La prof.ssa Irene Motta (Milano): “Le opzioni terapeutiche emergenti consentono una migliore sopravvivenza dei pazienti con emoglobinopatie. Non si può quindi prescindere da una loro gestione personalizzata”
Milano – Più di 12.000 persone presenti: il congresso della European Hematology Association, che si è svolto a Milano dal 12 al 15 giugno, ha fatto registrare la più grande partecipazione di sempre a questo meeting. Numerosi i temi trattati, fra i quali un ampio spazio è stato dedicato alla drepanocitosi e alla talassemia: a riassumere le novità più importanti su queste patologie è Irene Motta, medico del reparto di Emoglobinopatie e disordini ereditari del metabolismo e del sistema immunitario presso la Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e professore associato di Medicina Interna all'Università degli Studi di Milano.
“Come accade anche in altri congressi di ematologia a livello nazionale e internazionale, la maggior parte delle sessioni è stata dedicata all’ematologia oncologica. Per quanto riguarda la “classic hematology”, o ematologia non-oncologica, moltissimo spazio è stato indirizzato alla drepanocitosi (o anemia a cellule falciformi o sickle cell disease). La drepanocitosi è una patologia genetica causata da un difetto a carico del gene che codifica per la catena beta-globinica che, insieme alle catene alfa, forma l’emoglobina. Si tratta di una patologia con alta prevalenza nell’Africa sub-sahariana (nello stato di portatore conferisce un vantaggio selettivo nei confronti dell’infezione malarica) e un problema crescente anche in Europa, viste le migrazioni da quest’area. Tuttavia, pochi sanno che la drepanocitosi è endemica anche in Italia, in particolare in Sicilia. Si tratta di una patologia che colpisce molti organi, tra cui ossa, polmone, sistema nervoso centrale, fegato, e che ha uno spettro di gravità che varia molto da individuo a individuo e presenta problematiche sia di carattere cronico che acuto, talvolta pericolose per la vita”, spiega la prof.ssa Motta.
“Come la drepanocitosi, anche la talassemia è un’emoglobinopatia. Ne esistono diverse forme, ma la più frequente in Italia è la beta-talassemia, nota anche come anemia mediterranea. Nella sua forma più grave, chiamata un tempo talassemia major, a cui oggi si preferisce la definizione talassemia trasfusione-dipendente, i pazienti necessitano di trasfusioni regolari per sopravvivere e mantenere adeguati valori di emoglobina. La talassemia ha avuto un ruolo centrale nel congresso EHA in occasione del conferimento dell’EHA Clinical Excellence Award al prof. Khaled Musallam del Burjeel Medical City di Abu Dhabi, che della sua lecture 'Non-transfusion-dependent thalassemia: the roadmap from observation to intervention' ha sottolineato come la strada verso le innovazioni in questo campo sia passata attraverso osservazioni cliniche e studi collaborativi”, prosegue l'esperta.
Durante il suo intervento, il prof. Musallam ha ripercorso l’evoluzione nella comprensione della talassemia non trasfusione-dipendente (NTDT), una condizione in passato considerata di modesta gravità ma oggi riconosciuta per l’elevato rischio di complicanze, tra cui sovraccarico di ferro, ipercoagulabilità e danno d’organo progressivo, che aumentano con l’età del paziente. “Queste evidenze hanno spinto la comunità scientifica ad abbandonare un approccio attendista, promuovendo invece una gestione proattiva e personalizzata. Inoltre il prof. Musallam ha evidenziato come, tra le opzioni terapeutiche emergenti, farmaci come luspatercept, già approvato da EMA sia per pazienti beta-TDT che NTDT, e gli attivatori allosterici della piruvato chinasi, tra cui mitapivat ed etavopivat, rappresentano un cambio di paradigma, offrendo ai pazienti NTDT trattamenti farmacologici innovativi per migliorare l’anemia e ridurre le complicanze associate”, continua Motta.
