La malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) è la forma più frequente di encefalopatia spongiforme umana (TSE) trasmissibile, con un'incidenza che raggiunge approssimativamente 1,5/1.000.000. Circa l'85 per cento dei casi sono sporadici, il 10 per cento sono genetici, mentre il 5 per cento sono iatrogeni. I periodi di incubazione sono lunghi e totalmente silenti e la malattia è sempre fatale. La CJD causa degenerazione del sistema nervoso centrale, senza provocare una reazione immune o infiammatoria, e si associa all'accumulo di una isoforma anomala della proteina dei prioni (PrP).

HIV e AIDS sono fra le patologie più pericolose e distruttive con cui l’umanità si è confrontata, con gravi conseguenze non solo dal punto di vista della salute pubblica, ma anche a livello sociale ed economico. Dall’inizio della pandemia, 30 anni fa, ad oggi, sono 25 milioni le persone che hanno perso la vita a causa dell’AIDS e delle malattie ad essa correlate, e si stima che siano 33,3 milioni gli individui che convivono con l’HIV (PLHIV).
HIV
Sta per Virus da Immunodeficienza Umana ed è l’agente eziologico dell’AIDS. Il virus distrugge le cellule del sangue che sono indispensabili per il corretto funzionamento del sistema immunitario, la cui funzione è di difendere l’organismo dalle malattie.
AIDS
È l’acronimo di Sindrome da Immunodeficienza Acquisita e si manifesta quando il sistema immunitario è talmente indebolito dall’HIV che l’individuo è soggetto a un gran numero di malattie o infezioni, denominate “opportunistiche”.

L'ipertensione polmonare tromboembolica cronica (CTEPH) è, così come la PHA – Ipertensione Polmonare Arteriosa, una malattia respiratoria rara che fa parte del più ampio gruppo dell’Ipertensione Polmonare. Questo specifico tipo di malattia è caratterizzata da fenomeni tromboembolici persistenti che si presentano sotto forma di tessuto organizzato che ostruisce le arterie polmonari. Di conseguenza, aumenta la resistenza vascolare polmonare (RPV), che causa ipertensione polmonare (IP) e insufficienza cardiaca destra progressiva. Si ritiene che questa malattia possa essere una possibile se pur minoritaria evoluzione di casi di tromboembolia polmonare (EP). Di regola, anche se sono riportate sporadiche eccezioni, non si constata l’evoluzione verso la CTEPH dopo un singolo, massivo episodio di EP (ad esempio un’EP perioperatoria o post-traumatica); questi pazienti sono a rischio di morte per l’evento acuto, ma se riconosciuti e trattati tempestivamente hanno una prognosi a distanza ritenuta buona. Viceversa è più frequente osservare l’evoluzione verso CTEPH in pazienti in cui la diagnosi e la terapia dell’EP o non vengono effettuate o vengono effettuate  con ritardo. È comune un intervallo tra il primo evento (embolismo acuto) e lo sviluppo dei segni clinici, che può durare da pochi mesi a diversi anni. Tuttavia, fino al 60 per cento dei pazienti non presenta nell'anamnesi un'embolia polmonare acuta, per la maggioranza dei casi dunque  è incerto il rapporto tra CTEPH e pregressa tromboembolia.
La sintomatologia della malattia è analoga alle altre forme di ipertensione polmonare: dispnea da sforzo, ingravescenza, ridotta tolleranza allo sforzo, precordialgie, sincope. La sopravvivenza a 5 anni è del 30 per cento nei pazienti con una Pressione Arteriosa Polmonare (PAP)  media maggiore di  40 mmHg al momento della diagnosi e del 10 per cento in coloro che hanno una PAP media maggiore di 50 mmHg15. In quanto alla diagnosi è stato notato un ritardo fino a 3 anni tra i primi sintomi e la diagnosi, ritardo purtroppo rimasto invariato negli ultimi 10 anni. La prevalenza esatta della malattia dunque non è nota ma tutto ciò lascia supporre che sia sottodiagnosticata.
La diagnosi viene sospettata in base al riscontro di difetti segmentali da perfusione e alla scintigrafia basata sulla perfusione-ventilazione. Quando viene sospettata la CTEPH, è necessario utilizzare l'angiografia polmonare e la TAC ad alta risoluzione per confermare la diagnosi e valutare la possibilità di intervenire chirurgicamente. L'angiografia polmonare si effettua sempre in associazione con il cateterismo cardiaco destro, che è necessario per confermare la diagnosi di IP e per determinare la gravità del difetto emodinamico. Attualmente l'endarterectomia polmonare (PEA) rappresenta il trattamento di prima scelta per  riportare la funzione cardiorespiratoria a uno stato di quasi normalità, altri pazienti sono candidati invece ad altri trattamenti come quello  vasodilatatorio e antiproliferativo o al trapianto polmonare o cuore-polmone ma per le loro condizioni un’ampia percentuale di pazienti non risulta operabile.  

