Ipoparatiroidismo: sintomi e diagnosi

Ne parliamo con la Prof.ssa Valentina Camozzi, dell’Azienda Ospedale Università di Padova

L'ipoparatiroidismo è una patologia endocrina ancora oggi sottodiagnosticata e poco conosciuta. Si tratta di una malattia, rara in alcune forme, caratterizzata dalla carenza o dall'inefficace funzionamento del paratormone (PTH), essenziale per l'equilibrio del calcio e del fosforo nell'organismo. Abbiamo già discusso in un precedente articolo della sua incidenza e delle sue principali manifestazioni, e del fatto che ad oggi l’unica terapia disponibile in Italia (efficace però solo nel 37% dei casi) rimane la somministrazione di calcio e vitamina D attiva. Nel frattempo si attende la rimborsabilità di un farmaco, il palopegteriparatide, analogo del paratormone e in grado di curare il 90% dei pazienti con questa condizione. In questo approfondimento, insieme alla professoressa Valentina Camozzi, Dirigente Medico Unità Operativa Complessa di Endocrinologia presso l’Azienda Ospedaliera dell’Università di Padova, parliamo dei sintomi, di come riconoscere la patologia e di quali indagini cliniche sono necessarie per diagnosticarla in tempo.

PARESTESIE O FORMICOLII

Uno dei sintomi più caratteristici dell'ipoparatiroidismo sono le parestesie, comunemente descritte come formicolii. Ma non si tratta dei comuni formicolii che si possono sperimentare in altre condizioni. “Non è il disturbo tipico del tunnel carpale o quello della neuropatia della cervicobrachialgia”, spiega Camozzi. “Le parestesie nell'ipoparatiroidismo possono intensificarsi rapidamente e manifestarsi con caratteristiche peculiari. In alcuni casi, possono evolvere verso situazioni più gravi, come una crisi tetanica, una condizione clinica caratterizzata da spasmi muscolari involontari e dolorosi, che coinvolgono principalmente la muscolatura del volto e degli arti.”

QUANDO SOSPETTARE L'IPOPARATIROIDISMO

L'ipoparatiroidismo si manifesta soprattutto nelle persone che hanno subito una tiroidectomia (rimozione della tiroide). La condizione può presentarsi immediatamente dopo l'intervento chirurgico, oppure a distanza di tempo dall'operazione. Nel primo caso, ciò avviene perché durante l'intervento le paratiroidi (piccole ghiandole situate in prossimità della tiroide) possono essere state rimosse insieme alla tiroide stessa. Nel secondo scenario, pur essendo state preservate durante l'operazione, queste ghiandole possono subire danni di tipo vascolare. “Sono ghiandoline molto piccole, molto sensibili, possono andare in ischemia più tardivamente”, spiega la specialista. “Di conseguenza l'ipoparatiroidismo, e quindi anche l'ipocalcemia, si possono manifestare anche più tardivamente rispetto alla data di intervento.”

ALTRI CONTESTI IN CUI SOSPETTARE LA PATOLOGIA

Non solo chi ha subito interventi alla tiroide deve prestare attenzione a questi sintomi. Come spiega Camozzi, “l'ipoparatiroidismo può manifestarsi anche in pazienti con patologie autoimmuni, come la tiroidite di Hashimoto o l'iposurrenalismo, o anche nelle sindromi poliendocrine autoimmuni, dove l’autoimmunità colpisce più ghiandole endocrine. In questi casi, lo specialista è già allertato e potrebbe ricercare l'ipoparatiroidismo anche prima della comparsa dei sintomi. Ci sono altre forme congenite, che possono manifestarsi in età pediatrica, ma anche più tardivamente nell'età adulta, quando il quadro clinico può degenerare in modo improvviso.”

LE COMPLICANZE PIÙ GRAVI: OLTRE LE PARESTESIE

Se non adeguatamente diagnosticato e trattato, l'ipoparatiroidismo può evolvere verso complicanze ben più severe delle semplici parestesie, come crisi epilettiche: "Le crisi posso essere in effetti causate dalla carenza di calcio ma anche dallo sbilanciamento che abbiamo nel rapporto calcio-fosforo. Si possono determinare calcificazioni cerebrali, in particolare a livello dei nuclei della base, che possono essere responsabili di crisi epilettiche", riferisce la professoressa Camozzi. E non parliamo di eventi rarissimi: “Solo l’anno scorso nel nostro ospedale sono stati ricoverati quattro pazienti con crisi epilettiche dovute a un ipoparatiroidismo non diagnosticato”. Lavori scientifici recenti suggeriscono che potrebbero verificarsi addirittura alterazioni qualitative degli emisferi cerebrali.

