Il metodo è stato sviluppato dal laboratorio di spettrometria di massa dell'Università di Padova
PADOVA - Viene da un gruppo tutto italiano un nuovo protocollo di screening neonatale in grado di testare simultaneamente 6 malattie da accumulo lisosomiale, in modo preciso e riducendo al minimo la manipolazione dei campioni da analizzare e quindi l'errore umano.
Il metodo, pubblicato recentemente su "Biochemical Chromatography", è stato sviluppato dal gruppo del Dr. Giuseppe Giordano presso il Laboratorio di Spettrometria di Massa del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell'Università di Padova e permette di individuare i bambini affetti da mucopolisaccaridosi di tipo 1, malattie di Fabry, Gaucher, Krabbe, Niemann-Pick A/B e di Pompe.
Il termine malattia da accumulo lisosomiale comprende circa 50 patologie genetiche, nelle quali il deficit di particolari enzimi causa l'accumulo del rispettivo substrato in strutture intracellulari chiamate lisosomi.
Queste malattie sono altamente invalidanti e molto variabili per quanto riguarda i sintomi, l'età di insorgenza e la prognosi e, nonostante individualmente siano malattie rare, insieme presentano un'incidenza di 1 individuo ogni 1500-7000.
La diagnosi precoce e l'inizio tempestivo della terapia di sostituzione enzimatica sono indispensabili per malattie progressive come queste e la diffusione di tecnologie di spettrometria di massa si inserisce nel dibattito attuale a favore dell'allargamento del pannello di malattie genetiche comprese nei programmi di screening neonatali.
Il test viene eseguito partendo da gocce di sangue secco, il sistema più diffuso di screening, prelevate dal tallone del neonato, il deficit enzimatico viene individuato mediante quantificazione dei prodotti di reazione ottenuti in seguito all'incubazione con substrati specifici.
Il nuovo protocollo ha ottimizzato le procedure e i tempi, rendendo il sistema più efficace e riducendo, rispetto ai protocolli esistenti, la manipolazione dei campioni da analizzare e quindi i possibili errori umani.
Questo metodo, secondo gli autori, potrebbe anche essere applicato per valutare l'andamento della terapia, per esempio effettuando il test prima e dopo la somministrazione dell'enzima di sostituzione oppure in seguito al trapianto di cellule staminali ematopoietiche.
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