La scoperta di questa attività potrebbe essere alla base di un futuro trattamento per la malattia
La notizia pubblicata lo scorso 21 marzo sugli Atti della National Academy of Sciences è di quelle che danno molte speranza, sia per la novità scientifica in sè che per la possibilità che le conseguenze di questo studio si traducano in terapie più velocemente che in altri casi. Si tratta dunque di una notizia che potrebbe dare qualche speranza in più a tutte quelle famiglie che combattono contro una malattia lisosomiale rara, geneticamente trasmissibile, e dagli effetti devastanti: la Niemann-Pick di tipo C (NPC) e in particolare la sua forma più diffusa, quella legata alla mutazione del gene NPC1. Stando allo studio - firmato da tre principali autori Paul Helquist Olaf Wiest e Frederick R. Maxfield, i primi due dell’università di Notre Dame e il terzo del Weill Cornell Medical College di New York – gli inibitori della deacetilasi degli istoni o inibitori dell’HDAC, sarebbero in grado, in questa forma di malattia, di correggere i danni dovuti all’accumulo lisosomiale di colesterolo e permettere alle cellule prima malate di tornare a funzionare normalmente.
Il gruppo di studio, che ha lavorato su un modello di fibroblasti umani ha infatti provato che questi farmaci possono correggere il difetto genetico alla base della malattia e hanno mostrato con delle immagini che le cellule malate, una volte trattate con gli inibitori HDAC, diventavano indistinguibile dalle normali cellule umane. Ma non è questa la sola notizia importante relativa a questo studio. Ad aumentarne il valore è anche il fatto che attualmente gli inibitori HDAC vengono studiati, anche in sperimentazioni di Fase III, per il trattamento di diversi tipi di cancro ed hanno dimostrato di essere ben tollerati ed efficienti già a basse dosi. Addirittura ci sono già dei farmaci approvati a base di questi inibitori. Come gli stessi autori sottolineano, se i risultati ottenuti in cellule umane fossero confermati negli studi clinici, proprio il fatto che gli inibitori della istone deacetilasi siano già in uso potrebbe accelerare molto lo sviluppo di una cura per questa malattia devastante che attualmente non ha alcuna terapia in grado né di bloccarne la progressione né, tanto meno, di riparare i danni prodotti dall’accumulo di lipidi nelle cellule. A pagare i costi di questa ricerca è stata la Fondazione Parseghian che prende il nome dal noto allenatore di calcio del Notre Dame Ara Parseghian che vite tre dei quattro nipoti morire proprio a causa di questa malattia.
La Malattia
La Niemann–Pick è infatti una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva dovuta, nelle maggior parte dei casi, alla mutazione del gene NCPI che causa a sua volta un difetto nel traffico intracellulare del colesterolo e il conseguente l'accumulo all’interno della cellula, in particolar modo di quelle cerebrali. La malattia causa danni cerebrali progressivi tanto gravi che il National Institutes of Health l’ha definita "Alzheimer infantile" a causa delle somiglianze nel cervello dei pazienti NPC e malattia di Alzheimer.
La Niemann–Pick fa parte della grande famiglia delle malattie da accumulo lisosomiale, colpisce circa una persona ogni 130 mila nati ma non è detto che l’esordio avvenga in età infantile. La forma ‘C’, diversa dai tipi A e B, può infatti manifestare i suoi gravi sintomi anche in età adulta e, stando alla letteratura medica, fin oltre i 50 anni. Il quadro clinico può essere molto diverso da soggetto a soggetto, nei neonati e nei bambini molto piccoli nel 40 per cento dei casi esordisce con una crescita anomala del fegato ed ittero che possono anche regredire spontaneamente o evolvere rapidamente causando anche la morte. A questi sintomi seguono poi quelli neurologici che in genere vanno peggiorando fino a pregiudicare l’autonomia dell’alimentazione e la perdita di molti movimenti oltre a quella delle capacità intellettive. In genere si distingue tra la forma infantile grave (20 per cento dei casi) che comporta entro i 2 anni di vita la comparsa dei sintomi neurologici, forme giovanili in cui i sintomi e in particolare la demenza si manifestano tra i 3 e i 15 anni (70 per cento dei casi) e infine, un 10 per cento di forme adulte accompagnate da gravi disturbi psichiatrici.
Le mutazioni genetiche che sono alla base del male, secondo un meccanismo ancora non del tutto chiaro, causano un'anomalia del trasporto intracellulare del colesterolo esogeno (LDL), con conseguente accumulo. La diagnosi si stabilisce in seguito alla evidenziazione di queste anomalie nei fibroblasti in coltura (specie attraverso il "filippine test" citochimico).
Attualmente non esiste un trattamento specifico. L'analisi degli agenti di riduzione del colesterolo non ha evidenziato alcun effetto sulle manifestazioni neurologiche. Dagli studi su animali (gatti e topi) sono stati ottenuti risultati interessanti su un inibitore della sintesi glicolipidica, che hanno consentito l'inizio di una sperimentazione clinica. La prognosi dipende dall'età di insorgenza delle manifestazioni neurologiche e è più grave nei casi di coinvolgimento precoce delle funzioni neurologiche.
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