Non ultimo, i pazienti possono accusare stanchezza ed essere soggetti anche ad alterazioni neurologiche con disturbi di concentrazione (“brain fog”) e atteggiamenti depressivi che limitano la qualità di vita.

I pazienti con ipoparatiroidismo, se pur gestiti al meglio, possono sviluppare calcolosi renale, nefrocalcinosi e, nel tempo, anche insufficienza renale. Va precisato che questo rischio riguarda soprattutto i pazienti trattati a lungo termine con calcio e calcitriolo, la terapia standard attuale per l'ipoparatiroidismo.

COME SI DIAGNOSTICA LA MALATTIA

La diagnosi dell'ipoparatiroidismo si basa su esami di laboratorio relativamente semplici:
- calcemia: l'esame più basilare è la misurazione del calcio nel sangue;
- fosforemia: nei pazienti con ipoparatiroidismo, si osserverà tipicamente calcio basso e fosforo alto, una combinazione che deve mettere in allarme;
- paratormone (PTH): in questa condizione, il livello di paratormone risulterà basso;
- vitamina D: l'esame della vitamina D aiuta a differenziare l'ipoparatiroidismo da altre cause di ipocalcemia, se il PTH non è ridotto.

Quando si riscontra un livello basso di calcio nel sangue, è importante abbinare a questo dato anche la misurazione del fosforo", spiega l’endocrinologa. "Il quadro biochimico specifico dell'ipoparatiroidismo mostra infatti una combinazione caratteristica: calcio basso e fosforo alto. Questa combinazione dovrebbe immediatamente allertare il medico. Se invece si trovasse calcio basso e fosforo basso, si potrebbe pensare a un problema di assorbimento, come un'ipovitaminosi D: In quest'ultimo caso, il paratormone (PTH) risulterebbe aumentato, come risposta compensatoria dell'organismo.”

“Nell'ipoparatiroidismo, invece, con calcio basso e fosforo alto, il paratormone risulterà basso, anche in presenza di livelli normali di vitamina D. Questo perché manca completamente l'azione del PTH a livello renale, che normalmente favorisce il riassorbimento tubulare di calcio e l'escrezione di fosfato”. Questo sbilanciamento nel rapporto calcio-fosforo porta a un'alterazione del loro prodotto nel sangue, che è responsabile delle calcificazioni nei tessuti non ossei e delle manifestazioni neurologiche associate all'ipocalcemia.

IL PERCORSO DIAGNOSTICO E LA PRESA IN CARICO

Una volta ottenuta la diagnosi, la gestione del paziente con ipoparatiroidismo non può essere esclusivamente endocrinologica, ma richiede un approccio multidisciplinare, perché come abbiamo visto questa condizione può causare danni neurologici o renali, tra gli altri.

Un altro aspetto fondamentale del follow-up dei pazienti con ipoparatiroidismo è il monitoraggio della salute ossea. Anche se la densitometria ossea può risultare nella norma o addirittura buona, è necessario ricercare attivamente eventuali fratture. “La densitometria ci dice poco – aggiunge Camozzi – perché anche in presenza di una buona densità minerale, i pazienti con ipoparatiroidismo presentano una maggior prevalenza di fratture. Pertanto, se non sono evidenti fratture periferiche o cliniche, devo cercare quelle radiologiche”. Questo succede perché “l'osso del paziente ipoparatiroideo risulta invecchiato, non riesce a garantire il rimodellamento osseo, né a far fronte alle microlesioni alle quali normalmente andiamo incontro. Inoltre, il rischio di fratture può essere ulteriormente aumentato nelle donne che sviluppano ipoparatiroidismo post-chirurgico e successivamente entrano in menopausa, creandosi una situazione di doppio rischio per la salute ossea.”

L'ESPERIENZA DI UN CENTRO SPECIALIZZATO

L'importanza di un approccio specialistico e multidisciplinare per l’ipoparatiroidismo è evidente dall'esperienza di centri dedicati come quello dell'Unità Operativa di Endocrinologia dell'Università di Padova, dove opera la dottoressa Camozzi: "Da circa quattro anni abbiamo avviato un ambulatorio dedicato per iperpara-ipoparatiroidismo, quindi patologie delle paratiroidi, dove arrivano casi da tutta la regione”.

La rete collaborativa tra specialisti è fondamentale. Ma anche quella territoriale è preziosa, sebbene più complessa. “La rete territoriale è difficile, ma è difficile in tutte le patologie", ammette l'esperta. “Nel centro di Padova sono stati organizzati alcuni momenti formativi, chiamati “Pillole di endocrinologia” - brevi presentazioni dedicate ai medici del territorio con casi clinici e messaggi chiave - per provare a migliorare la formazione e la collaborazione con il territorio. Questa connessione è particolarmente importante per le malattie rare, dove il primo contatto del paziente è spesso il medico di famiglia.”

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