Medici

Il dato emerge da un’indagine condotta nell’ambito della Rete di Riferimento Europea ERN-RND

“È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva”. Questa indimenticabile lezione di vita, offertaci da John Keating, protagonista del film “L’attimo fuggente”, si applica molto bene anche al mondo delle malattie neurologiche rare, fra cui figurano le atassie spinocerebellari, le demenze fronti-temporali, le distonie, i disturbi parossistici, le sindromi parkinsoniane atipiche, alcune leucodistrofie e i disturbi neurodegenerativi come la malattia di Huntington.

A occuparsi di queste patologie è la Rete di Riferimento Europea sulle Malattie Neurologiche (ERN-RND), una delle 24 reti ERN nate con l’obiettivo di aggregare professionisti della salute provenienti da vari Paesi del Vecchio Continente, creando una base consolidata di competenze e informazioni e promuovendo una visione multidisciplinare che si concretizzi in un’efficace presa in carico dei pazienti con malattie rare e complesse. Va precisato che i pazienti non sono solamente i fruitori finali delle Reti ma ne sono essi stessi una parte fondante e, pertanto, è raccomandabile ascoltare la loro voce e porsi dalla loro prospettiva per comprendere al meglio le necessità riguardanti queste rare patologie. Esattamente quello che hanno fatto i ricercatori dell’Università di Tübingen (Germania) che, in un articolo pubblicato sulla rivista Orphanet Journal of Rare Diseases, hanno confrontato le risposte ad una survey sottoposta a medici e rappresentanti dei pazienti membri di ERN-RND su alcuni temi d’indagine riguardanti proprio le malattie neurologiche rare, temi che comprendevano: le origini, la definizione e la diagnosi di queste patologie, lo sviluppo di terapie, strategie e interventi preventivi, lo studio dei meccanismi e dei modelli di malattia e, infine, l’assistenza sanitaria e sociale.

Nell’articolo si legge che sono pervenuti agli studiosi tedeschi 156 questionari completi, 74 dei quali davano priorità allo sviluppo di terapie, strategie e interventi preventivi nei confronti delle patologie neurologiche rare e solo 12, invece, mettevano al primo posto lo studio dei meccanismi e i modelli di malattia.

Tuttavia, l’aspetto più interessante del confronto emerge quando vengono valutate, rispettivamente, le priorità espresse dai pazienti e quelle espresse dai medici: infatti, il 61% dei pazienti esprime una priorità legata allo sviluppo di terapie, strategie e interventi preventivi mentre solo il 26% dei professionisti della salute effettua questa scelta. Al contrario, il 30% dei clinici ritiene fondamentale lo studio delle origini delle varie patologie (mentre solo il 16% dei pazienti attribuisce lo stesso grado di importanza a questo tema). Appare piuttosto chiara la diversità di vedute messa in campo dai due gruppi ma, se da un lato si può intuire facilmente come i medici ritengano prioritario fare luce sulle cause e sull’origine di una patologia, esplorandone anche i meccanismi di sviluppo al fine di identificare una terapia efficace, dall’altro la prospettiva dei pazienti è centrata sulla messa a punto di trattamenti che permettano loro di controllare la malattia e ridurne l’impatto sulla qualità di vita.

In un certo senso, questo differente punto di osservazione della patologia implica una diversa percezione del fattore tempo da parte del medico e del paziente, con quest’ultimo che ha urgenza di arrivare a una terapia valida per fronteggiare la problematica di salute con cui vive di giorno in giorno. I pazienti fanno i conti ogni momento della loro vita con la malattia e con ciò che essa comporta, mentre il medico mette al primo posto l’aumento di competenza che può permettergli di far luce sulla stessa, ritenendolo il prodromo dello sviluppo di trattamenti utili o risolutivi.

Non bisogna dimenticare che le malattie neurologiche rappresentano un’importante fronte di investimento per la ricerca scientifica e lo testimonia la recente decisione - seppur controversa - da parte della Food and Drug Administration statunitense di approvare aducanumab, un anticorpo monoclonale sviluppato dall’azienda di biotecnologie Biogen allo scopo di eliminare gli accumuli di proteina beta-amiloide che uccidono i neuroni delle persone con malattia di Alzheimer. Anche la malattia di Huntington continua a rappresentare un terreno di prova per molte opzioni terapeutiche e i successi della terapia genica per l’adrenoleucodistrofia cerebrale indicano che la ricerca sta già compiendo molti progressi.

“Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù”, continua il professore interpretato ne “L’attimo fuggente” da Robin Williams. Infatti, non bisogna mai dimenticare quanto certi successi siano figli di una mentalità che prevede il dialogo, specialmente tra medico e paziente: un tema, questo, che ha messo d’accordo entrambe le categorie che hanno risposto al questionario, poiché solo dal confronto e dall’analisi - anche partendo da prospettive che non sempre ci appartengono - è possibile giungere al risultato migliore per tutte le parti in causa.

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