La porpora trombocitopenica idiopatica non colpisce tutti allo stesso modo, mentre ci sono pazienti che non rispondono alle cure di prima linea e per i quali si deve nel tempo anche procedere all’asportazione della milza, ci sono invece pazienti che, pure nella sfortuna di avere una malattia rara, sono più fortunati. Marinì è una ragazza di trent’anni e, se anche deve regolarmente sottoporsi ai controlli e sperare che il conto delle sue piastrine sia sempre ‘a sei cifre’, per ora è può dirsi nella categorie delle fortunate. Ha voluto raccontarci la sua storia perché “chi soffre di questa malattia rara che non si deve abbattere, spero che il mio racconto dia speranza a tutti quelli che viaggiano sulla mia stessa barca”. “Mi chiamo Marinì, abito in provincia di Verona, ho trent'anni e solo due anni fa ho scoperto di essere affetta dalla porpora idiopatica. Tutto è cominciato all'incirca nel mese di marzo del 2009, le mie gambe erano ricoperte da tantissimi puntini rossi che io credevo fossero lentiggini, il naso a volte mi sanguinava, spesso anche le gengive, il ciclo era veramente esagerato e un forte mal di testa mi ossessionava da giorni. Un giorno, mentre ero al telefono, sentii un formicolio strano alla mano destra e per un momento mi mancò la parola.

Non fu un caso isolato perché questi due fenomeni si manifestarono anche nei giorni seguenti ed erano accompagnati da una tremenda sonnolenza che persisteva per tutto il giorno. La notte tra il 9 e il 10 aprile non riuscivo a dormire, la  cefalea mi opprimeva, tanto che andai a dormire nella stanza accanto a quella dei miei genitori sul divano. La mattina dopo non ero più in grado di parlare e non avevo più la sensibilità della mano destra”.
Quella mattina è cominciata per Marinì la ricerca della diagnosi, che per fortuna non è durata a lungo: solo una settimana.
“I miei genitori mi portarono dal medico che mi spedì d'urgenza al pronto soccorso di San Bonifacio, in provincia di Verona. Incominciarono a sottopormi ad esami di routine, da emocromi a tac varie e nel pomeriggio l'inaspettata sentenza: "sospetto morbo di Werlhof". La conferma del sospetto arrivò appena una settimana dopo, il 17 aprile. “Per una settimana, era Pasqua, rimasi nel centro ematologico di Verona dell'Ospedale Borgo Roma, mi fecero l'aspirato per verificare il midollo osseo e io continuavo a dormire e a svegliarmi ogni 10 minuti, il mal di testa persisteva e solo dopo quattro giorni dal ricovero rincominciai a parlare e a riacquistare la sensibilità alla mano destra. Nel frattempo ebbi anche una crisi epilettica. Solo alle dimissioni, il 17 aprile, lessi cosa mi era successo. Ero affetta dal morbo di Werlhof e si era manifestata nel peggiore dei modi: una falda subaracnoidea fronto-parietale sinistro comprimeva il VII nervo, quello della parola e della sensibilità della mano destra.
La cura post-ospedaliera era quella di sempre, con il cortisone: entrai in ospedale che pesavo 60 kg e per un pò il cortisone fece effetto, le mie piastrine erano a livelli accettabili, come riducevo la dose però calavano. Ad agosto cominciai i cicli del cortisone ad alto dosaggio, arrivai ad ottobre che  ero irriconoscibile, la fame era incontenibile, i sogni erano diventati incubi e la mia massa di capelli corvini piano piano si assottigliava, alla fine pesavo 90 kg. I risultati erano soddisfacenti quando ero piena di cortisone ma quando svaniva l’effetto le piastrine ricominciavano a scendere, sono arrivata a fare emocromi una volta a settimana”.
La situazione insomma non si stava mettendo proprio bene. “Il 13 agosto 2010 l'ennesimo esame di routine, all'ora di pranzo si presentò il mio medico di base a casa dicendo di andare in pronto soccorso perchè le mie piastrine erano arrivate al di sotto del livello di guardia: 14.000. Mi fecero il prelievo nuovamente per sicurezza, il numero si era alzato, di poco, ma per quel poco mi rimandarono a casa con il solito cortisone e una conta di 22.000 piastrine. Finì il trattamento il 21 ottobre del 2010”.
A questo punto per Marinì è arrivata la sorpresa, quelle cure così pesanti e continue alla fine sembrano aver fatto il loro effetto e da 6 mesi non prende più farmaci.
“Da allora non prendo più nulla, la conta piastrinica è sorprendentemente alta, varia da 400.000 a 450.000. Faccio prelievi ogni 20 giorni e ogni volta che devo ritirare i risultati, il cuore batte a mille. Il mio ematologo, per scaramanzia, non si pronuncia e nemmeno. Io sono solo contenta che la situazione si stia stabilizzando e se penso che sono quasi 6 mesi che il cortisone non fa parte della mia vita, mi sento euforica. Oggi mi sono sottoposta ad un nuovo prelievo, aspetto il risultato, speriamo che continui ad andare così. Questa è una brutta malattia, ma noi malati non dobbiamo perderci d’animo”.




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