assegno, invalidità

La Corte Costituzionale dichiara illegittima la norma che limitava il diritto, aprendo nuove prospettive per molti beneficiari 

Una norma che per anni aveva lasciato migliaia di persone con disabilità con assegni insufficienti è stata definitivamente cancellata. Con la sentenza n. 94 del 2025, la Corte Costituzionale ha posto fine all’esclusione dall’integrazione al trattamento minimo per chi percepisce l’assegno ordinario di invalidità calcolato interamente con il sistema contributivo. Si tratta di una decisione che non solo ristabilisce l’uguaglianza tra i beneficiari, ma apre la strada a un miglioramento concreto delle condizioni economiche per molti lavoratori con disabilità, spesso in età non avanzata e con carriere lavorative frammentate.

INTEGRAZIONE AL TRATTAMENTO MINIMO: PERCHÉ È COSÌ IMPORTANTE

L’integrazione al minimo è un meccanismo che consente, a chi percepisce un assegno di importo molto basso e ha redditi complessivi inferiori a determinate soglie, di vedersi garantito un livello economico considerato essenziale dal legislatore. Non si tratta di un aumento “automatico”, ma di un’integrazione riconosciuta solo a chi soddisfa i requisiti reddituali stabiliti annualmente.

Prima della sentenza, questa possibilità era riservata esclusivamente agli assegni calcolati con metodo retributivo o misto. Per chi aveva l’assegno determinato con il sistema contributivo, anche in presenza di un reddito familiare estremamente basso, l’importo rimaneva invariato, spesso al di sotto delle soglie di dignità economica. La decisione della Corte rimuove questa discriminazione e permette anche a questi soggetti di beneficiare del meccanismo di integrazione.

IL NODO NORMATIVO E LA DECISIONE DELLA CONSULTA

La questione ruotava intorno all’articolo 1, comma 6, della legge 335/1995, che ha introdotto il sistema pensionistico contributivo. In base a tale norma, le prestazioni liquidate esclusivamente con questo sistema non potevano essere integrate al trattamento minimo, a differenza di quelle calcolate con metodo retributivo o misto.

Applicata agli assegni ordinari di invalidità, questa regola aveva escluso un numero crescente di titolari della prestazione dal beneficio, colpendo soprattutto chi aveva iniziato a lavorare dopo il 1996 e chi, per ragioni di salute, aveva carriere discontinue e redditi bassi.

La Corte ha ritenuto che questa esclusione violasse il principio di uguaglianza e l’articolo 38 della Costituzione, che tutela il diritto all’assistenza in caso di inabilità. Ha affermato che, quando è in gioco la garanzia di mezzi adeguati a persone in condizione di disabilità, non può esservi discriminazione basata sul mero sistema di calcolo della prestazione.

DISPARITÀ INGIUSTIFICATE E PROFILI DI INCOSTITUZIONALITÀ

La Consulta ha sottolineato che la differenza di trattamento tra prestazioni identiche per natura e finalità non trovava alcuna giustificazione. L’assegno ordinario di invalidità, indipendentemente dal metodo di calcolo, ha la stessa funzione: tutelare lavoratori che, a causa di una condizione patologica, non sono più in grado di produrre reddito sufficiente. Negare loro l’accesso al trattamento minimo sulla base di criteri puramente tecnici significava introdurre una disparità irragionevole, che penalizzava in modo sproporzionato chi si trovava già in condizioni di vulnerabilità. Con questa sentenza, la Corte ribadisce dunque che il diritto a mezzi adeguati di sussistenza deve prevalere su logiche meramente attuariali.

GLI EFFETTI DELLA SENTENZA: COSA CAMBIA IN CONCRETO

Sulle conseguenze pratiche della pronuncia interviene l’avvocato Roberta Venturi, dello Sportello Legale OMaR – Dalla Parte dei Rari, che sottolinea l’immediata efficacia del provvedimento.

“Quando la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità di una norma - spiega Venturi - la disposizione cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale. Ne consegue che non può più essere applicata né dai giudici né dalla Pubblica Amministrazione. La decisione non si limita al caso specifico da cui è scaturita, ma ha efficacia erga omnes, ossia vale per tutti i soggetti che si trovano nella medesima condizione. Nei casi in cui la dichiarazione di incostituzionalità determini un vuoto normativo, spetta al Parlamento intervenire con una nuova disciplina conforme ai principi costituzionali”.

La pronuncia, quindi, ha un impatto immediato e generalizzato: tutti i titolari di assegno ordinario di invalidità calcolato interamente con il sistema contributivo, che soddisfano i requisiti reddituali, potranno chiedere l’integrazione al minimo, e l’INPS sarà tenuto a riconoscerla. Si tratta di un cambiamento sostanziale, destinato a incidere sulle condizioni di vita di molte persone con disabilità e, in particolare, di chi convive con malattie rare, che spesso comportano interruzioni lavorative e redditi discontinui.

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