Su 108 persone colpite da eventi cerebrovascolari 3 sono risultate affette dalla malattia, che non era stata diagnosticata per mancanza dei classici sintomi renali.

Firenze - Non è sempre facile capire quali possano essere le cause di un evento cerebrovascolare grave e, se c’è di mezzo anche una malattia rara, la situazione può essere molto più complessa del previsto. La crisi ischemica è una complicazione clinica di natura grave che si osserva in più del 25% dei pazienti affetti da malattia di Fabry, una patologia rara (ha un’incidenza di 1:80.000), ereditaria, legata al metabolismo degli sfingolipidi.

La malattia di Fabry si caratterizza per un accumulo dei prodotti di degradazione dei glicolipidi nei diversi tessuti e per questo può essere considerata una malattia multisistemica. Da ciò consegue che i sintomi possono essere vari e riguardare diversi organi e sistemi: dolori alle estremità, presenza di angiocheratoma a livello cutaneo, complicazioni renali che esordiscono con proteinuria e poliuria e possono sfociare nell’insufficienza renale, disturbi ottici (opacità corneale e cataratta) e insufficienza cardiaca ed aritmia. Ultimi, ma non per questo meno importanti, sono gli eventi cerebrovascolari, come ischemia e trombosi, che possono avere implicazioni estremamente pesanti e necessitare di lunghi periodi di ospedalizzazione.     

La malattia di Fabry origina da un’anomalia genetica che comporta una carenza dell’enzima alfa-galattosidasi A nei leucociti e nei fibroblasti e la sua trasmissione è legata al gene X per cui le femmine portatrici possono risultare asintomatiche o manifestare i sintomi, come i maschi emizigoti. Questo rende ancora più difficile riconoscere la malattia in tempo e distinguerla da altre patologie che hanno un ventaglio di segni clinici sovrapponibile, come il lupus e l’artrite reumatoide.

Nonostante esista l’opportunità di effettuare un’analisi a livello genetico e di confermare la malattia con il dosaggio dell’enzima alfa-galattosidasi A, i protocolli di screening tra pazienti colpiti da ictus hanno dato finora risultanti discordanti a causa della difficoltà e delle lacune createsi nella raccolta di dati. Uno lavoro pubblicato sull’ultimo numero della rivista Journal of Stroke and Cerebrovascular Disease da un team di ricerca italiano – composto da ricercatori di Firenze e Bologna -  ha studiato la frequenza della malattia di Fabry tra i pazienti colpiti da ischemia, fornendo anche nuovi mezzi per ottenere una diagnosi della malattia all’interno di questo gruppo di soggetti.     

Sono stati arruolati nello studio e sottoposti ad analisi cliniche e test genetici 108 pazienti (66 maschi e 42 femmine) colpiti da ischemia o da attacco ischemico transitorio e in 3  di questi (1 maschio e 2 femmine) è stata formulata una diagnosi di malattia di Fabry de novo. Nel paziente maschio è stata osservata una forte carenza dell’enzima alfa-galattosidasi A (risultata molto al di sotto della media di categoria) ed è stata riscontrata una mutazione genetica confrontabile con quelle precedentemente associate alla malattia di Fabry. Nelle due donne, invece, l’analisi genetica ha permesso l’identificazione di 2 nuove varianti in eterozigosi (la sostituzione nucleotidica c.1244T>G e la delezione c.548-3_553del9). Nessuno dei tre pazienti ha riportato manifestazioni clinicamente significative a livello renale mentre tutti i pazienti avevano già subito un periodo di ospedalizzazione in seguito a eventi di tipo ischemico. Questa è un’indicazione da non trascurare perché implica che la diagnosi di malattia di Fabry possa essere effettuata non solo in presenza di un serio problema renale. I ricercatori hanno anche confermato l’associazione tra malattia di Fabry e l’insorgenza di angiocheratoma e di emorragie di tipo lacunare.

La malattia di Fabry è una patologia rara ad andamento degenerativo che, se non trattata, può ridurre considerevolmente l’aspettativa e la qualità di vita dei pazienti perciò è fondamentale comprendere le sfaccettature genotipiche e fenotipiche della malattia ed adottare tutti i mezzi necessari per ridurre o contenere il ritardo diagnostico che, soprattutto nei soggetti più giovani, può avere conseguenze drammatiche.

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