L'indagine della SIMMESN rivela che le maggiori difficoltà sono l'assenza di strutture idonee e la mancanza di medici formati in modo specifico su queste patologie
Bologna – La transizione dei pazienti affetti da malattie metaboliche ereditarie (MME) è un tema urgente, perché oggi, grazie a uno screening neonatale efficace e a una migliore gestione clinica, queste persone vivono più a lungo e hanno una migliore qualità di vita. Un fatto che presenta nuove sfide: la gestione dei pazienti adulti e le possibili complicanze, infatti, non sempre sono ben definite da linee guida specifiche o dalla medicina basata sull'evidenza, ma spesso sono affidate all'esperienza dei singoli centri.
Uno studio appena pubblicato sulla rivista Orphanet Journal of Rare Diseases ha fotografato la situazione dei centri italiani che si occupano di queste patologie, valutando la loro capacità di assistere i pazienti nella transizione dalle cure pediatriche a quelle dell'adulto e concentrandosi anche sull'approccio dietetico. A tal fine, un questionario è stato creato e distribuito via email ai membri dei gruppi di lavoro “Dietetica e Nutrizione” e “Malattie Metaboliche Ereditarie dell'Adulto” della Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale (SIMMESN); la diffusione è stata possibile anche grazie al coinvolgimento della rete di riferimento europea per le malattie metaboliche ereditarie, MetabERN.
MENO DELLA METÀ DEI CENTRI HA UN PROGRAMMA DI TRANSIZIONE
All'indagine hanno risposto 49 esperti (28 medici e 21 dietisti) di 35 centri diversi. Fra i medici, 13 si occupano di pazienti pediatrici e i restanti 15, con specializzazioni eterogenee, di adulti con malattie metaboliche ereditarie. Fra i dietisti, solo 6 si occupano di pazienti con MME come attività a tempo pieno. Dal sondaggio è risultato che, su 35 centri, solo 16 (meno della metà) sono riusciti a impostare un percorso di transizione. Dei 19 centri che non dispongono di questo servizio, 10 stanno già cercando di implementarlo; solo così, in futuro, i centri con un programma di transizione potrebbero superare in numero quelli che non lo hanno.
Il principale ostacolo all'implementazione di questo programma, votato dal 42% dei partecipanti, è rappresentato dalla mancata identificazione di una struttura idonea. Considerando i 16 centri che già dispongono di un programma di transizione, le due principali difficoltà segnalate dal 43% dei partecipanti sono state l'assenza di uno psicologo e la mancanza di una formazione specifica sulle MME nei centri per adulti; quest'ultima opzione è stata anche la più votata dai dietisti (44%).
L'ASSENZA DI UN SISTEMA STANDARDIZZATO
Oggi, in Italia, ogni centro è organizzato autonomamente, senza linee guida chiare e senza l'assegnazione di fondi specifici da parte del governo. Solo nella metà dei 16 centri dotati di un programma di transizione, infatti, questo servizio è regolato da un documento ufficialmente approvato dall'ospedale, in corso da un intervallo variabile fra 5 e 15 anni. Fra i centri che non hanno un programma di transizione, 18 su 19 hanno espresso interesse a istituirne uno, nonostante le difficoltà e le sfide dovute all'assenza di un sistema standardizzato, che indubbiamente possono scoraggiare i responsabili dei centri e farli desistere dall'idea di avviare questo percorso. Tuttavia, qualche raccomandazione già esiste: nel 2022 un panel di esperti italiani ha prodotto otto linee guida pratiche per ottenere un programma di transizione adeguato per i pazienti con fenilchetonuria, che potrebbero essere particolarmente utili ai centri che devono ancora svilupparne uno.
MANCA UNA FORMAZIONE SPECIFICA PER I MEDICI
Una delle principali sfide nel miglioramento dei programmi di transizione è la formazione degli operatori sanitari per adulti sulle malattie metaboliche rare. Attualmente, i programmi formativi strutturati specifici per queste patologie sono limitati e non esiste un curriculum nazionale standardizzato: le opportunità di formazione dipendono spesso da singole istituzioni o da collaborazioni internazionali. Lo sviluppo di un percorso formativo dedicato per i medici specializzati in MME è fondamentale per garantire la continuità delle cure e una corretta gestione della malattia. Nei centri pediatrici, ciò determina spesso l'invio dei pazienti a diversi specialisti in base alle loro manifestazioni predominanti, piuttosto che a un medico che possa fungere da coordinatore centrale, coinvolgendo diversi specialisti secondo necessità, in base alle diverse presentazioni cliniche.
IL PROBLEMA DEL FINANZIAMENTO
Un altro aspetto critico è il finanziamento dei programmi di transizione. Attualmente, in Italia non sono previsti fondi governativi specificamente destinati ai servizi di transizione per le MME. I finanziamenti, quando disponibili, provengono spesso da budget ospedalieri istituzionali, borse di ricerca o associazioni di pazienti. Gli sforzi futuri dovrebbero mirare a garantire finanziamenti stabili dai sistemi sanitari nazionali, dai programmi sanitari dell'Unione Europea e da organizzazioni filantropiche per stabilire e sostenere percorsi di transizione ben organizzati. In Italia, la Legge 175/2021 attribuisce ai centri di riferimento la responsabilità di definire un percorso di cura personalizzato, che include i trattamenti e il monitoraggio necessari per le persone affette da malattie rare e garantisce allo stesso tempo una transizione strutturata dalle cure pediatriche a quelle per adulti. Tuttavia, l'implementazione pratica di questo percorso di cura personalizzato risulta carente.
A CHE ETÀ INIZIARE LA TRANSIZIONE?
In letteratura, manca ancora un accordo sull'età ideale per iniziare la transizione. In 14 dei 16 centri che già hanno attuato il programma, i pazienti la effettuano a 18 anni, e tutti i 19 centri che non dispongono di un programma concordano sul fatto che questa è l'età auspicabile. Nonostante la necessità di definire l'età, la transizione nei pazienti con malattie metaboliche ereditarie dovrebbe essere considerata un processo piuttosto che un passaggio, e dovrebbe avvenire in un periodo di tempo adeguato, per dare al paziente la possibilità di adattarsi al nuovo contesto assistenziale. Per rendere questo processo efficace, i pazienti e le rispettive famiglie dovrebbero essere informati e resi consapevoli fin da subito dall'unità pediatrica che, da adulti, saranno trasferiti a un centro che potrà soddisfare meglio le esigenze specifiche della loro malattia.
Infine, il numero di visite congiunte (almeno due) in presenza di entrambi i team dovrebbe essere basato sulle esigenze cliniche e sull'organizzazione dei centri. Fra i 19 centri che non dispongono di un programma di transizione, tutti tranne uno replicherebbero il modello di gestione pediatrica, creando un centro per adulti che si prende cura di tutti i pazienti con MME, indipendentemente dalle specifiche manifestazioni cliniche. “Il questionario ci ha permesso di cogliere lo stato dell'arte dei programmi di transizione in Italia, la disomogeneità nei centri che ne hanno già uno e gli ostacoli allo sviluppo di un nuovo programma”, hanno spiegato gli esperti della SIMMESN. “Ciò che è emerso inequivocabilmente è la necessità di standardizzare il programma di transizione e di delineare un percorso formativo per medici specializzati nel trattamento di pazienti adulti con malattie metaboliche ereditarie, nonché per dietisti dedicati”.
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