Madrid – Dolore e senso di fatica sono i due più importanti e invalidanti sintomi riferiti dai pazienti con artrite reumatoide, che possono perdurare nonostante le terapie. In una analisi dello studio RA-BEAM presentata al Congresso dei Reumatologi Europei EULAR, baricitinib, l’innovativa small molecole, inibitore selettivo di JAK 1 e 2 (Janus chinasi) ha mostrato una particolare capacità di controllare e scardinare questi due sintomi, che risultano essere tra i più resistenti ai trattamenti e che influiscono più pesantemente con le attività quotidiane e lavorative.

Sappiamo che circa 6 milioni di persone in Italia soffrono di malattie reumatiche e oltre 400mila sono affette da artrite reumatoide. Questi pazienti hanno una caratteristica sensazione di rigidità e dolore prevalentemente mattutina che in molti casi diventa un invalidante e costante compagno di vita. La maggior parte dei pazienti affetti da artrite reumatoide sono donne tra i 35 e i 50 anni, nel pieno della loro vita sociale, relazionale, professionale che spesso impiegano anni prima di ricevere la giusta diagnosi o la terapia più adeguata.

“La valutazione dell’impatto  del dolore sta assumendo un ruolo sempre più importante nella percezione della gravità della malattia: una indagine della Rheumatology Patient Foundation americana riferisce che il 68% dei malati non aveva neanche un giorno al mese senza dolore e solo un quarto degli intervistati ha confermato che la rigidità articolare mattutina migliorava nelle ore successive, mentre  per la maggior parte perdurava costantemente”, spiega il Professor Luigi Sinigaglia dell’Unità Operativa di Reumatologia dell’Istituto Gaetano Pini di Milano. “Nello studio RA-BEAM il dolore è stato misurato con un questionario con una scala specifica di valutazione del dolore (VAS-PAIN) ed è stato somministrato un questionario specifico chiamato WPAI-RA (Work Productivity and Activity Index) che valuta il livello di compromissione della vita attiva e la produttività del paziente-lavoratore in termini di assenteismo e presenteismo (quel fenomeno per cui la persona è presente al lavoro ma la sua performance viene compromessa dallo stato di malattia)”.

Gli aspetti di valutazione del questionario sono molteplici: da quelli generali sino alla valutazione di singole funzioni come stare in piedi o svolgere attività specifiche. Lo studio ha evidenziato un calo del 30% dei sintomi dolorosi nelle attività quotidiane già dalla prima settimana di trattamento che si associava al miglioramento del 30% delle performance nelle attività lavorative (P. <0.001) con effetti positivi già alla 12ma settimana di trattamento.

“Si tratta di un aspetto molto importante”, prosegue il Professor Sinigaglia. “Non va dimenticato che molti pazienti sono nel pieno della propria attività lavorativa, offrire quindi una terapia efficace significa spesso offrire la possibilità di continuare a inseguire i propri obiettivi. Questo è possibile ancor di più grazie alle nuove molecole come baricitinib: sino a pochi anni fa tra il 32 e il 50%  dei pazienti perdeva il lavoro entro dieci anni dalla diagnosi. Le terapie attualmente disponibili sono invece in grado di migliorare la capacità lavorativa di migliorare il dolore e raggiungere l’obiettivo della remissione”.

“Il lavoro è un pilastro del benessere e dell’equilibrio delle persone con una malattia cronica", ricorda Silvia Tonolo, Presidente di ANMAR che aggiunge: “proprio le persone con artrite reumatoide lavorano 53% in meno rispetto alla popolazione generale. Terapie più efficaci, maneggevoli e sicure permettono oggi di ridurre significativamente il danno alle articolazioni e migliorano il ‘funzionamento’ complessivo della persona”.
Sintomi come fatica e dolore continuano ad essere i maggiori ostacoli dei pazienti sul luogo di lavoro, anche se la malattia impatta praticamente in tutte le attività quotidiane, a partire dalle cure personali.

“L'impatto emotivo talora compromette aspetti fondamentali della vita, con il 40% dei pazienti che riporta conseguenze negative sui rapporti di coppia. Sono i risultati dell'indagine “RA MATTERS” presentata all'EULAR 2017, che ha coinvolto 6208 partecipanti in 8 paesi, ha rivelato informazioni importanti anche per ciò che riguarda la gestione e le decisioni sul trattamento” - prosegue Tonolo - “molti pazienti sono convinti che la malattia sia una barriera alle ambizioni del futuro. Anche perché il suo andamento è spesso imprevedibile: alcuni godono di lunghi periodi di inattività della malattia che possono poi rimanifestarsi in maniera inaspettata, altri invece mostrano un alto livello di attività, con sintomi costanti che possono durare per mesi. Queste fluttuazioni possono portare a stress, senso di perdita di controllo e di speranza per il futuro e condanna i malati ad un progressivo isolamento. Restituire anni di vita di qualità e permettere la totale realizzazione sia personale che professionale è ormai un obiettivo raggiungibile grazie a farmaci sempre più efficaci sui sintomi più invalidanti”.

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