“La medicina ha fatto passi da gigante sui farmaci, ora bisogna cercare le cause. Secondo mia madre alle mie piastrine facevano male gli insaccati, sono scettico però qualche coincidenza…”
“Con la porpora trombocitopenica idiopatica (TPI) ci si può convivere anche se rimane sempre lì in agguato e può succedere, come a me, che ricompaia dopo 18 anni, quando me ne ero quasi dimenticato”. È questo il senso della lunga testimonianza che Alfonso Perillo - 40 anni, di Ottaviano in provincia di Napoli - ha fatto arrivare alla redazione di Osservatorio Malattie Rare dopo aver letto le storie di Conchita, Marinì e della piccola Ida. “La prima volta che le mie piastrine scesero a 3000 unità era l’agosto del 1980. Avevo 10 anni e i miei attribuivano i lividi che avevo addosso al fatto che ero un bimbo molto attivo: bici, calcio, pallavolo. Una sera però mia madre vide che quei lividi erano gonfi, quasi pronti per esplodere: emoraggie sottocutanee. Fui ricoverato d’urgenza all’ospedale Cardarelli di Napoli e lì incontrammo il dottor Carlo De Rosa. Iniziai immediatamente il cortisone e mi fecero subito una serie di altri esami per escludere malattie più gravi del midollo. Iniziò da lì la mia avventura: il gonfiore del cortisone, il trauma infantile di dover fare attesone ai giochi. Ero figlio unico e le limitazioni dettate dall’ansia di mia madre furono tante. Era un guaio anche curare una febbre o un semplice mal di testa perché non potevo usare i FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei). Per i malanni presi sempre il metamizonolo, conosciuto come Novalgina. Ricordo che il dott. Carlo De Rosa quando mi vedeva depresso, e se ne accorgeva dal mio sguardo, mi diceva in napoletano: “Affòòò si numme dai na mano ai voglia a fa cortisone!!! E nunte preoccupà ca nù muori!!” Forse poche parole, non troppo ortodosse, che però mi scuotevano e mi facevano rendere conto dell’energia di cui avevo bisogno per andare avanti.
E con quell’energia sono passato dai 10 ai 40 anni senza il benché minimo problema di convivenza con una PTI acuta.
Oggi lavoro nel mondo Automotive, mi occupo di sistemi di gestione per la qualità aziendale, un carico di lavoro notevole, ho una splendida moglie, Imma, e due bimbe fantastiche Gabriella di 2 anni e Gaia di 7.
Quando ero piccolo mia madre Nunzia era la mia infermiera personale, e volle fare uno studio a modo suo: dal 1980 al 1984 scrisse tutto quello che mangiavo. Da qui dedusse che c’era corrispondenza tra alcuni alimenti e la conta piastrinica e che a peggiorare le cose erano gli insaccati. Mhaaa!!! Solo il dottor De Rosa la ascoltò e più per far contenta una madre ansiosa che per convinzione eliminarono gli insaccati dalla mia dieta. Dopo 6 mesi le piastrine andarono a posto senza che assumessi cortisone. Di certo una coincidenza, dico io. Passarono 7 anni senza problemi e così ricominciai con gli insaccati: nel giro di pochi mesi mi ritrovai con le piastrine a 8000 unità e dovetti ricominciare una terapia. Durò sette mesi e alla fine le piastrine rimasero ad oscillare tra le 180.000 e le 230.000 unità.
È andata avanti così per 18 anni, mi bastava un solo controllo all’anno…e naturalmente, oltre ad evitare i FANS, degli insaccati non volli più sentire nemmeno l’odore. Il sistema immunitario è rimasto di un equilibrio quasi gandhiano nonostante abbia avuto a volte febbre alta e anche fatto un’operazione con anestesia.
Diciotto anni di vita normalissima con il ricordo veramente lontano di una trombocitopenia totalmente guarita, a questo punto cosa avreste fatto di fronte alla delizia di un buona pizza con salame napoletano? Chiamatemi pure imbecille, ma io dopo 18 anni ho ricominciato a mangiare insaccati alla grande, in barba anche al mio colesterolo.
Il primo marzo del 2011, un mese e mezzo fa, mi sono ritrovato a lavoro pieno di lividi e con una conta delle piastrine bassissima. Mi hanno fatto trattamenti diversi da quelli di 18 anni prima, in 10 giorni ero passato da un valore di 2.000 a uno di 54.000 e poi sono saliti ancora, quindi sembra una PTI nuovamente non refrattaria al cortisone, ma è ancora troppo presto per dirlo. Ma se c’è una cosa che ho imparato negli anni è che è inutile stare dietro ai numeri, bisogna stare dietro alla vita! Sono ancora convinto che quella degli insaccati sia una casualità. Questo ultimo episodio, in fondo, viene dopo due influenze e dosi più alte del solito di Novalgina.
Questa ricaduta dopo 18 anni e il fatto che mi sto informando molto mi ha fatto rendere conto che ci sono stati grandi passi avanti: i nuovi farmaci come Nplate che Revolade ne sono la testimonianza tangibile. Ora quello che incuriosisce e spinge alla ricerca me e anche gli amici di AIPT è la ricerca sulle possibili cause scatenanti: dopo trent’anni si cerca ancora di curare il sintomo ma non la causa, questa secondo il mio modestissimo parere di malato è un forte limite per la medicina.
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