L’insorgenza precoce di encefalopatia letale e le mutazioni a carico del gene ‘NFU1 iron-sulfur cluster scaffold’ sono stati descritti come eventi correlati e i pazienti con tali mutazioni presentano generalmente un grave quadro clinico. Più recentemente, però, è stato analizzato il caso di un paziente, con mutazioni eterozigoti del gene NFU1, il quale - secondo uno studio condotto dai ricercatori francesi in collaborazione con i ricercatori italiani dell’Università di Pavia e pubblicato su Orphanet Journal of Rare Diseases – presenterebbe un esordio più tardivo di leucoencefalopatia ed un fenotipo più lieve.

Tra i sintomi: paraparesi spastica lentamente progressiva con episodi recidivanti-remittenti, decadimento cognitivo lieve e una lunga sopravvivenza. Dai risultati ottenuti dalle analisi a cui il paziente è stato sottoposto sembrerebbe, inoltre, che l’insorgenza della neuropatia possa essere correlata ad un grave deficit dell’enzima piruvato deidrogenasi (PDH).
Con il termine encefalopatia si intende generalmente una qualunque malattia a carico dell’encefalo mentre il termine leucoencealopatia indica una patologia a carico della sola sostanza bianca cerebrale.
Il gene NFU1 è un gene coinvolto nel metabolismo del cluster ferro-zolfo, detto anche centro ferro-zolfo (centro coinvolto nel processo di ossidoriduzione delle cellule). I centri ferro-zolfo (Fe-S) sono componenti essenziali delle proteine mitocondriali, nucleari e citosoliche.

IL CASO

Il caso presentato dai ricercatori è quello di un individuo secondogenito nato da genitori sani non imparentati e valutato nel loro centro di ricerca, per la prima volta a 17 anni di età. Sia la gravidanza della madre che il parto sono avvenuti senza problemi e inizialmente lo sviluppo psicomotorio del bambino ha proceduto normalmente. All'età di 18 mesi, in concomitanza con una malattia virale intercorrente, il bambino ha però perso la capacità di camminare, di stare in piedi e seduto, di controllare la testa e, al contempo, si è manifestata tetraparesi spastica. Dopo questi episodi acuti il paziente ha mostrato un parziale recupero; un anno dopo era in grado di sedersi di nuovo, anche se non ha mai riacquistato la capacità di camminare.
L'esame neurologico eseguito sul paziente ha mostrato una paraparesi spastica con decadimento cognitivo lieve ma gli studi elettrofisiologici condotti a 18 anni di età hanno prodotto risultati normali.
Un problema di scoliosi progressiva ha richiesto un intervento di chirurgia della colonna vertebrale a 18 anni di età. All'età di 24 anni il paziente ha sviluppato paraplegia flaccida subacuta con ipoestesia superficiale e profonda. Inoltre è stata rilevata la presenza di una neuropatia mista senso-motoria grave a carico degli arti inferiori nella terza decade. Il paziente oggi ha 30 anni ed è rimasto stabile nelle sue condizioni. Tuttavia, nel corso dell'ultimo anno, ha sviluppato un edema acuto agli arti inferiori connesso a gravi disfunzioni della vescica che richiedono l’uso di un catetere urinario.

RISULTATI RADIOLOGICI

La Risonanza Magnetica per Immagini (MRI) eseguita a 3, 7, 16, 19, 24, 28 anni di età ha rivelato la presenza di anomalie della sostanza bianca che coinvolgono, in particolare, le regioni periventricolare e la parte posteriore del corpo calloso, fortemente atrofica.

Grazie alla spettroscopia MR protonica singola eseguita sulla sostanza bianca lobare è stata rilevata una drastica riduzione del picco di N-acetil aspartato (NAA), un aumento del picco della colina (Cho) e un lieve doppio picco invertito coerente con il lattato. Le anomalie rilevate con la MRI sono rimaste globalmente stabili durante il lungo follow-up radiologico.

ESAMI DI LABORATORIO


I ricercatori hanno dichiarato che non è stata prodotta alcuna documentazione relativa alle indagini di laboratorio eseguite prima dei 17 anni. Le cromatografie eseguite sugli amminoacidi contenuti nell’urina, nel plasma e sul fluido cerebrospinale ai 27 anni di età hanno, comunque,  rivelato un'alta concentrazione dell’amminoacido  glicina.

Inoltre la valutazione dello stato redox, eseguita a 22 e 27 anni,  ha mostrato un lieve aumento dell’acido lattico e di quello piruvico solo dopo il pasto. L’attività dei complessi della catena respiratoria (principalmente complesso II) è risultata bassa nei muscoli e nei fibroblasti. In quest’ultimi anche il complesso piruvato deidrogenasi e la deidrogenasi alfa-chetoglutarato sono risultati meno attivi.

L'analisi molecolare del gene NFU1 ha rivelato, infine,  la presenza di una nuova mutazione nulla ereditata dalla madre  e di una mutazione missenso ereditata dal padre.

Concludendo possiamo affermare che, mentre i pazienti descritti prima di questo caso presentavano un quadro clinico dominato da grave encefalopatia ad esordio precoce e/o una grave ipertensione polmonare (che portano in entrambi i casi alla morte prematura), il paziente coinvolto in quest’ultimo studio ha presentato una lieve leucoencefalopatia progressiva seguita da parziale recupero. Il paziente ha, quindi, raggiunto un'età di 30 anni con condizioni neurologiche relativamente stabili.

Il dato interessante è che il paziente presenta mutazioni a carico del gene NFU1 che si traducono in un grave deficit di PDH, a livello dei fibroblasti. La neuropatia periferica è caratterizzata, in effetti, da una carenza di PDHA1 (Piruvato Deidrogenasi Alpha 1). Questo dato, assieme al fatto che i livelli di lattato e piruvato si mostrano alti solo in fase postprandiale e il rapporto lattato/piruvato risulta normale, suggeriscono un deficit a livello dell’enzima PDH più che una deficienza nella fosforilazione ossidativa. Per questo motivo si suggerisce la possibilità che la neuropatia in questo paziente possa essere correlata al deficit grave della piruvato deidrogenasi.

Non sono ancora chiare le ragioni delle differenze tra questo paziente e i precedenti ma si può osservare che, mentre questo ultimo paziente è eterozigote per le mutazioni sul gene NFU1, i precedenti erano omozigoti per una delle due mutazioni (nulla o missense) con sole due eccezioni di pazienti eterozigoti.

I ricercatori spiegano che tale situazione genetica e probabilmente alcuni fattori epigenetici sconosciuti potrebbero modulare diversamente il fenotipo finale dei pazienti.

Il caso di questo paziente suggerisce, comunque, l'importanza di considerare le mutazioni sul gene NFU1 non solo nel momento d’insorgenza della leucoencefalopatia o in presenza di un grave ipertensione polmonare, ma anche in una leucoencefalopatia che evolva più lentamente con successive fasi acute. L’alta concentrazione di glicina nei fluidi corporei è, infine, un marker diagnostico chiave da tenere in considerazione.

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