Giornata della Salute Mentale 2024

Parla il presidente del Collegio Nazionale dei DSM: “Dopo la riforma Basaglia, abbiamo molta più consapevolezza, ma la situazione dei servizi è critica”

La rete dei servizi per la salute mentale è in crisi: scarsi investimenti, carenza di personale, modelli organizzativi superati, aumento dei disturbi mentali tra i più giovani e controverso rapporto con il mondo della giustizia sono solo alcuni delle criticità di un sistema che necessita di nuove risposte. È di questi temi che si discuterà, in occasione dell’edizione 2024 della Giornata Mondiale della Salute Mentale (10 ottobre), nei Dipartimenti per la Salute Mentale (DSM) italiani con utenti, operatori, familiari, associazioni di volontariato, amministratori locali e giornalisti. L’iniziativa è promossa dal Collegio Nazionale dei DSM con l’intento di richiamare l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica sulle difficoltà del mondo della salute mentale, a partire dalla cultura della deistituzionalizzazione avviata con la Riforma Psichiatrica della legge 180, più nota come legge Basaglia. Abbiamo chiesto a Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento per la salute mentale della AUSL di Modena e presidente del Collegio Nazionale dei DSM, di spiegarci meglio le difficoltà, ma anche i punti di forza del sistema salute mentale in questo particolare momento storico.

Dottor Starace, qual è esattamente la situazione dei servizi per la salute mentale oggi in Italia?

La situazione attuale è descrivibile sulla base dei dati del ministero della Salute aggiornati al 2022. E questi dati ci dicono che la situazione del personale dei servizi per la salute mentale è davvero critica: tra psichiatri, infermieri e psicologi, gli operatori attivi sono attualmente 60 per 100mila abitanti, mentre secondo gli atti di programmazione nazionale dovrebbero essere circa 90, quindi siamo il 30% sotto lo standard. Per arginare questa crisi è stata autorizzata l’assunzione di personale in formazione. Ma è chiaro che assumere professionisti in formazione, come gli specializzandi, non risolve il problema, perché si tratta di personale caratterizzato da una forte mobilità e necessità di tutoraggio.

La mancanza di personale ha a che fare con la carenza delle risorse economiche stanziate?

La spesa relativa alle assunzioni del personale è la stessa di 20 anni fa, e oggi risulta assolutamente inadeguata. Per la salute mentale l’Italia spende una delle cifre più basse tra i Paesi occidentali avanzati. Questa situazione evidentemente non consente il dispiegamento di quegli interventi muti-professionali e integrati necessari a delineare il percorso terapeutico e riabilitativo degli utenti, finendo per limitare la funzione dei servizi alle sole visite specialistiche, dove lo strumento terapeutico principale, se non esclusivo, diventa lo psicofarmaco. Per questo il Collegio dei DSM chiede uno stanziamento non inferiore al 5% per il Fondo Sanitario Nazionale e Regionale, non inferiore al 2% per i servizi per l’infanzia e l’adolescenza e non inferiore al 1,5% per i servizi per le dipendenze.

Si sente spesso parlare di un peggioramento delle condizioni di salute mentale della popolazione. È davvero così?

Al netto della di quella tendenza a psichiatrizzare qualsiasi condizione di malessere e di mancata performance, che abbiamo importato dagli Stati Uniti e alla quale volentieri mi sottraggo, registriamo un incremento oggettivo delle condizioni di difficoltà, comprensibile anche alla luce degli elementi di contesto, tipo le crisi multiple a cui negli ultimi anni siamo stati e siamo tuttora esposti, da quella economica a quella bellica ed ecologica, che incidono in particolare sui giovani e sugli adolescenti. La mancanza di prospettiva e la difficoltà a creare un’identità robusta espongono i ragazzi alla frustrazione e al malessere. Secondo un articolo pubblicato dalla rivista The Lancet il benessere mentale dei giovani sarebbe diminuito negli ultimi 10 anni, mentre una recente ricerca dell’UNICEF ha attestato che i problemi di salute mentale tra i giovani europei sono aumentati durante la pandemia. In particolare, 11 milioni di bambini e giovani nell’UE soffrono di problematiche legate alla salute mentale e tali problematiche riguardano un quinto dei giovani tra i 15 e i 19 anni. Inoltre, tra i giovani di età tra 10 e 19 anni i disturbi di ansia e depressione costituiscono circa il 40% di tutti i disturbi mentali.

Giovani che spesso, al compimento del diciottesimo anno di età, sfuggono al monitoraggio dei servizi di neuropsichiatria…

La difficoltà nel passaggio dalla neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza ai servizi di salute mentale per gli adulti, insieme alle comorbidità tra uso di sostanze e disturbi psichiatrici, può essere affrontata estendendo su scala nazionale quel modello organizzativo, già applicato in alcune regioni tra cui l’Emilia Romagna, che vede nel DSM un dipartimento integrato tra la salute mentale degli adulti, le dipendenze patologiche e i servizi per l’età evolutiva.

Perché vi preoccupa tanto il rapporto con la Giustizia?

Perché la psichiatria deve dire un no fermo e deciso a qualsiasi delega al controllo sociale. È necessario promuovere una collaborazione inter-istituzionale e la stesura di protocolli con Prefetture, Magistratura e Forze dell’ordine per il trattamento dei comportamenti critici e violenti da parte di pazienti psichiatrici. La proposta del Collegio dei DSM è quella di completare il percorso di riforma avviato con la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, a partire dall'istituto della non imputabilità per vizio di mente.

Esiste ancora uno stigma nei confronti delle persone con problemi di salute mentale?

Come accade sempre nei momenti storici di difficoltà economiche e sociali, i primi a essere emarginati sono quelli che hanno già difficoltà, tra cui anche le persone con problemi di salute mentale.

Il fatto che si parli sempre di più di salute mentale e che tante persone note siano venute allo scoperto non è servito a nulla?

Sensibilizzare è certamente utile, ma se poi il sistema di welfare non si attrezza si rischia di fare peggio. È come se dopo un programma di screening per il tumore alla mammella mancassero i chirurghi per gli interventi. Insomma, se grazie all’opera di sensibilizzazione io comprendo che la tristezza e il senso di inutilità che mi accompagna si chiama depressione e che la depressione si può curare, ma poi scopro che c’è una lista di attesa di mesi, che al massimo posso ottenere una prescrizione farmacologica e che fare un percorso di psicoterapia è praticamente impossibile, allora anche la sensibilizzazione può diventare controproducente.

Qualcosa di buono?

Di buono ci sono le tante esperienze positive e la consapevolezza che abbiamo maturato negli oltre 40 anni che sono passati dalla Riforma: oggi sappiamo che anche le persone con problemi di salute mentale gravi possono recuperare e non c’è necessità di chiuderle in strutture marginalizzanti, e talvolta inumane, come erano gli ospedali psichiatrici. Ma il fatto che, pur sapendolo, non abbiamo gli strumenti per operare rischia di diventare ancora più frustrante.

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