Iperossaluria primitiva: news su farmaci, terapie e sperimentazioni in corso
L’iperossaluria primitiva (PH) è una malattia genetica rara caratterizzata da un'elevata produzione endogena ed eccessiva escrezione urinaria di ossalato, con conseguente sviluppo di nefrolitiasi (calcoli renali) ossalo-calcica, nefrocalcinosi (deposito di calcio nei reni) e, nei casi più gravi, insufficienza renale cronica e ossalosi sistemica (accumulo di cristalli di ossalato di calcio in vari organi e tessuti, tra cui ossa, cuore, arterie e cute). La PH coinvolge il metabolismo del gliossilato, precursore dell’ossalato. Esistono tre diverse forme di iperossaluria primitiva, il tipo 1 (PH1), il tipo 2 (PH2) e il tipo 3 (PH3), ognuna delle quali caratterizzata da uno specifico difetto enzimatico. L’esatta prevalenza e incidenza della patologia sono difficili da definire: sicuramente, la PH è una malattia sotto-diagnosticata a causa della scarsa disponibilità di adeguati mezzi diagnostici. A seconda dei Paesi, la prevalenza oscilla da 1 a 9 casi per milione di individui. In Italia, il numero di pazienti è in linea con tali stime.
Il codice di esenzione dell'iperossaluria (indicata come "iperossaluria primaria") è RCG060 (afferisce al gruppo "Difetti congeniti del metabolismo e del trasporto dei carboidrati").
La sezione Iperossaluria Primitiva è realizzata grazie al contributo non condizionante di Alnylam.
La PH1 è la forma più diffusa di iperossaluria primitiva (circa il 70-80% dei casi) ed è una patologia estremamente variabile, sia dal punto di vista clinico che genetico e fisiopatologico: l’età di insorgenza dei sintomi, ad esempio, va dall'infanzia alla sesta decade di vita. Il sintomo che ricorre più frequentemente è lo sviluppo di nefrolitiasi, di solito a insorgenza precoce. La presenza di calcolosi o nefrocalcinosi, in genere molto severe, predispone allo sviluppo dell'insufficienza renale: diversi studi hanno dimostrato che fino al 65% dei pazienti con PH1 presenta una malattia renale allo stadio terminale già alla diagnosi. Tra le più gravi complicanze della PH1 c'è l'ossalosi sistemica. Nella PH2, invece, la malattia renale allo stadio terminale e l'ossalosi sistemica sono due condizioni meno frequenti e precoci. La PH3, infine, ha un decorso meno grave, può essere silente o limitarsi alla formazione di calcoli e, con il tempo, può anche migliorare. Nella PH3 non è stato descritto, finora, alcun coinvolgimento sistemico.
Il 20% circa dei pazienti con iperossaluria giunge alla diagnosi tardivamente, in età adulta, in seguito allo sviluppo di un'insufficienza renale cronica oppure dopo il trapianto renale. Il sospetto diagnostico nasce di fronte a una nefrolitiasi ossalo-calcica particolarmente severa o esordiente in età precoce (generalmente nei primi 20 anni di vita). Il primo passo nella diagnosi di iperossaluria è rappresentato dal riscontro di elevati livelli di ossalato nel plasma e nelle urine (urine nelle 24h), mentre la conferma diagnostica si ottiene tramite test genetici. Alle persone affette e ai familiari a rischio dovrebbe essere offerta una consulenza genetica. La diagnosi prenatale o preimpianto è possibile nelle gravidanze a rischio e nelle famiglie affette.
L'attuale trattamento della PH mira a ridurre la produzione di ossalato mediante somministrazione di piridossina (vitamina B6), e a prevenire l’ossalosi sistemica causata dall’insufficienza renale cronica. La risposta favorevole alla terapia con piridossina, con una diminuzione dei livelli di ossalato serico e urinario, sembra essere legata a specifici genotipi. La terapia volta a ridurre l'ossalato di calcio include un elevato apporto di liquidi (distribuito nelle 24 ore), diuretici tiazidici, citrato di potassio o potassio più magnesio. E' possibile prendere in considerazione tre opzioni chirurgiche: il trapianto di rene, che però non interviene sul difetto metabolico; il doppio trapianto rene-fegato, che va eseguito il più precocemente possibile (opzione curativa); il trapianto epatico preventivo, effettuato, ad oggi, solo occasionalmente, e sul quale il consenso degli esperti non è unanime. Se la malattia non viene trattata, la prognosi è molto sfavorevole, ma in futuro potrebbe essere migliorata dallo sviluppo di nuove terapie.
Nel nostro Paese non sono presenti associazioni dedicate alla patologia; esiste invece, a livello europeo, un consorzio di medici chiamato OXAL Europe.
Fonti principali: - M. Marangella, L. Fabbrini, S. Berutti, Storia naturale della iperossaluria primitiva. TN&D – Giornale di Tecniche Nefrologiche e Dialitiche, 2018. Vol. 21, Issue 2, pp. 35-39. - Soliman et al., Clinical spectrum of primary hyperoxaluria type 1: experience of a tertiary center. Nephrologie & Therapeutique 2017; 176-182. - Orphanet
Dal 1925 ad oggi sono stati sviluppati nuovi farmaci e la mortalità dei pazienti è calata (ma solo nei Paesi occidentali): un bilancio in occasione della settimana dedicata alla malattia
Era il 1925 quando l'urologo francese C. Lepoutre descrisse per la prima volta la presenza di cristalli di ossalato nel rene. Facciamo un salto di quasi un secolo e siamo nel 2020, quando la Food and Drug Administration (FDA) e l'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) approvano il farmaco lumasiran, la prima terapia che, riducendo drasticamente la sintesi dell'ossalato endogeno, ha rivoluzionato l'algoritmo di trattamento per le persone affette da iperossaluria primitiva di tipo 1 (PH1). Un percorso lungo, composto da numerose tappe importanti: a riassumerle sono stati i nefrologi Justine Bacchetta (Francia) e Kyle D. Wood (Stati Uniti) nel loro editoriale pubblicato sul Clinical Kidney Journal, con il quale introducono un supplemento completamente dedicato alla patologia. Riportiamo le loro riflessioni in occasione della Hyperoxaluria Awareness Week, la settimana dedicata alla consapevolezza di questa malattia, che è stata celebrata in tutto il mondo dal 7 al 12 novembre.
