Questa legge eviterà che siano i genitori a dover necessariamente scegliere in tempi precoci.
BERLINO- Il primo novembre scorso le agenzie hanno dato la notizia che la Germania, primo paese in UE, ha ufficialmente riconosciuto l'esistenza del 'terzo sesso', cioè la possibilità di essere, anche dal punto di vista giuridico, maschi, femmine o ‘indeterminati’. La notizia è stata ampiamente ripresa dalla stampa e non sono mancate, soprattutto su forum e social network, polemiche e battute, spesso associando questa decisione tedesca al riconoscimento dei transgender.
In realtà queste polemiche sono frutto di una lettura superficiale del testo e di ignoranza. Non è che chiunque potrà scegliere il sesso X – così verrà indicato nei documenti - questa legge verrà invece in aiuto nei casi di ermafroditismo, una condizione poco diffusa ma che la Germania ha scelto di non ignorare.
Ci spiega le implicazioni di questa legge, analizzando la condizione di chi vive con un sesso ‘indeterminato’, la dottoressa Claudia Cesari, infermiera laureata all’Università di Tor Vergata e autrice della tesi sperimentale “Identità di genere: effetti psicologici del cambiamento di sesso. L’aiuto infermieristico”.
“Attualmente - spiega la dottoressa Cesari - in Italia, entro 10 giorni, si deve registrare un neonato all'anagrafe indicandone il sesso. Nella maggior parte dei casi non ci sono dubbi, ma non sempre è così: ci sono infatti neonati che nascono con un apparato sessuale ‘ambiguo’. La legge dà 10 giorni di tempo per la dichiarazione, ma ne servono almeno 30 per avere i risultati delle analisi genetiche e cromosomiche nei casi in cui alla nascita si presentino gonadi maschili e femminili.
Avere una legge come quella tedesca vuole dire dare il tempo al nascituro di comunicare attraverso la propria tendenza a quale sesso appartiene e non condannare i genitori a fare una scelta basata sul "Allora signora che facciamo togliamo i testicoli o le ovaie? Che vuole femminuccia o maschietto?" E poi dopo dieci anni, a volte, chiedersi "Dove ho sbagliato?". Non è raro infatti che la scelta fatta così precocemente dai genitori sia quella errata, con danni tragici.
Percepire una profonda incoerenza tra la propria identità corporea e il proprio vissuto di genere crea molto spesso una sofferenza inenarrabile: la persona non riesce a dare un senso né al proprio sconforto né alla propria vita, sente di esistere e, allo stesso tempo, sente negato dagli altri il suo diritto ad “esserci” così come è, non comprende cosa accade dentro di sé e nelle sue relazioni. Una realtà complessa e dalle tante sfaccettature, che impone una conoscenza globale dell’individuo, unico nella sua natura e che come tale deve essere rispettato nel pieno diritto del suo “sentirsi”.
Troppo spesso ci si limita a giudicare la forma, che vince quasi sempre sulla sostanza. Ogni persona è diversa, ognuno con la propria storia familiare, con le proprie paure, con la propria cultura, sono queste e molte altre le caratteristiche che rendono ogni essere umano unico: siamo tutti “diversi”. La tradizione ci ha sempre indotti ad una dicotomia sessuale, maschio o femmina, che negli ultimi decenni però non è più così netta, lasciando forse spazio a quello che si dovrebbe definire terzo genere.
Nei termini della formazione della personalità, l'identità di genere è una delle prime, potenti, pervasive e costanti pressioni che si esercitano sul nascituro: egli è, prima di tutto, anche prima di ricevere un nome e di essere ombelicalmente separato dalla madre, o maschio o femmina, e poi tutto il resto. La dicotomia e polarizzazione sessuale è uno degli sforzi più intensi e persistenti che la società si incarica di esercitare, sotto ogni forma e in ogni momento, sia consapevolmente che non; quasi che avvertisse, oscuramente, la fragilità della diversificazione e che ne temesse fortemente l'ambiguità.
L'antropologia culturale ci ha insegnato la relatività estrema di ciò che può essere considerato maschile e femminile e ci ha confermato l'assenza di culture e gruppi umani che non abbiano ben delimitato modi di essere e di sentire secondo i sessi. Pur non essendo possibile stabilire per tutti e per sempre che cosa sia maschile e femminile, in quanto ciò dipende dalla concezione del mondo, dal sistema fondamentale di definizioni e di valori cui ogni gruppo e comunità fanno riferimento, ogni collettività ha reagito alle differenze sessuali stabilendo codici di comportamento, schemi di reazione, valori, mansioni, funzioni, ruoli e gerarchie, che fanno fulcro proprio su tale dicotomia dei sessi.
In realtà, molti di questi diversi, sono normali persone che desiderano vivere la loro individualità fuori da canoni prestabiliti. Spesso la loro ribellione o deviazione nasce da metodi educativi dissoluti, basati su diverse forme di strisciante sottomissione imposta attraverso rituali di facciata, in modo da poter inserire nella loro mente il virus della vergogna, odio, paura ed emarginazione.
Oggi le neuroscienze, con atteggiamenti metodologici neutri, stanno dimostrando che esistono modi più raffinati per interpretare la realtà, in cui tutti i comportamenti sono da considerare naturali, se non rappresentano un pericolo per la comunità. Devono essere dotati della medesima dignità sociale, in quanto le scelte individuali, devono prescindere dalle altrui convinzioni.
Mentre l’identità di genere rappresenta la percezione sessuale di se stessi, il ruolo di genere è l’espressione esteriore, l’insieme dei messaggi che la persona invia al mondo esterno, al fine di manifestare armonia e conoscenza della propria individualità.
La percezione della propria identità dovrebbe essere lasciata libera di esprimersi, ma purtroppo condizionamenti sociali, culturali e religiosi, possono crearee un conflitto fra ciò che si percepisce e ciò che si è, che spesso si trasforma in angoscia che impedisce all’individuo di integrare all’aspetto fisico lo stato affettivo, sociale ed intellettuale dell’essere, in grado di valorizzare la persona attraverso quel lento processo di sviluppo biologico e psichico. Quindi il vero senso dell’individuo non è l’essere maschio o femmina, ma una persona con il diritto e con il dovere di esprimere la propria unicità e la ragione del proprio essere.
Viviamo in una società in cui l’immagine conta più di ogni altra cosa, allora perché non lasciare che ogni essere umano possa mostrarsi per quello che sente realmente di essere?”
Seguici sui Social