Dagli Stati Uniti, ipotesi di terapia per bloccare la condrogenesi
GENOVA - Da qui sono passati i circa trenta pazienti italiani, sia per avere una diagnosi che per ricevere indicazioni su trattamento clinico e prevenzione. Il Laboratorio di Genetica molecolare e l’Unità Semplice di Malattie Rare del dell'Istituto Gaslini di Genova, sono gli unici centri di riferimento nazionali per la diagnostica molecolare e l’assistenza della Fibrodisplasia Ossificante Progressiva (FOP), nota anche come 'malattia dell'uomo di pietra', patologia rarissima di cui sono stati riconosciuti affetti non più di 3.500 pazienti in tutto il mondo.
"Si suppone che la malattia colpisca un individuo ogni 2 milioni, ma non ci sono dati epidemiologici confermati - ci spiega Maja Di Rocco, Responsabile dell’Unità semplice di Malattie Rare - Purtroppo questa malattia è talmente rara che non esiste, ad oggi, un registro di pazienti che possa fornire, ad esempio, dati sulla casistica e i benefici derivanti dai trattamenti medici impiegati. Ciò che abbiamo a disposizione sono solo dati aneddotici, che non ci consentono la delineazione di un protocollo standard efficace per il trattamento della patologia".
Al momento attuale non esiste una terapia definitiva per arrestare la progressione della malattia. I corticosteroidi per endovena o per bocca vengono utilizzati per gestire gli episodi di infiammazione acuta dei tessuti molli che precedono la trasformazione di questi tessuti in osso, ma non sempre sono efficaci a prevenire questa trasformazione. Non c’è alcuna evidenza invece che gli antinfiammatori non steroidei che talora vengono somministrati continuativamente, riescano a prevenire gli episodi d’infiammazione acuta.
"E' importante la prevenzione ed esistono una serie di condizioni che possono agire da elementi scatenanti per questi episodi acuti. Si tratta di traumi, anche minori, o semplici iniezioni intramuscolo. E' stata notata un'associazione anche con malattie infettive e vanno assolutamente evitati interventi chirurgici di rimozione del tessuto osseo eterotopico e anche semplici biopsie. Nonostante questi accorgimenti, gli episodi infiammatori acuti si possono verificare senza una precisa causa scatenante e l'ossificazione eterotopica dei vari tessuti è destinata a progredire, portando il paziente a una disabilità grave attorno alla terza o quarta decade di vita".
Da quando è stato identificato il difetto genetico che caratterizza la malattia, cioè la mutazione al gene ACVR1 (ALK2) recettore per la proteina morfogenetica dell'osso (BMP), sono state valutate diverse ipotesi di terapia per interferire con il meccanismo a cascata che porta all'ossificazione progressiva. Si è parlato di anticorpi monoclonali per bloccare direttamente il recettore dell'activina A tipo 1/activina-like chinasi 2 e sono state identificate molecole come la dorsomorfina in grado di inibire i trasduttori di segnale dovuti all'attivazione anomala di questo recettore, risultate però altamente tossiche. Strade che non hanno dato, finora, i risultati sperati.
Uno spiraglio in campo terapeutico potrebbe giungere dal gruppo di Frederick S. Kaplan del Center for Research in FOP&Related Disorderd dell'Università della Pennsylvania, lo stesso che identificò il difetto genetico della malattia, riguardo a una molecola in grado di bloccare la condrogenesi. I dati pre-clinici, pubblicati lo scorso aprile su Nature, mostrano che gli agonisti del recettore gamma dell'acido retinoico, sperimentati sul modello animale, sono in grado di inibire l'ossificazione eterotopica caratteristica della malattia. Si prospetta, in un prossimo futuro, l'ipotesi di un trial clinico ma al momento non ci sono sperimentazioni sull'uomo in corso.
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