L’apparecchiatura permette di distinguere le lesioni cerebrali della SM da quelle dovute ad altre malattie ma in Italia la burocrazia potrebbe impedirne l’uso negli ospedali
D’ora in poi diagnosticare la sclerosi multipla, malattia autoimmune del sistema nervoso centrale che colpisce 75mila italiani e 2,5 milioni di persone nel mondo, potrebbe essere più semplice, grazie all’utilizzo di una risonanza magnetica (RM) a 3 tesla (3T) invece che a 7 tesla (7T), un’apparecchiatura più potente che permette di identificare le lesioni cerebrali tipiche della patologia distinguendole da lesioni simili ma dovute ad altre malattie. La tecnica finora è stata usata solo per scopi di ricerca.
L’efficacia di questa tecnica è dimostrata da uno studio britannico, pubblicato sulla rivista Multiple Sclerosis Journal, condotto su 10 soggetti con SM e 10 soggetti non SM ma con lesioni microangiopatiche nella sostanza bianca cerebrale del dipartimento di neurologia del Nottingham University Hospitals (NHS) Trust. Utilizzando particolari sequenze di acquisizione con una RM 3T i ricercatori hanno mostrato che in tutti i pazienti con SM era visibile una vena centrale (lesioni tipiche della malattia) in più del 45% delle lesioni cerebrali, mentre nei pazienti con malattia ischemica dei piccoli vasi era presente una vena centrale in meno del 45% delle lesioni. Applicando la stessa analisi ad un secondo gruppo di pazienti, la discriminazione tra lesioni da SM e non SM è stata, oltre che accurata, anche piuttosto rapida, richiedendo 2 minuti per soggetto.
La funzione delle risonanze magnetiche è importantissima nella sclerosi multipla, per cercare di bloccare la malattia il più prima possibile. E una risonanza di una certa sensibilità conta soprattutto nei controlli di progressione della malattia, quando si valuta il ‘carico lesionale’: quando da un controllo all’altro compaiono nuove lesioni, vederle o non vederle, o scambiare una nuova lesione di tipo vascolare con una lesione da SM può far cambiare la terapia. Le immagini RM sono ugualmente importanti anche nel monitoraggio terapeutico, ossia nella valutazione degli effetti delle terapie.
“Le moderne macchine di imaging ad alto e altissimo campo ci permettono di ottenere dettagliatissime immagini ad alta risoluzione e sono utilizzate per lo studio di numerose patologie neurodegenerative e infiammatorie”, spiega al quotidiano La Stampa il professor Andrea Falini, Direttore dell’Unità di Neuroradiologia dell’Ospedale San Raffaele e ordinario di Neuroradiologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, il quale spiega come per dimostrare la presenza di lesioni demielinizzanti e quindi permettere la diagnosi di malattia, può bastare anche la RM standard (1.5 Tesla) il cui utilizzo ha cambiato la storia della SM negli ultimi trent’anni. In alcuni casi, però, anche il più esperto dei neuroradiologi può non riuscire a fare la diagnosi: “E’ in questa parte di pazienti che la nuova scoperta si inserisce, spostando in ambito clinico una tecnica messa a punto sull’altissimo campo e traslabile a 3 T”.
“Di recente introduzione e adatto alle più modeste e diffuse macchine a 3 tesla, l’imaging di suscettibilità (SWI) è una sequenza particolarmente sensibile a tutto ciò che è paramagnetico, come l’emoglobina venosa, e quindi permette di vedere sia i microsanguinamenti sia le vene normali, anche quelle di piccolissimo calibro come le venule”, spiega ancora il neuroradiologo. “Queste sequenze vengono di solito aggiunte alle normali sequenze T2 dei protocolli RM di routine, il cui alto contrasto tra le aree sane e il tessuto malato permette di vedere le possibili placche sclerotiche. Bisogna poi confrontare le immagini SWI e T2 standard per capire se le lesioni sono localizzate in sede intorno ad una venula”. “La novità dello studio britannico – conclude Falini - è l’esser riusciti, pur con una casistica di controlli limitata, a distinguere con grande accuratezza lesioni da SM dalle altre con un’unica sequenza abbattendo i tempi dell’esame pur mantenendo l’accuratezza”.
Purtroppo però, mentre nel resto del mondo le RM 3T sono ormai da molti anni usate per scopi clinici, in Italia l’uso di apparecchiature con un campo magnetico sopra i 2 tesla è autorizzato solo per la ricerca (e la domanda di autorizzazione per l’installazione va richiesta di volta in volta al Ministero della Salute), nonostante vi siano oltre 50 risonanze 3T già installate negli ospedali italiani e sia già in funzione anche un’apparecchiatura RM 7T a Pisa. E di conseguenza anche un neuroradiologo, di fronte ad un paziente per la cui patologia potrebbe essere decisivo un tipo di analisi ad alta risoluzione, è costretto a seguire la legge e optare per una macchina a 1,5 tesla oppure limitarsi a studiare i pazienti inclusi in specifici protocolli di ricerca.
Seguici sui Social