Studio sull'esofago di Barrett

Uno studio statunitense ha indagato il ruolo di due proteine, SOX2 e CDX2, nell’alterazione delle cellule dell’epitelio esofageo

L’esofago di Barrett è una condizione patologica che interessa il rivestimento interno dell’esofago e consiste in una modificazione della mucosa, spesso causata dal reflusso cronico di acido gastrico (malattia da reflusso gastroesofageo). Questo cambiamento, che in termini tecnici si definisce metaplasia intestinale, è inizialmente reversibile. Tuttavia, in una piccola percentuale di casi non trattati, può evolvere in una lesione precancerosa (displasia, inizialmente di basso grado e successivamente di alto grado), fino a degenerare, nel tempo, in una forma di tumore maligno: l’adenocarcinoma dell’esofago. Una revisione pubblicata su JAMA ha stimato che tra il 3 e il 5 per cento delle persone con esofago di Barrett riceverà una diagnosi di adenocarcinoma esofageo nel corso della vita.

UN MECCANISMO PATOLOGICO CHE ALTERA L’IDENTITÀ DELLE CELLULE DELL’ESOFAGO

Un gruppo di ricercatori guidato dal Baylor College of Medicine e dalla Washington University School of Medicine ha compiuto un passo importante nella comprensione dei meccanismi molecolari alla base della formazione dell’esofago di Barrett. I risultati ottenuti corroborano l'ipotesi che l’esofago di Barrett non sia semplicemente una conseguenza dell’irritazione cronica da reflusso, ma dipenda da una vera e propria riprogrammazione molecolare delle cellule esofagee indotta da segnali ambientali come l’acidità gastrica e la bile, che alterano profondamente l’equilibrio tra alcuni fattori di trascrizione. Questa perdita persistente di identità cellulare rappresenterebbe un terreno fertile per la trasformazione maligna e la successiva insorgenza del tumore.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Investigation e ha identificato due elementi chiave in questo processo di trasformazione cellulare che caratterizza l’esofago di Barrett: le proteine SOX2 e CDX2, appartenenti alla categoria dei fattori di trascrizione. Nei tessuti affetti da questa condizione, il normale equilibrio tra queste due proteine risulta alterato, portando a una progressiva perdita dell’identità delle cellule esofagee a favore di caratteristiche proprie delle cellule gastriche o intestinali.

Il gruppo di ricercatori ha creato una “libreria” di organoidi — modelli tridimensionali coltivati in laboratorio a partire da cellule prelevate da pazienti con esofago di Barrett — che riproducono molte delle caratteristiche del tessuto esofageo umano. Attraverso lo studio degli organoidi, il team ha osservato che l’equilibrio tra SOX2 e CDX2 è determinante per l’identità cellulare: livelli ridotti di SOX2 e aumentati di CDX2 fanno sì che le cellule dell’esofago assumano caratteristiche più simili a quelle dell’intestino o dello stomaco, perdendo progressivamente gli elementi distintivi dell’epitelio esofageo normale.

In parallelo, i ricercatori hanno sviluppato anche un modello murino geneticamente modificato, in cui il gene SOX2, responsabile della produzione dell’omonima proteina, poteva essere disattivato in modo selettivo a livello dell’esofago. Quello che si è osservato è che nei topi privi di SOX2 si notava una maggiore proliferazione cellulare, una maturazione incompleta delle cellule epiteliali e la comparsa di strutture anomale nella zona di giunzione tra esofago e stomaco — caratteristiche che mimano in modo molto realistico le prime fasi della formazione dell’esofago di Barrett nell’uomo. I risultati ottenuti dimostrano che la mancanza del gene SOX2 rende il rivestimento esofageo più suscettibile ai danni provocati dal reflusso e ne favorisce la trasformazione patologica.

L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

L’esofago di Barrett si sviluppa generalmente come conseguenza di un’esposizione prolungata e cronica al reflusso di acidi gastrici e bile dallo stomaco, una condizione nota come reflusso gastroesofageo. Il primo modo per ridurre il rischio di sviluppare questa condizione è prevenire il reflusso cronico ed eventualmente saper riconoscere i suoi sintomi e curarlo per tempo farmacologicamente.

La prevenzione passa per l’alimentazione, con l’obiettivo, anzitutto, di evitare situazioni di sovrappeso o obesità. In presenza dei primi segnali riconducibili al reflusso gastroesofageo, è consigliabile evitare alcuni cibi, come gli alimenti piccanti, alcune verdure come i pomodori, bevande gassate, tè, caffè e tisane. È inoltre utile adottare alcune abitudini alimentari, evitando le abbuffate e suddividendo l’assunzione di cibo in cinque piccoli pasti, aspettando almeno due ore prima di coricarsi dopo aver mangiato, mantenendo la testa sollevata durante il sonno alzando la testiera del letto o utilizzando uno o due cuscini ed evitando cinture o abiti troppo stretti, che possono facilitare la risalita dei succhi gastrici dopo i pasti.

Un nesso chiaro è anche quello fra fumo di sigaretta e insorgenza dell’esofago di Barrett, che viene confermato anche dalla già citata revisione pubblicata su JAMA.

C’è poi la prevenzione del tumore all’esofago, che riguarda chi già soffre di esofago di Barrett. Oltre a un cambiamento nello stile di vita e nelle abitudini alimentari, alcuni studi suggeriscono l’impiego di farmaci antiacido, utilizzati per alleviare il bruciore e ridurre il danno causato dal reflusso. L’obiettivo è evitare che, nel tempo, le cellule dell’esofago subiscano alterazioni che possano portare a una trasformazione tumorale. In questo contesto, uno studio presentato al congresso ASCO di Chicago, alla fine del 2024, ha evidenziato che circa un tumore esofageo su quattro nei pazienti con esofago di Barrett potrebbe essere prevenuto attraverso la combinazione di farmaci antiacido e aspirina a basse dosi. Si tratta della prima ricerca condotta su un arco temporale prolungato per valutare l’effetto protettivo di questa terapia in persone con esofago di Barrett, suggerendo un approccio farmacologico promettente per la prevenzione oncologica.

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