Fra le tematiche affrontate durante il congresso vi sono le terapie curative, tra cui il gene editing. “EMA e FDA hanno recentemente approvato exagamglogene autotemcel (exa-cel), una terapia genica che ha lo scopo di riattivare la sintesi dell’emoglobina fetale (l’emoglobina prodotta durante la vita intrauterina) attraverso la strategia del gene editing delle cellule staminali ematopoietiche autologhe con CRISPR–Cas9. I risultati sono molto promettenti in termini di efficacia, con il raggiungimento della trasfusione indipendenza in circa il 90% dei soggetti. Tuttavia, in occasione del congresso EHA si è discusso dell’accessibilità e sostenibilità di questa terapia potenzialmente curativa. In considerazione degli elevati costi si pongono questioni etiche relative alla disponibilità anche in Paesi a basso reddito e alla selezione dei pazienti nei Paesi dove sarà disponibile”.
Il gene editing non rappresenta però l’unica novità per i pazienti affetti da talassemia. “Tra i nuovi farmaci in sperimentazione clinica, sia nei pazienti trasfusione-dipendente che non trasfusione-dipendente, c’è mitapivat, un attivatore allosterico della piruvato kinasi a somministrazione orale già approvato per il deficit di piruvato kinasi. In occasione del congresso EHA 2025 sono stati presentati dati su mitapivat in altre forme di anemia emolitica ereditaria, come la sferocitosi ereditaria, la xerocitosi ereditaria e le anemie congenite diseritropoietiche di tipo II (CDAII). In questi pazienti, il trattamento ha determinato aumenti significativi dell’emoglobina, una riduzione dei marker di emolisi e un miglioramento della qualità di vita, con un profilo di sicurezza favorevole. Sono stati presentati anche dati aggiornati su mitapivat nella drepanocitosi che mostrano un ruolo del farmaco nel ridurre lo stress ossidativo e migliorare la funzionalità dei globuli rossi”, sottolinea la prof.ssa Motta.
Per quanto riguarda la talassemia, i dati più aggiornati sono stati pubblicati a giugno 2025 su The Lancet, una delle riviste più autorevoli in ambito medico, e mostrano i risultati dello studio ENERGIZE, studio randomizzato di Fase 3 in pazienti non trasfusione-dipendenti. “Lo studio mostra che il 42% dei pazienti ha avuto un aumento di almeno 1 g/dL di emoglobina in un periodo specifico di trattamento (dalla settimana 12 alla 24) con un buon profilo di sicurezza. Degno di nota è il fatto che mitapivat sia il primo farmaco in fase di studio avanzata anche per l’alfa-talassemia, forma molto frequente in alcune aree del mondo come il sud-est asiatico”. Complessivamente, questi dati confermano e rafforzano quanto già osservato in altri studi clinici, e sottolineano il potenziale di mitapivat nel trattamento delle anemie emolitiche ereditarie.
“Infine, ritornando al discorso dell’importanza dell’osservazione clinica, la dr.ssa Valeria Di Stefano del nostro centro ha presentato in una comunicazione orale i risultati di uno studio retrospettivo multicentrico nazionale della Società Italiana di Talassemia ed Emoglobinopatie (SITE) sulla fibrillazione atriale nei pazienti con beta-talassemia trasfusione-dipendente. Dallo studio emerge la necessità di sviluppare linee guida specifiche per la malattia, affinché l’approccio tenga conto delle particolarità fisiopatologiche della talassemia. Presso il nostro centro della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, dove sono seguiti più di 500 pazienti adulti con emoglobinopatia, la gestione è basata su un approccio che guarda all’individuo nella sua globalità e complessità, coniugando la cura della parte medica e psicologica in un team multidisciplinare”, conclude la prof.ssa Motta. “Con il miglioramento della sopravvivenza dei pazienti talassemici non si può prescindere da una gestione personalizzata che integri la valutazione delle complicanze malattia-relate ed età-relate e l’importanza della qualità di vita”.
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