L’Alleanza Malattie Rare (AMR) è un Tavolo tecnico permanente nato il 4 luglio 2017 con la firma alla Camera dei Deputati di un Memorandum d’Intesa voluto dalla Senatrice Paola Binetti, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare per le Malattie Rare, e sottoscritto da Gianna Puppo Fornaro, presidente della Lega Italiana Fibrosi Cistica in rappresentanza dei pazienti, Federico Spandonaro, direttore di CREA Sanità, Francesco Macchia, coordinatore dell’Osservatorio Farmaci Orfani (OSSFOR), e Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore di Osservatorio Malattie Rare (OMaR).
Oggi fanno parte dell’Alleanza oltre 430 Associazioni di Pazienti di I e II Livello, ma anche tecnici e rappresentanti istituzionali sensibili alle tematiche delle malattie rare. L’AMR rappresenta dunque un luogo di fattiva collaborazione tra la società civile ed il mondo istituzionale con lo scopo di migliorare l’organizzazione dell’intero settore delle malattie rare, toccando anche i temi della disabilità, dell’assistenza e dell’inclusione.
La Federazione nazionale dei pazienti è impegnata in un progetto volto a incrementare la formazione medica sull’aspetto della salute mentale nelle persone con disabilità intellettiva
“I corsi di laurea in Medicina e di specializzazione in Psichiatria non includono le problematiche di salute mentale delle persone con disabilità intellettiva: un problema che riguarda da vicino le famiglie con ragazzi affetti da sindrome di Prader-Willi, visto che questi ultimi presentano spesso disturbi psichiatrici, in alcuni casi talmente accentuati da sfociare in psicosi violente a esordio precoce, con conseguente ricorso ai Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO)”. Con queste parole, Andreina Comoretto, presidente della Federazione Italiana Prader-Willi e mamma di un ragazzo di 16 anni affetto dalla sindrome, presenta un problema molto sentito tra i circa 700 nuclei familiari interessati dalla patologia, ma che riguarda, più in generale, l’intera popolazione con disturbi del neurosviluppo. “I TSO, però, servono solo a tamponare l’emergenza, perché di fatto non hanno nessuna efficacia”, prosegue Comoretto. “Spesso, anzi, nei reparti di Neuropsichiatria ai nostri ragazzi vengono somministrati farmaci che finiscono per avere un effetto paradosso, con risultati esattamente opposti a quelli sperati”.
Alleanza Malattie Rare e OMaR si appellano alle istituzioni affinché si agevoli il percorso delle famiglie, si agisca per eliminare le troppe disparità territoriali e si offra adeguato supporto psicologico
Il 16 aprile si celebra la Giornata nazionale dedicata alla donazione di organi e, in vista di questa ricorrenza, le oltre 400 associazioni di pazienti che compongono l’Alleanza Malattie Rare - AMR, con il supporto dell’Osservatorio Malattie Rare - OMaR, hanno voluto avviare un dialogo interno per condividere le proprie esperienze, analizzare le criticità comuni e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su alcune questioni che potrebbero essere affrontate e risolte, a partire dalla riduzione delle tante, troppe, disparità territoriali. La necessità di occuparsi del tema della donazione di organi è dettata tanto dal valore salvavita della donazione e del trapianto, quanto dai numeri che mostrano come il legame tra malattie rare e trapianti sia assai stretto, probabilmente più di quello che si creda.
La lettera delle associazioni di pazienti con patologie rare alle Ministre Santanchè, Roccella e Locatelli: “Vicende come quella del giovane Tommaso non devono più accadere”
Ricordate la storia di Tommaso Pimpinelli, il giovane romano affetto da malattia di Norrie che si trovava in vacanza con la famiglia a San Martino di Castrozza (TN) e che in hotel, a causa delle lamentele di alcuni altri commensali, è stato inviato a consumare i pasti in una sala isolata, separata da quella di tutti gli altri? Dopo l’intervento di Fortunato Nicoletti, vice presidente di Nessuno è Escluso Odv, a sostegno dell’indignazione sollevata sui social dai genitori di Tommaso, si sono mosse anche le associazioni aderenti all’Alleanza Malattie Rare, che hanno inviato una lettera alle istituzioni competenti chiedendo azioni concrete e strutturali, come campagne nazionali di sensibilizzazione sul tema e iniziative di formazione del personale operante nelle strutture ricettive, al fine di garantire il pieno rispetto di ogni individuo, a prescindere dalla propria condizione di salute. Riportiamo di seguito il testo integrale della missiva.
