Prof. Massimiliano Filosto - Malattia di Pompe
Prof. Massimiliano Filosto

Intervista a Massimiliano Filosto, Professore Associato di Neurologia presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università degli Studi di Brescia

La malattia di Pompe, o glicogenosi di tipo II, è una patologia neuromuscolare rara, cronica e progressiva, ad ereditarietà autosomica recessiva, potenzialmente fatale. Colpisce circa 10.000 persone nel mondo, tra neonati, bambini e adulti, e si stima che in Italia ne siano affette circa 300 persone. Appartiene al gruppo delle malattie lisosomiali ed è causata da un difetto enzimatico che impedisce il corretto smaltimento del glicogeno, la principale riserva energetica dei muscoli. Il risultato è un accumulo di glicogeno e un malfunzionamento dei meccanismi di autofagia che provocano danni progressivi al cuore e ai muscoli scheletrici, inclusi quelli coinvolti nella respirazione.

La malattia di Pompe è una glicogenosi che coinvolge in particolare il tessuto muscolare, è causata dal deficit dell’enzima lisosomiale alfa glucosidasi acida e comporta un accumulo di glicogeno nei tessuti”, ci spiega Massimiliano Filosto, Professore Associato di Neurologia presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università degli Studi di Brescia, Direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia dell’Università degli Studi di Brescia e Direttore del Centro Clinico NeMO-Brescia per le Malattie Neuromuscolari. “Può presentarsi in modi diversi ma, in generale, si distinguono due forme. La più severa è la forma a esordio infantile, chiamata Infantile-Onset Pompe Disease, caratterizzata da un’attività enzimatica praticamente pari a zero. Nella forma a esordio più tardivo, che può manifestarsi in età infantile, giovanile o adulta, definita Late-Onset Pompe Disease, è presente un’attività enzimatica residua di entità variabile che si associa a un decorso meno aggressivo, pur rimanendo una condizione clinicamente significativa”.

MALATTIA DI POMPE PERCHÉ INSORGE E COME SI MANIFESTA

La causa della malattia di Pompe è un’anomalia a carico di un gene specifico, denominato GAA, che è responsabile della produzione dell’enzima alfa-glucosidasi acida. Si tratta di un enzima presente all'interno dei lisosomi che ha il compito di scomporre gli zuccheri complessi, come il glicogeno, in zuccheri semplici e digeribili come il glucosio e quindi di fornire energia ai muscoli.

Quando è presente una mutazione nel gene GAA – prosegue Filosto – la produzione dell’enzima può essere del tutto assente, come nelle forme infantili, oppure estremamente ridotta, come nelle forme late-onset. La tipologia e la sede della mutazione determinano l’attività enzimatica residua (praticamente nulla nel caso di mutazioni localizzate in siti cruciali per la funzione enzimatica, parziale nel caso di mutazioni con effetto meno dirompente). Nella forma infantile sono presenti un importante coinvolgimento del tessuto muscolare, con grave debolezza e ipotonia muscolare, e un interessamento cardiaco, con grave cardiomiopatia, elemento dominante e aspetto tra i più critici della malattia. Nelle forme a esordio tardivo, invece, il coinvolgimento cardiaco è meno rilevante e ha un impatto clinico minore. Gli aspetti clinici principali, in questi casi, sono la debolezza muscolare che colpisce sia i muscoli degli arti, sia la muscolatura assiale e il coinvolgimento della muscolatura respiratoria che, nel tempo, esita in una severa insufficienza respiratoria. La forma late-onset può rimanere silente per anni, senza alcun segnale evidente nei primi anni di vita. Poi, progressivamente, può comparire una debolezza muscolare generalmente prossimale con un lento decorso peggiorativo. In alcuni casi, i sintomi si manifestano già nell’infanzia, in altri possono emergere molto più tardivamente, anche in persone di 50 o 60 anni che fino a quel momento non avevano avuto particolari problemi”.

