La denuncia dell’Associazione Italiana Glicogenosi
“Mentre quasi tutte le regioni italiane hanno recepito la normativa dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) del 30 marzo 2020 per consentire ai pazienti affetti da malattia di Pompe (una rara e grave patologia muscolare che compromette la muscolatura e l’apparato respiratorio dei pazienti) di praticare presso il proprio domicilio le cure salva vita che tale patologia richiede, la Regione Emilia Romagna, nonostante le continue sollecitazioni da parte dei pazienti, prevalentemente immunodepressi e con ridotta mobilità, si rifiuta di praticare l’home therapy, senza dare una motivazione valida, ma solo parole fumose che non rispettano le reali difficoltà di questi pazienti fragili”. A denunciare la situazione, in una nota stampa, è l’Associazione Italiana Glicogenosi (AIG).
“Il presidente Bonaccini - prosegue AIG - ogni giorno sui suoi social si vanta che la sanità è il fiore all'occhiello della regione Emilia-Romagna, quando invece nella realtà le esigenze dei singoli cittadini vengono ignorate. Regioni come la Sicilia o la Calabria, pur denigrate o commissariate, non hanno tardato ad andare incontro ai propri cittadini più fragili. E in Emilia Romagna?”
“Dal 2007, ogni 2 settimane devo sottopormi ad un’infusione in ospedale che dura circa 5 ore”, afferma una paziente di Faenza. “Fino all’arrivo del COVID mi sono sempre recata in ospedale con mio marito, essendo disabile e non autosufficiente per gli spostamenti. Da marzo 2020 a settembre 2021 sono stata costretta a rimanere in ospedale da sola, non accompagnata, senza possibilità di muovermi o di andare in bagno. Ora con il Green Pass è stato concesso a mio marito di poter stare con me, ma solo finché non ci sarà aumento dei casi e questo mi mette ansia. Non capisco perché in tutta Italia sia possibile fare infusione a domicilio e in Emilia Romagna no. In 14 anni non ho mai avuto un evento avverso, a casa potrei essere autonoma e non dovrei costringere mio marito a prendere giorni di ferie (i 3 giorni della 104 non bastano se si aggiungono anche visite ed esami periodici). Inoltre lavorando da anni in smart working non sarei costretta io in primis a prendere ferie e potrei gestire il mio lavoro senza dipendere dal giorno della terapia. Non dovrei dipendere dalla disponibilità di mio marito, non dovrei pensare a trovare e pagare un’ambulanza in caso mio marito fosse malato, non dovrei saltare la terapia se l’ascensore o la macchina si guastassero. Poter contare sulla home therapy sarebbe un enorme salto di qualità per la mia autonomia e per garantirmi continuità nella terapia senza dipendere da nessuno. Potrei usare i giorni della legge 104 per intraprendere un programma di fisioterapia poiché fino ad ora non è stato possibile. Vorrei poter scegliere, come è possibile in tutte le altre regioni”.
“La mia condizione fisica - afferma un paziente di Forlì - purtroppo negli ultimi mesi si è ulteriormente aggravata. Oramai non riesco più a camminare senza l'ausilio del solo bastone, necessito dell'accompagnamento di un'altra persona che mi deve sorreggere quando mi reco in ospedale per la terapia enzimatica. Inoltre non riesco più a entrare e uscire dalla macchina senza l'aiuto di un'altra persona. Quindi non ho più nessun tipo di autonomia. Possibile che la Direzione Sanitaria da più di un anno continui a rimandare la questione dell'home therapy perdendo tempo con mail evasive e superficiali? Non hanno rispetto di noi malati”.
"In seguito all’emergenza COVID - dichiara una paziente di Parma - sia io sia mio figlio di nove anni (affetto da malattia di Pompe), siamo costretti a sottoporci al tampone ogni due settimane, il giorno prima della terapia, per poter accedere all’ospedale, in quanto le stanze sono occupate da due pazienti. Il tampone per mio figlio è un evento traumatico. Ogni volta che deve farlo ha forti crisi di pianto e diventa aggressivo verbalmente e fisicamente nei miei confronti e in quelli degli infermieri che lo prendono in carico per fargli il tampone. Purtroppo questa è l’unica procedura per poter accedere alla struttura ospedaliera, in quanto non hanno molti posti letto e in ogni camera ci sono due pazienti con patologie diverse con i vari rischi che ciò comporta. A marzo 2020 io e mio marito siamo rimasti vittime di un incendio e siamo stati ricoverati per quasi un mese al reparto grandi ustionati. Durante questo ricovero ho chiesto se mio figlio potesse fare la terapia a casa dato che il bambino era già in un momento psicologicamente molto delicato. E, allo stesso tempo, per evitare alla persona che si prendeva cura del bambino durante la mia assenza di sottoporsi ai tamponi. La risposta è stata negativa”.
“Inutili - denuncia AIG - le lettere dell’Associazione inviate alla Responsabile delle Malattie Rare che, per sua funzione, dovrebbe recepire le problematiche delle persone più fragili, dando risposte chiare e concise. Risposte che non sono mai arrivate. Le cure domiciliari in Italia esistono e sono regolarmente praticate, il recente PNRR del Governo Italiano afferma che bisogna incentivare la “medicina di prossimità” e le “terapie domiciliari” e proprio per questo motivo sono stati stanziati circa quattro miliardi di euro. Perché allora la Regione Emilia Romagna si rifiuta di dare questo servizio che lo Stato finanzia?”
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