terapeutico nelle immunodeficienze primitive, immunodeficienze secondarie e nella polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica", realizzata da Takeda Italia e scaricabile gratuitamente.

“All’elettroforesi proteica, questo deficit comporta in genere una riduzione al di sotto del 5% della frazione gamma-globulinica [l’intervallo di normalità va da 11,1 a 18,8%, N.d.R.] – prosegue l’esperto. Molto utilizzata nella routine diagnostica, l’elettroforesi delle proteine consiste nella separazione delle frazioni proteiche (principalmente albumina, alfa-1 e alfa-2 globuline, beta e gamma-globuline): viene spesso richiesta in presenza del sospetto di immunodeficienza o di malattie immunoproliferative, quali il mieloma multiplo, la leucemia linfatica cronica, i linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin, l’amiloidosi, o di nefropatie.

Una riduzione delle gamma-globuline intorno al 5% corrisponde a un valore delle immunoglobuline di classe G (IgG) di circa 400 mg/dL” [i valori normali sono compresi tra 650 e 1700 mg/dL, N.d.R.].”

Si tratta di un livello problematico per quelle che sono le immunoglobuline più rappresentative”, continua Vacca. “In queste situazioni, infatti, il paziente è esposto a un forte rischio di infezioni”. Le immunoglobuline sono anticorpi di classi differenti (IgG, IgA, IgM, IgD, IgE) che il sistema immunitario produce in risposta agli stimoli interni ed esterni, e che aggrediscono gli agenti patogeni (soprattutto batteri e virus) fungendo così da difesa dell’organismo.

Delle immunodeficienze a prevalente deficit anticorpale, la più grave è la agammaglobulinemia di Bruton. “Anche nota come agammaglobulinemia congenita legata al sesso, la agammaglobulinemia di Bruton è molto rara e contraddistinta dall’assenza della regione gamma all’elettroforesi proteica”, spiega Vacca. “In questa malattia, il numero di linfociti B maturi è ridottissimo se non addirittura assente, sia dal sangue periferico che dal midollo osseo. Pertanto, i pazienti sono soggetti a vari e ripetuti episodi infettivi”. La diagnosi trova conferma proprio dall’assenza di IgG, IgA e IgM nel siero. “Esiste anche un deficit selettivo delle sottoclassi delle IgG che corrisponde alla carenza di una o più sottoclassi delle di tali immunoglobuline (IgG1, IgG2, IgG3 o IgG4)”, aggiunge l’esperto.

È sufficiente che una sola di queste risulti deficitaria perché si instauri un quadro clinico di grave immunodeficienza che assomiglia molto a quella del deficit immunologico comune variabile. Purtroppo, la diagnosi è meno immediata rispetto alle precedenti perché bisogna capire quale sottoclasse sia carente”. Infine, tra le immunodeficienze figurano le forme combinate gravi (severe combined immunodeficiency disease, SCID) su cui spiccano l’agammaglobulinemia, il deficit di adenosin-deaminasi (ADA) - per cui è ora disponibile una terapia genica - e il deficit di nucleotide fosforilasi (NP). “In queste malattie rare sono compromesse sia le branche T- e B-linfocitarie che l’immunità innata”, precisa Vacca.

Quando il deficit immunologico primario viene diagnosticato in età pediatrica si può eseguire il trapianto di midollo osseo da donatore compatibile, che consente di rimpiazzare la componente deficitaria”.

Per tutte le forme dell’adulto elencate, il trattamento consiste invece nella somministrazione di immunoglobuline. “Sono disponibili in commercio diversi preparati per la somministrazione endovenosa che, tuttavia, esigono un significativo impegno dei medici e degli operatori sanitari coinvolti, oltre che una più difficile aderenza terapeutica da parte del paziente”, continua. “Nel più recente periodo sono state approvate le immunoglobuline a somministrazione sottocutanea, come l’immunoglobulina umana normale e ialuronidasi umana ricombinante per infusione sottocutanea. Tali trattamenti sono destinati a una vasta casistica di pazienti affetti sia da deficit immunologici primitivi che secondari”.

Il vantaggio più immediato delle immunoglobuline per via sottocutanea consiste nel fatto che il paziente acquisisce autonomia nell’erogazione del trattamento e può assumerlo a casa propria, senza doversi recare in ospedale. “Di norma il medico stabilisce il piano terapeutico con cui il paziente si rivolge alla farmacia ospedaliera per l’approvvigionamento del farmaco”, spiega ancora Vacca. “Le prime somministrazioni vengono eseguite in ambulatorio, in modo tale che il medico possa spiegare le modalità di assunzione del farmaco e, successivamente il paziente prosegue la terapia al domicilio, senza esser costretto a ritornare ogni volta in ospedale”. L’assunzione di farmaci come l’immunoglobulina umana normale e ialuronidasi umana ricombinante per infusione sottocutanea - una volta al mese - consente di riportare i livelli di IgG ad un valore di sicurezza e garantisce al paziente la protezione dalle infezioni.