DALLA SOSPETTA DEBOLEZZA MUSCOLARE ALLA CONFERMA: IL PERCORSO DIAGNOSTICO

La diagnosi oggi è resa sicuramente più semplice grazie allo screening neonatale, laddove presente”, prosegue l’esperto. “Trattandosi di una malattia suscettibile di un trattamento efficace, la diagnosi precoce è fondamentale allo scopo di iniziare la terapia più rapidamente possibile, un elemento chiave per minimizzare gli effetti dannosi del deficit enzimatico. Nelle forme infantili, l’associazione di debolezza e ipotonia muscolare, cardiomiopatia e rialzo degli enzimi muscolari nel sangue, in particolare della creatinchinasi (CK), devono suggerire il sospetto di malattia di Pompe e indurre a eseguire celermente la determinazione dell’attività enzimatica residua e lo studio molecolare del gene GAA. Nelle forme late-onset la diagnosi può essere difficoltosa e spesso tardiva, perché i sintomi possono rimanere lievi e poco evidenti per molti anni ed esiste una grande variabilità fenotipica. La debolezza coinvolge in particolare la muscolatura prossimale dei quattro arti, progredisce nel corso del tempo e si associa a valori moderatamente aumentati di CK. Oggi, nei centri italiani di riferimento per le malattie neuromuscolari, i pazienti con iperCKemia apparentemente idiopatica e/o con debolezza muscolare prossimale evolutiva vengono generalmente sottoposti a un test di screening di dosaggio dell’attività enzimatica residua dell’alfa glucosidasi acida mediante DBS (Dried Blood Spot) che, qualora positivo, induce a ulteriori approfondimenti diagnostici, inclusi lo studio molecolare del gene GAA, la biopsia muscolare e la RM muscolare”.

LE CURE PER LA MALATTIA DI POMPE

Attualmente, abbiamo a disposizione terapie enzimatiche sostitutive (ERT) che permettono di somministrare al paziente l’enzima mancante prodotto in laboratorio per via endovenosa”, precisa Filosto. “Questo trattamento ha davvero cambiato la storia naturale della malattia. I bambini con la forma infantile, che un tempo morivano molto precocemente, oggi possono sopravvivere. Negli adulti, la progressione della malattia tende a stabilizzarsi e, in diversi casi, si osserva un miglioramento della funzione respiratoria e motoria. A lungo, l’unico farmaco disponibile per il trattamento enzimatico sostitutivo è stato l’alglucosidasi alfa. Nonostante l’indubbia efficacia, l’esperienza real-world ci ha insegnato che questa decresce con l’andare del tempo, in particolare dopo 5-7 anni di trattamento continuativo, portando a un graduale deterioramento del quadro clinico. Alla luce di ciò, la ricerca è andata avanti e, oggi, sono disponibili due nuove terapie enzimatiche sostitutive di seconda generazione, più avanzate, con maggiore biodisponibilità e maggiore capacità di penetrare all’interno delle cellule target. Di recente, i due nuovi farmaci sono stati approvati anche in Italia (avalglucosidasi alfa e cipaglucosidasi + miglustat) e molti pazienti trattati con alglucosidasi alfa e con deterioramento delle funzioni motorie sono già stati sottoposti a switch verso una delle due nuove terapie disponibili. Ad oggi, abbiamo quindi tre terapie disponibili, di cui una – la più vecchia – sta gradualmente andando in disuso. Come già accennato, il trattamento è tanto più efficace quanto più precocemente iniziato. Il messaggio più importante da lanciare qui è quello di sospettare la malattia di Pompe e di procedere rapidamente con le tecniche diagnostiche note. La diagnosi precoce è fondamentale per iniziare il trattamento tempestivamente. Se la terapia è avviata quando il danno alle cellule muscolari è già avanzato, diventa molto più difficile ottenere risultati significativi. Guardando al futuro, il prossimo obiettivo è la terapia genica sulla quale diverse aziende stanno lavorando. Alcuni studi recenti sono promettenti ma, al momento, non esistono ancora cure disponibili per l’uso clinico”.

EFFICACIA DELLE NUOVE CURE

“Abbiamo iniziato a trattare i pazienti con il primo dei nuovi farmaci nel corso dell’ultimo anno e, più recentemente, con il secondo farmaco. Al momento, quindi, abbiamo a disposizione i dati dei trial clinici e della letteratura scientifica, mentre la nostra esperienza sul campo è limitata, visto il follow-up ancora molto breve. Il network italiano per la glicogenosi di tipo 2, che fa capo all’Associazione Italiana di Miologia (AIM), sta monitorando l’evoluzione clinica di questi pazienti per valutare l’efficacia delle nuove formulazioni in un real-world setting”.

