Per le persone affette da ipertensione polmonare tromboembolica cronica (CTEPH) sono costantemente in aumento le possibilità di attuare delle terapie in grado di allungare le aspettative di vita e migliorarne la qualità; questo grazie ad una esperienza sempre maggiore nelle tecniche chirurgiche – con una sempre più precisa valutazione dei  rischi – ma anche grazie allo studio di diversi farmaci che agiscono sui vasi sanguigni del polmonare aiutando a riportare la pressione a livelli meno pericolosi. Uno degli ultimi farmaci che attualmente la ricerca sta prendendo in considerazione e che sembra essere promettente è il Riociguat, uno stimolatore della guanilato ciclasi solubile. Tutto ciò è spiegato in maniera accurata dal prof Gregory Piazza nell’articolo pubblicato a gennaio su The News England Journal Of Medicine (NEJM).
Allo stato attuale delle conoscenze - spiega Piazza nel documento che qui riassumiamo, ma disponibile anche integralmente in lingua inglese - la terapia più efficace per l’ipertensione polmonare tromboembolica cronica (CTEPH) è la tromboendoarterectomia, mentre terapie mediche ulteriori rispetto alla terapia anticoagulante, utilizzata ormai praticamente di routine, vengono prese in considerazione nei pazienti inoperabili o con persistente o ricorrente ipertensione polmonare dopo la tromboendoarterectomia polmonare. E’ ormai dimostrato infatti che la tromboendoarterectomia polmonare rimuove con successo il materiale ostruttivo e migliora notevolmente la misura della pressione dell'arteria polmonare, la resistenza vascolare nel polmonare e riduce gli effetti della malattia a livello cardiaco. Migliorano anche le misure di capacità funzionale, come la distanza percorsa in 6 minuti e la valutazione in base alla classificazione della New York Heart Association (NYHA). I benefici di questa tecnica solitamente persistono a meno che non si sviluppi un’arteriopatia dei piccoli vasi o un’embolia polmonare ricorrente. I Pazienti con CTEPH sintomatica  e chirurgicamente accessibile – spiega dunque Piazza -  e con un rischio perioperatorio accettabile, dovrebbero rivolgersi dunque verso la tromboendoarterectomia polmonare.

Quando è utile l’angioplastica coronaria?
Questa tecnica è un’alternativa per un numero molto selezionato di casi che non siano operabili con tromboendoarterectomia o che anche dopo questa, abbiano ancora un’ipertensione polmonare cronica. Un successo dell’angioplastica può ridurre la pressione dell'arteria polmonare in pazienti con CTEPH, migliorare la funzionalità in base alla classificazione NYHA e nella distanza percorsa in 6 minuti, tuttavia va detto che l’esperienza con questa procedura, raramente eseguita, è molto limitata.
E le Le terapie non chirurgiche?
Nella maggior parte dei pazienti affetti da CTEPH viene prescritta la terapia anticoagulante anche se mancano dati provenienti da studi clinici randomizzati a sostegno di questa diffusa pratica. Tra i pazienti con ipertensione polmonare idiopatica o con embolia polmonare, la terapia anticoagulante protratta a tempo indeterminato ha ridotto il rischio di recidiva di tromboembolismo venoso.
Per i pazienti che siano inoperabili la prescrizione di vasodilatatori può invece contribuire ad aumentarne la sopravvivenza. Attualmente sono diverse le molecole allo studio per questo fine: tra questi il recettore dell'endotelina antagonista, il Bosentan, gli inibitori della fosfodiesterasi, il Sildenafil e analoghi della prostaciclina. Studi recenti sulla maggior parte di queste molecole hanno dimostrato risultati incoraggianti nell’emodinamica e nei test di funzionalità.
Oltre a queste molecole attualmente allo studio c’è un nuovo tipo di terapia a base di uno stimolatore della guanilato ciclasi solubile, il Riociguat, che si sta dimostrando promettente. Proprio per l’utilizzo di questo farmaco sono stati recentemente aperti gli arruolamenti in trial clinici di terza fase che si svolgeranno anche in Italia. (Per i trial clicca qui
 

 

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