Nata appena un anno fa, la Onlus conta già più di una ventina di famiglie. La presidente Manodoro: “Siamo portavoce dei bisogni e dei diritti delle persone colpite dalla patologia”
La sindrome COL4A1/A2 è una malattia genetica molto rara e multisistemica, conosciuta negli Stati Uniti come sindrome di Gould. La patologia è causata da mutazioni nei geni COL4A1 o COL4A2 che possono essere trasmesse dai genitori, con modalità autosomica dominante, oppure presentarsi spontaneamente (mutazioni de novo). Questa sindrome è tipicamente caratterizzata da un’anomalia dei piccoli vasi cerebrali che porta ad ictus ed emorragie spesso già in fase prenatale, con possibili conseguenze a livello cognitivo, motorio, visivo e del linguaggio. Possono verificarsi anche difetti dello sviluppo oculare e disturbi muscolari, renali, epatici e cardiaci; molti pazienti, inoltre, soffrono di epilessia. La gravità delle manifestazioni della malattia è molto variabile: si va da quadri clinici severi, a insorgenza precoce, a casi lievi o asintomatici. Al momento, le uniche terapie disponibili sono rivolte all’attenuazione dei sintomi (ad esempio i farmaci per l’epilessia) e la riabilitazione è fondamentale per le problematiche motorie, visive e del linguaggio.
Un gruppo di esperti italiani ha già iniziato a lavorare alla stesura delle raccomandazioni: l’iniziativa è stata fortemente voluta dell’Associazione Famiglie COL4A1-A2
È cominciato lo scorso di febbraio, ma sono già tante le aspettative e, soprattutto, le speranze: parliamo del percorso per la definizione delle linee guida ufficiali per la diagnosi, il monitoraggio e il trattamento della sindrome COL4A1/A2. Un percorso intrapreso per iniziativa dell’Associazione Famiglie COL4A1-A2, che si è aperto lo scorso 10 febbraio con una tavola rotonda organizzata presso l’Istituto degli Innocenti a Firenze e che, se tutto andrà liscio, potrebbe concludersi nel giro di un anno.
Nata dall’iniziativa di un paziente, oggi la Onlus ha numerosi collegamenti internazionali. La presidente De Rossi: “Vogliamo offrire aiuto e informazione”
Conosciuta anche come malattia di Lou Gehrig, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una patologia neurodegenerativa progressiva dell’età adulta, determinata dalla perdita dei motoneuroni spinali, bulbari e corticali, che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Pur bloccando progressivamente tutti i muscoli, la patologia non intacca le capacità cognitive: la mente resta vigile in un corpo che diventa via via immobile. In Italia di stimano oggi più di 6.000 persone affette da SLA e circa 1.500 pazienti tra i 40 e 70 anni ricevono una diagnosi ogni anno. Il decorso medio della malattia va dai 3 ai 5 anni, il 50% delle persone affette muore entro 36 mesi dall’esordio, mentre solo il 10% circa supera i 10 anni. Nella maggior parte dei casi, la morte sopravviene per insufficienza respiratoria.
Di prossima attivazione, il progetto ProFAD si propone di potenziare le competenze necessarie per fornire un’adeguata assistenza ai pazienti
Prendersi cura di una persona affetta da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) non è semplice, e spesso perfino gli operatori socio-sanitari delle cooperative o aziende che forniscono assistenza per conto della ASL, per quanto formati, non hanno le competenze necessarie per mettere in atto un intervento pronto ed efficace sui pazienti. In molti casi, poi, gli operatori ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) mancano anche delle competenze relazionali indispensabili per fornire la propria opera in ambiente domestico. Per non parlare del turn over che caratterizza queste figure sanitarie, da sempre molto forte e accentuatosi durante la pandemia per via di un esodo di personale verso il servizio pubblico. Come se non bastasse, poi, l’assistenza domiciliare non copre mai le 24 ore, lasciando comunque la cura delle persone con SLA nelle mani di familiari e badanti, che a volte non hanno mai effettuato prima quella serie di manovre e operazioni necessarie a garantire la sopravvivenza dei pazienti.
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