Il prof. Francesco Emma spiega quali sono le similitudini e le differenze con il lumasiran, farmaco già approvato in Europa e disponibile anche in Italia
Roma – Un nuovo farmaco potrebbe aggiungersi alle attuali opzioni di trattamento dell'iperossaluria primitiva: tutto dipenderà dai risultati di una sperimentazione in corso anche in Italia, presso l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Nedosiran è il nome di questa nuova molecola sviluppata da Dicerna Pharmaceuticals, una biotech americana che nel dicembre 2021 è stata acquisita dalla multinazionale danese Novo Nordisk.
Il prof. Francesco Emma: “Il farmaco lumasiran blocca l’eccessiva produzione di ossalato che caratterizza la patologia. La diagnosi, però, deve essere rapida e precoce”
Roma – Il cuore, la retina, il midollo osseo e soprattutto i reni: sono gli organi più colpiti da una malattia genetica rara, l'iperossaluria primitiva. Nel mondo, la patologia ha una prevalenza di 1-3 casi su un milione e un'incidenza di circa un caso ogni 120mila nati vivi per anno. L'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma è il maggiore centro italiano come volume di attività per le malattie rare renali, e al momento, presso la Divisione di Nefrologia e Dialisi diretta dal prof. Francesco Emma, sono in follow-up alcuni pazienti affetti da questa condizione.
La dr.ssa Giorgia Mandrile (Torino): “Assolutamente necessario ridurre l'odissea diagnostica delle famiglie, anche per garantire loro l'accesso alle nuove terapie”
Torino – Trent'anni di esperienza nel trattamento dell'iperossaluria primitiva, dal 1992 al 2020: la fotografia che si ricava dallo studio appena pubblicato sul Journal of Nephrology ha molte luci ma anche qualche ombra. Se da una parte, infatti, evidenzia i numerosi progressi fatti in Italia negli ultimi decenni, allo stesso tempo sottolinea un aspetto meno incoraggiante: il ritardo diagnostico è sì diminuito ma solo lievemente, e resta sempre notevole.
Anche la sorella Cristina ha la stessa malattia, ma è la più piccola bambina al mondo a cui è stato somministrato il farmaco lumasiran, che le consentirà di evitare il destino di suo fratello
Milano – Il papà di Francesco ha compiuto uno dei gesti più belli che si possano fare nei confronti di un figlio: donargli un rene. Il bambino ha otto anni e i suoi reni sono stati messi a dura prova, fin dalla nascita, da una rara malattia genetica, l'iperossaluria primitiva di tipo 1. Anche la sorella Cristina, che ha solo un mese e mezzo, è affetta dalla stessa malattia, ma ha avuto la fortuna di ricevere la diagnosi ancor prima di nascere, e quindi ha potuto iniziare immediatamente un trattamento farmacologico. In realtà, anche Francesco è stato diagnosticato precocemente, ma il farmaco che oggi permetterà a Cristina di evitare il trapianto, purtroppo otto anni fa non esisteva.
Fino ad oggi, per questa rara patologia nefrologica non esistevano terapie specifiche ed efficaci se non il trapianto di fegato
Roma – Via libera da parte dell'AIFA al farmaco lumasiran, indicato per i pazienti affetti da iperossaluria primitiva di tipo 1 (PH1), una grave malattia rara che colpisce dapprima i reni (con nefrolitiasi spesso recidivante, nefrocalcinosi e insufficienza renale) e successivamente coinvolge l'intero organismo con l'insorgenza di manifestazioni diverse (patologia multisistemica). Con la determina pubblicata oggi nella Gazzetta Ufficiale, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato l’impiego del medicinale in regime di rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Già approvato dalla Commissione Europea nel 2020, lumasiran (nome commerciale Oxlumo) sarà quindi disponibile in Italia per il trattamento della patologia in tutte le fasce d'età e potrà essere somministrato tramite iniezione sottocutanea.
Il caso clinico di un bambino di 5 anni a cui la malattia è stata diagnosticata in seguito a un trapianto di rene
Cincinnati (USA) – La nefrocalcinosi è un quadro morfologico caratterizzato dal deposito di calcio nel parenchima renale, mentre la nefrolitiasi è la formazione di quelli che chiamiamo comunemente calcoli renali. Sono questi i due sintomi principali dell'iperossaluria primitiva di tipo 1 (PH1),ma non sempre sono presenti: lo specialista, pertanto, dovrebbe sospettare questa rara patologia ereditaria anche in caso di nefropatia allo stadio terminale di eziologia incerta, e optare dunque per il test genetico. Sono le conclusioni alle quali sono giunti i ricercatori del Children's Hospital Medical Center di Cincinnati (Ohio), che hanno raccontato sull'American Journal of Transplantationun caso clinico che riguarda un bambino di 5 anni affetto da una forma atipica di PH1.
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