Emofilia, intervista al dott. Gianluigi Pasta
Dottor Gianluigi Pasta

Uno studio italiano evidenzia come la carenza di fattore VIII, che è alla base della patologia, abbia un ruolo diretto nell’alterazione del metabolismo osseo

Negli ultimi anni, la salute ossea nei pazienti con emofilia è diventata un tema di crescente interesse clinico e scientifico. Se un tempo l’attenzione dei medici era rivolta quasi esclusivamente al controllo della principale conseguenza della patologia, ossia l’insorgenza di episodi emorragici, oggi si sta facendo strada una visione più ampia e sistemica dell’emofilia, che riconosce nel danno scheletrico una complicanza insidiosa e tutt’altro che marginale.

Un recente studio italiano, pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences, ha analizzato nel dettaglio i meccanismi molecolari alla base della fragilità ossea nell’emofilia A, mostrando come la carenza di fattore VIII, che rappresenta la causa di questa patologia, interferisca con l’equilibrio tra formazione e riassorbimento osseo mediante la perturbazione dei processi cellulari che regolano questo bilanciamento e l’attivazione di segnali pro-infiammatori dannosi. Per approfondire queste evidenze e capire quali prospettive aprano sul piano della gestione clinica dell’emofilia, abbiamo intervistato il dott. Gianluigi Pasta, coordinatore dello studio e responsabile del laboratorio di ricerca muscolo-scheletrica presso la Clinica di Ortopedia e Traumatologia dell’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia.

Dottor Pasta, il vostro lavoro ha preso in esame il ruolo del fattore VIII nella regolazione del metabolismo osseo nei pazienti con emofilia A. Qual è il dato più rilevante che risulta da questa analisi?

L’aspetto più significativo che emerge da questa revisione della letteratura è senza dubbio la natura multifattoriale dei meccanismi molecolari che legano la carenza di fattore VIII (FVIII) alla fragilità ossea nell’emofilia A. La compromissione della salute ossea nei pazienti affetti da questa patologia non è soltanto una conseguenza indiretta del sanguinamento articolare e della flogosi, quanto piuttosto l’esito di una disregolazione complessa che coinvolge l’intero asse coagulazione-infiammazione-osso, con un impatto diretto sull’attività delle cellule responsabili della formazione del tessuto osseo (gli osteoblasti) e del suo riassorbimento (gli osteoclasti). In particolare, il fattore VIII sembra in grado di influenzare diversi processi biologici, interagendo con le citochine infiammatorie e i fattori di crescita”.

Il vostro studio dedica ampio spazio all’asse trombina/PAR1/PAR4 e alle sue implicazioni sull’attività di rimodellamento osseo. Può aiutarci a capire meglio questa interazione?

“L’asse trombina/PAR1/PAR4 è un meccanismo di comunicazione cellulare in cui la trombina - enzima chiave della cascata coagulativa - attiva specifici recettori chiamati PAR1 e PAR4 (Protease-Activated Receptors), che sono presenti su varie cellule, inclusi gli osteoblasti, gli osteoclasti e i loro precursori. In condizioni fisiologiche, l’attivazione della trombina e dei recettori PAR contribuisce a regolare l’equilibrio tra formazione e riassorbimento osseo. Al contrario, in caso di carenza del fattore VIII il quantitativo di trombina prodotta risulta insufficiente e determina una disfunzione della segnalazione cellulare PAR-dipendente. Questo si traduce in un’alterazione della funzionalità delle cellule ossee: da un lato, una ridotta stimolazione della formazione ossea, a causa della minore attività osteoblastica; dall’altro, un’aumentata e disorganizzata attività osteoclastica, con effetti negativi sul corretto rimodellamento osseo. Il risultato complessivo è un disequilibrio che contribuisce in modo significativo alla fragilità scheletrica osservata nei pazienti con emofilia A”.

I risultati della vostra indagine indicano che la carenza di FVIII sembra alterare l’equilibrio di un altro asse cruciale nel rimodellamento osseo. Di quale meccanismo si tratta? Quali sono le principali conseguenze di una sua alterata attività?