Sebbene le immunodeficienze si sviluppino attraverso meccanismi patogenetici differenti, la terapia passa sempre dalla somministrazione di immunoglobuline, soprattutto quelle per via sottocutanea.

In questo modo il paziente non perde giornate di lavoro e può organizzare al meglio la propria vita, tornando in ospedale per i controlli ogni 4 mesi”, afferma Vacca. “Inoltre, il personale ospedaliero che prima seguiva le somministrazioni endovenose può esser destinato alla cura di malati con altre patologie”. Iniettati facilmente attraverso la cute nel tessuto adiposo sottocutaneo, questi farmaci sono utilizzati anche per il trattamento delle immunodeficienze secondarie. “Questi deficit si instaurano in seguito a patologie di tipo onco-ematologico, come i linfomi di Hodgkin o non-Hodgkin, il mieloma multiplo o la leucemia linfatica cronica (LCC)”, puntualizza Vacca. “Fino al 60% dei pazienti con queste malattie può incorrere in una ipogammaglobulinemia patologica che li espone al rischio di infezioni batteriche di qualsiasi grado”. Tra le spiegazioni del fenomeno figurano le terapie a cui i pazienti sono sottoposti, come i farmaci immunosoppressori che sopprimono la componente B-linfocitaria associata alla malattia. “La lista è lunga e comprende agenti immunomodulanti come lenalidomide, pomalidomide e talidomide, inibitori del proteasoma come bortezomib, anticorpi monoclonali come daratumumab, diretti contro l’antigene CD-38 espresso sulla superficie delle plasmacellule maligne”, precisa.

“A questi si vanno ad aggiungere gli anticorpi bispecifici che legano la cellula T contro la cellula B neoplastica attraverso l’antigene BCMA esposto sulla superficie di tutte le cellule B nel caso del mieloma multiplo, e persino le cellule CAR-T usate per la cura dei linfomi e dei mielomi possono suscitare un’immunodeficienza secondaria al trattamento”. Infine, nelle malattie autoimmuni, i farmaci immunosoppressori sono azatioprina, micofenolato mofetile, metotrexato, nonché i cortisonici impiegati per la cura del LES, della sclerodermia e dell’artrite reumatoide e anche certi farmaci biologici usati per il controllo delle malattie reumatologiche. La strategia terapeutica passa sempre dalla terapia sostitutiva con le immunoglobuline.

Nonostante il successo dei farmaci, in certi centri si riscontrano problemi di accessibilità. “Accade che le farmacie ospedaliere di alcune ASL sostituiscano le immunoglobuline con ialuronidasi umana ricombinante con altre formulazioni analoghe ma meno costose”, dichiara Vacca. “Vista la loro innovatività sul piano tecnico, questi farmaci sono stati approvati e resi disponibili a prezzi più elevati rispetto alle immunoglobuline standard; perciò, la farmacia impone il preparato a costo inferiore per andare incontro alle regole e ai limiti della farmacoeconomia. In questi casi, il medico prescrivente deve insistere per far avere al proprio assistito il farmaco più efficace e meglio tollerato. È un problema spiacevole che riguarda un certo numero di realtà su tutto il territorio nazionale e che si spera possa essere risolto eliminando questo genere di limitazioni, impensabili per malattie rare, fra cui le immunodeficienze”.

I CENTRI DI RIFERIMENTO PER LE IMMUNODEFICIENZE

In Italia, i maggiori centri per la presa in carico del paziente con immunodeficienza sono ben dislocati lungo la penisola e includono medici specialisti nelle province di Bari, Barletta-Andria-Trani, Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Genova, Brescia, Padova e Treviso. “Alcune Regioni si sono dotate di un proprio percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA) che favorisce la stretta connessione tra i centri di riferimento e quelli sul territorio”, chiarisce Vacca. “Ma nella maggior parte delle situazioni sono gli specialisti a tessere rapporti di collaborazione su base individuale, oppure tramite l’organizzazione di eventi e congressi in un’ottica di scambio di informazioni aggiornate sulla patologia. Manca una rete nazionale di riferimento per le immunodeficienze ma, per fortuna, gli specialisti incontrano il supporto dell’Associazione ImmunITA e di realtà come l’Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica (AIEOP) che comprende i pediatri presso i centri dedicati ai bambini affetti da immunodeficienza”.

Una delle problematiche aperte riguarda infatti la transizione di questi bambini dall’età pediatrica a quella adulta, senza che il loro percorso di cura si interrompa. “C’è ancora bisogno di molto lavoro per costruire una Rete per le immunodeficienze”, conclude Vacca. “Serve l’impegno di tutti, a partire dalle aziende che rendono disponibili i farmaci di cui c’è enorme richiesta: le immunoglobuline concorrono anche al trattamento di patologie neurologiche, come la polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica. Da qui in avanti saranno necessarie forniture cospicue e occorrerà utilizzare i farmaci con grande parsimonia affinché tutti possano averne accesso senza interruzioni”.

Scarica qui la pubblicazione integrale "Storia e valore delle immunoglobuline. L’utilizzo terapeutico nelle immunodeficienze primitive, immunodeficienze secondarie e nella polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica".

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