EFFETTI COLLATERALI E PROBLEMATICHE DI INFUSIONE

“Nella grande maggioranza dei casi non abbiamo riscontrato effetti collaterali significativi, se non rari casi di intolleranza ai farmaci che hanno reso necessaria la sospensione del trattamento”, prosegue Filosto. “Le problematiche più comuni riguardano i piccoli pazienti affetti dalla forma infantile, nei quali la somministrazione dell’enzima ricombinante può indurre la produzione di anticorpi anti-farmaco. Ciò accade perché, in questa forma, l’attività enzimatica è sostanzialmente pari a zero: il sistema immunitario non ha mai “visto” quell’enzima e, quando lo somministriamo dall’esterno, è riconosciuto come una sostanza estranea che attiva il sistema immunitario. Per superare questo problema, sono stati sviluppati protocolli di desensibilizzazione che sono risultati efficaci nel migliorare la tolleranza al farmaco. Nei pazienti con la forma late-onset, i quali hanno una sia pur bassa attività enzimatica residua, questo fenomeno è davvero molto raro e il ricorso a farmaci immunosoppressori per favorire la tolleranza al trattamento è sostanzialmente aneddotico.

CASISTICA E HOME THERAPY

“Il Centro Neuromuscolare bresciano è una struttura che comprende il Centro Clinico NeMO-Brescia, il Dipartimento di Scienze Ciniche e Sperimentali dell’Università degli Studi di Brescia e l’Unità Operativa di Neurologia dell’ASST Spedali Civili di Brescia. Il Centro afferisce all’ERN EURO-NMD, Rete di Riferimento Europea per le malattie neuromuscolari rare”, spiega l’esperto. “Attualmente, seguiamo una decina di pazienti late-onset affetti da malattia di Pompe, tutti in trattamento ad eccezione di uno che, pur essendo portatore della mutazione genetica responsabile della malattia, non presenta al momento alcun deficit neurologico. È una situazione non infrequente che ci ha indotto a scegliere di tenere il paziente in osservazione, valutando se e quando sarà necessario avviare la terapia. Gli altri pazienti erano tutti in trattamento con il farmaco di prima generazione ma, poiché si trovavano in fase di progressivo calo d’efficacia, hanno effettuato il passaggio ai nuovi farmaci. Un aspetto molto importante è la possibilità di somministrazione domiciliare. Il vecchio farmaco, per lungo tempo, poteva essere somministrato solo in ambiente ospedaliero e soltanto di recente si è riusciti a ottenere la possibilità di un trattamento domiciliare. Invece, i nuovi farmaci sono già registrati per la somministrazione domiciliare e ciò rappresenta un grande vantaggio per i pazienti in termini di ottimizzazione del proprio tempo e di qualità di vita. Solo nei primi mesi di trattamento, il farmaco viene infuso nei Centri di riferimento per monitorare eventuali effetti collaterali. Una volta verificata la sicurezza del trattamento, si può passare alla modalità “home therapy”, che prevede la somministrazione a domicilio da parte di personale infermieristico specializzato. I pazienti restano comunque sotto stretto follow-up, garantendo un monitoraggio costante nel tempo”.

DAL PASSATO AL FUTURO: PROSPETTIVE

Sebbene la terapia enzimatica sostitutiva abbia cambiato la storia naturale della malattia e la qualità di vita dei pazienti, molto resta da fare per ottimizzare l’efficacia terapeutica. L’esperienza clinica ci ha mostrato che i piccoli pazienti con una forma infantile trattati con la terapia enzimatica, nel corso del tempo possono manifestare anomalie della funzione motoria e aspetti miopatici che configurano un nuovo fenotipo definito “post-ERT”. Sarà importante valutare se questi aspetti si manterranno anche con lo switch alle terapie di seconda generazione. Altra questione importante è il ruolo a lungo termine dell’accumulo di glicogeno all’interno del sistema nervoso centrale, un’area che non beneficia dell’ERT in quanto i farmaci non sono in grado di attraversare la barriera ematoencefalica. Oggi sappiamo che la malattia coinvolge i vasi cerebrali, aumentando il rischio di sviluppare aneurismi o malformazioni arteriose. Occorrerà valutare gli eventuali effetti della malattia sul parenchima cerebrale nel corso del tempo. Il prossimo grande passo – conclude Filosto – sarà quello di sviluppare trattamenti in grado di raggiungere anche il sistema nervoso centrale, superando i limiti delle terapie attuali. È una sfida importante, ma rappresenta il futuro delle strategie terapeutiche per la malattia di Pompe”.

 

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