In questo caso parliamo dell’asse OPG/RANK/RANKL: un meccanismo fondamentale nella regolazione del rimodellamento osseo, in particolare per quanto riguarda l’attività osteoclastica. Questo sistema si basa sull’interazione tra tre proteine chiave: RANKL, prodotta dagli osteoblasti per stimolare la maturazione e l’attivazione degli osteoclasti; RANK, il recettore presente sulla superficie degli osteoclasti e dei loro precursori; e OPG (osteoprotegerina), una proteina che si lega a RANKL e che, agendo come falso recettore, impedisce l’attivazione di RANK, assumendo così il compito di limitare e controllare il riassorbimento osseo. Nei pazienti emofilici questo equilibrio risulta compromesso a causa di meccanismi molecolari disfunzionali legati all’infiammazione cronica e alla ridotta generazione di trombina. Diversi studi suggeriscono che la carenza di FVIII, associata a un ambiente pro-infiammatorio e ad una disregolazione delle vie di segnalazione come l’asse trombina/PAR, porti a un aumento dell’espressione di RANKL e ad una diminuzione della produzione di OPG. Questo sbilanciamento si traduce in un maggior riassorbimento osseo e in una riduzione della densità minerale (BMD), con alterazioni della microarchitettura ossea, fragilità e aumentato rischio di fratture”.

Infine, la vostra analisi individua un possibile bersaglio terapeutico nella via iRhom2/ADAM17/TNF-alfa. Può aiutarci a capire di cosa si tratta e come questa scoperta potrebbe essere utile per il trattamento dei pazienti?

“La via iRhom2/ADAM17/TNF-alfa è una catena di segnali che coinvolge alcune proteine in grado di attivare e regolare l’infiammazione nel nostro organismo. Quando questa via è iperattiva può contribuire a processi di degradazione cellulare, tra cui la perdita di massa ossea. In particolare, ADAM17 è un enzima che, una volta attivato da iRhom2, favorisce il rilascio di molecole infiammatorie come il TNF-alfa (fattore di necrosi tumorale alfa), che a loro volta influenzano le cellule responsabili del riassorbimento dell’osso. Nei pazienti emofilici, la persistenza di micro-sanguinamenti e l’infiammazione cronica, specialmente a livello articolare, possono mantenere questa via costantemente attivata, amplificando il riassorbimento osseo e contribuendo alla fragilità scheletrica. La comprensione del ruolo di questa via di segnalazione ha portato a ipotizzare nuovi approcci farmacologici mirati: le prospettive più concrete si stanno concentrando sullo sviluppo di inibitori specifici di ADAM17/iRhom2 o sull’utilizzo mirato di terapie anti-TNF-alfa, con l’obiettivo di ridurre il riassorbimento e promuovere la formazione del tessuto osseo, migliorandone la densità e la qualità”.

Dal punto di vista clinico, quali strategie considera più importanti per prevenire e monitorare la fragilità ossea nei pazienti con emofilia?

“La strategia clinica più efficace si basa su un approccio multidisciplinare che integri una profilassi emostatica ottimale, il monitoraggio regolare della salute ossea, uno stile di vita sano e, quando indicato, interventi farmacologici mirati”.

In questo contesto, secondo lei, quali sono le strade più promettenti che la ricerca dovrebbe seguire per tentare di tradurre nuove conoscenze in benefici reali per i pazienti?

“Il futuro della ricerca dovrebbe puntare a una comprensione sempre più approfondita dei meccanismi patogenetici alla base della fragilità ossea nell’emofilia. Solo così sarà possibile sviluppare strumenti di diagnosi precoce - come l’identificazione di biomarcatori specifici - e terapie innovative in grado di agire in modo mirato sui principali bersagli molecolari responsabili delle problematiche ossee associate alla patologia, da affiancare alla terapia di profilassi dei sanguinamenti”.

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