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La discinesia tardiva è un disordine di tipo neurologico che si manifesta soprattutto in età adulta e negli anziani ed ha una maggiore frequenza nelle donne. I sintomi tipici sono di tipo extrapiramidale con movimenti involontari e ripetitivi della lingua e delle labbra, ma talvolta anche degli arti. Questi movimenti si attenuano o scompaiono durante il sonno, mentre aumentano in condizioni di tensione emotiva. Sono movimenti ripetuti e ritmati tipo: succhiare, baciare, piegare le labbra, soffiare, masticare, protendere la lingua. Comuni sono anche i tic facciali e le smorfie e si possono osservare movimenti incontrollati delle dita, dei piedi ed altri movimenti insoliti. In genere questi sintomi compaiono quando la persona è in un cura da molto tempo con alcune categorie di farmaci, soprattutto bloccanti dei recettori della dopamina come gli antipsicotici o comunque farmaci con forte azione sedativa e che in genere vengono utilizzati in pazienti sottoposti a cure di tipo psichiatrico, soprattutto per schizofrenia. Interrompere la terapia, soprattutto in maniera brusca, può anche portare ad un peggioramento del sintomo che regrediscono se il farmaco viene reintrodotto. Questo tipo di discinesia viene definita tardiva perché compare dopo un’assunzione prolungata dei farmaci in questione: i sintomi compaiono infatti dopo anni e talvolta addirittura dopo la sospensione del trattamento. Solo in pochi casi si assiste alla comparsa di questi sintomi nel giro di pochi mesi dall’avvio della terapia.
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La Sensibilità Chimica Multipla (MCS) è una malattia che pochi conoscono e che la maggior parte dei medici riconosce con difficoltà. La malattia si caratterizza infatti per una serie di sintomi differenti, che possono colpire ogni organo, e le sue manifestazioni sono estremamente differenti da persona a persona e infatti il nome stesso dato alla patologie è piuttosto generico. I sintomi più frequenti, ed altamente lesivi della qualità della vita del paziente, fino all’invalidità, sono quelli di tipo allergico come difficoltà respiratoria, nausea, emicrania, dermatiti da contatto, vertigini, ipersensibilità agli odori e manifestazioni, talvolta anche gravi a livello neurologico, come sdoppiamento della personalità e amnesia.
Con il tempo, soprattutto se l’esposizione alla sostanza continua, la malattia produce nell’organismo effetti irreversibili e può portare addirittura allo sviluppo del cancro, di malattie autoimmuni e all’ictus.
Proprio la presenza dei sintomi neurologici, accompagnata dal fatto che nei pazienti non venivano riscontrate allergia, ha per molto tempo indotto a indirizzare queste persone verso cure psichiatriche ma solo in alcuni casi trattamenti con gli antidepressivi hanno dato buoni risultati. Oltre alla varietà dei sintomi e della loro gravità a rendere più difficile la diagnosi – e anche a rendere assai difficile una vita normale – è il fatto che a causarli possono essere sostanze molto differenti tra loro e di uso estremamente comune come la candeggina, detergenti, profumi, saponi, pesticidi e prodotti da giardino, ma anche gas di scarico, micropolveri e campi elettromagnetici accentuati. Per molti pazienti diventa difficile trovare anche un ambiente adeguato in cui vivere poiché l’installazione di un ripetitore telefonico, la presenza di un benzinaio o di molto traffico o di altre comuni attività commerciali vicine può rendere la vita insopportabile.
Spesso i sitomi si accompagna a stati ansiosi e depressioni,  ma è difficile ancora stabilire se questi facciano veramente parte della malattia o siano piuttosto una conseguenza del timore continuo di entrare in contatto con le sostanze e la difficoltà a condurre una vita normale. Attualmente l’ipotesi tenuta in maggior considerazione, scartata ormai quella che si tratti di un problema di tipo psichiatrico, è che  la malattia sia causata da una ridotta capacità di metabolizzazione delle sostanze xenobiotiche a causa di una carenza genetica o della rottura dei meccanismi enzimatici di metabolizzazione a seguito della esposizione tossica.
Attualmente la patologia non è inserita tra quelle riconosciute come esenti dal nostro sistema sanitario nazionale tuttavia alcune regioni - per l'esattezza Toscana, Emilia Romagna e Abruzzo - grazie all'autonomia in materia, hanno dato alla malattia questo riconoscimento.

Vista la grande difficoltà nel diagnosticare la malattia e la recente considerazione che le è stata data è molto difficile fare una stima della sua reale presenza nella popolazione. Tra gli esperti italiani ci sono il  prof. Giuseppe Genovesi medico specialista in endocrinologia, psichiatria e immunologia e ricercatore presso il Policlinico Umberto I di Roma, il prof. Alessio e il Prof. R. Lucchini degli Spedali Riuniti di Brescia, il Prof. Tirelli, direttore del Centro Oncologico di Aviano, il dott. Cipolla dell’Ospedale S.Orsola Malpighi di Bologna, il Prof. Carrer dell’Università di Milano, il dott. Arcangeli e il dott. Rossi dell’Ospedale Careggi di Firenze.

La Sclerosi Laterale Amiotrofila (SLA) è una malattia neurodegenerativa che compare nella maggior parte dei casi dopo i 50 anni e porta ad una degenerazione dei neuroni di moto o motoneuroni. La malattia è conosciuta anche come Morbo di Lou Gehrig, dal nome del famoso giocatore americano di baseball che ne fu colpito, o come malattia di Charcot dal nome del neurologo francese che per primo la descrisse nel 1860. Nella maggior parte dei casi, oltre il 90 per cento, la malattia è sporadica e sulle sue cause non c’è ancora certezza nonostante negli ultimi anni siano stati compiuti numerosi studi e siano state avanzate molte ipotesi. Il  5 – 10 per cento dei casi sono invece di Sla familiare, presentano cioè dei precedenti in famiglia. La sua incidenza è di circa 1 – 3 casi ogni 100.000 abitanti all’anno. Attualmente in Italia non si conosce il numero esatto di malati poiché non sono stati ancora completati i relativi registri. Tuttavia si stimano almeno 3.500 malati e 1.000 nuovi casi all’anno con una forte concentrazione il Lombardia, seguita da Campania, Lazio e Sicilia anche se questo potrebbe dipendere in buona parte da una maggiore capacità di diagnosi delle strutture ospedaliere locali.

L'ipertensione arteriosa polmonare (IAP) è una malattia rara, progressiva, caratterizzata da pressione sanguigna pericolosamente alta – cioè superiore a 25 mmHg - e resistenza vascolare. Le alterazioni strutturali dei vasi sanguigni creano infatti un'aumentata resistenza al flusso del sangue pompato dal cuore. e questo determina un progressivo affaticamento per il ventricolo destro che può culminare nello scompenso cardiaco anche mortale. Più in generale i sintomi sono affanno, vertigini e stanchezza. L'IAP colpisce circa 100.000 persone in tutto il mondo ed è riscontrabile più comunemente nelle donne di età compresa tra i 20 e i 40 anni. In Italia secondo le stime i pazienti con IAP severa sarebbero circa 2.000 ma dare un numero esatto non è possibile anche perché, vista l’aspecificità dei sintomi, possono esserci molti casi di malattia non diagnosticati. In genere il metodo migliore e non invasivo per diagnosticare la malattia è l’ecocardiogramma. La malattia può comparire isolatamente, e si parla allora di forma idiopatica o primitiva (PAH), oppure essere causata o correlata con altre patologie come ad esempio cardiopatie, HIV o malattie reumatiche. Inoltre occorre distinguere tra la PAH familiare causata dalle mutazioni del gene BMPR2 oppure sporadica.
Fino a pochi anni fa l’unica soluzione, e praticata solo in casi estremi, era quella del trapianto di polmoni o cuore-polmoni. Oggi ci migliori possibilità di trattamento che possono rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita. Questi farmaci specifici per l'ipertensione polmonare tendono a correggere un difettoso funzionamento delle cellule che costituiscono la parete del vaso polmonare. Tuttavia per i pazienti in cui la progressione non si arresta tutt’ora il trapianto rimane l’unica soluzione.
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