La vita con la mastocitosi

Intervista a Giorgia Piccione, paziente e membro dell’associazione ASIMAS

Una malattia rara, imprevedibile, che può manifestarsi con forme più o meno gravi, coinvolgendo la pelle e, nei casi più seri, organi vitali come midollo osseo, fegato e milza. È la mastocitosi, una patologia caratterizzata dall'accumulo anomalo di mastociti, cellule immunitarie che, se iperattivate, rilasciano sostanze chimiche potenzialmente pericolose per la salute. È causata da mutazioni somatiche non ereditarie nel gene KIT e può insorgere a qualsiasi età. Nei bambini è spesso limitata alla pelle e può risolversi spontaneamente durante l'adolescenza. Negli adulti, invece, la malattia può coinvolgere più organi interni ed evolvere verso forme più gravi e persistenti (mastocitosi sistemica).

Come punto di riferimento per i pazienti con mastocitosi c’è l’ASIMAS (Associazione Italiana Mastocitosi), nata nel 2008 da un gruppo di pazienti di varie regioni italiane. Ha stretto rapporti di collaborazione con i principali centri ospedalieri e universitari specializzati in mastocitosi per migliorare la qualità di vita di chi soffre di questa patologia. Ma si impegna attivamente anche nella sensibilizzazione dell'opinione pubblica, nella promozione della ricerca scientifica e nel dialogo con le case farmaceutiche. Se la mastocitosi è una malattia rara, chi ne è affetto non deve essere lasciato indietro. Perché essere rari non significa essere preziosi, ma avere ancora più bisogno di supporto e attenzione. Ma cosa significa vivere quotidianamente con questa malattia? Lo abbiamo chiesto a Giorgia Piccione, paziente e membro di ASIMAS.

Com’è iniziato tutto e come è arrivata alla diagnosi?

Il mio percorso con la mastocitosi sistemica è iniziato praticamente fin dalla mia nascita, ormai 34 anni fa. In quegli anni le conoscenze mediche sulla mastocitosi erano veramente scarse, quasi inesistenti. A circa un anno di vita fui ricoverata d'urgenza per una gastroenterite acuta, con diarrea profusa, arrivando persino a uno stato di precoma, un episodio molto grave di cui ovviamente non ho memoria, ma che mi è stato raccontato dai miei genitori. Dopo quel ricovero mi fu diagnosticata un’orticaria pigmentosa. Inizialmente, un pediatra piuttosto competente ipotizzò una mastocitosi cutanea, ma non era ancora certo se fosse sistemica. Ai miei genitori fu raccomandato di prestare molta attenzione alla mia dieta e di evitare sforzi fisici e sbalzi termici importanti, trattandomi come una persona fortemente allergica. Ci fu detto che probabilmente questa condizione sarebbe regredita con la pubertà, cosa che, purtroppo, non è mai accaduta”.

Quando ha cominciato a notare differenze rispetto ai suoi coetanei?

“È difficile dire esattamente quando ho notato qualcosa di diverso, perché essendo nata con questa malattia, per me era la normalità. Durante l'adolescenza, però, ho iniziato a capire chiaramente che qualcosa in me era diverso rispetto ai ragazzi della mia stessa età. Emozioni intense, pasti abbondanti e soprattutto i primi cocktail alcolici mi provocavano manifestazioni molto severe, sintomi che non vedevo negli altri. Ricordo molto bene le feste da bambina, dove mia madre era sempre vicina per sorvegliarmi attentamente, perché dovevo evitare di correre troppo subito dopo aver mangiato. Le macchie rossastre sulla pelle, presenti fin da piccola, aumentarono nel tempo, ma non rappresentarono mai per me un problema estetico. Erano semplicemente parte di me e non mi causavano imbarazzo”.

Come ha trovato un Centro specializzato?

“Nel 2010, iniziai ad avere frequenti problemi di reflusso gastrico e dolori addominali persistenti. Andai da un gastroenterologo, il quale, con grande onestà, mi disse di non essere competente per trattare il mio caso e mi indirizzò verso il Centro specializzato di Verona. Cercando informazioni su Google, trovai facilmente questo centro e, soprattutto, scoprii per caso l’esistenza dell’associazione ASIMAS, di cui nessuno mi aveva mai parlato prima. A Verona, finalmente ottenni una diagnosi precisa: mastocitosi sistemica di tipo indolente. Oltre alla diagnosi, ricevetti un codice di esenzione e per la prima volta compresi veramente che la mia patologia coinvolgeva numerose discipline mediche diverse, cosa che fino ad allora non avevo capito. Dobbiamo essere coperti a 360° altrimenti torniamo a essere più rari di prima. Mi ha colpito tantissimo una frase all'ultimo convegno ASIMAS in cui si diceva ‘sì, è vero, è una malattia rara, però è rara perché non si cerca’”.

È stato difficile accettare la malattia?

Sì, decisamente difficile. Dopo alcuni anni di visite e controlli regolari a Verona, arrivò un momento in cui sentii di non poterne più. Ero frustrata per la necessità di programmare con largo anticipo visite e controlli, spesso con grande stress emotivo e difficoltà logistica per me e per la mia famiglia che viviamo in Sicilia. Così mi ribellai, abbandonai tutto e smisi di farmi seguire dal centro veronese. Ma la malattia non scomparve, anzi. In quegli anni ho avuto numerose reazioni anafilattiche, almeno cinque o sei episodi l’anno, anche perché non seguivo più attentamente le raccomandazioni mediche”.

Cosa le ha fatto cambiare atteggiamento?

La svolta è arrivata durante il lockdown per il COVID. In quei mesi, lo stress mentale e l’alimentazione meno controllata causarono frequenti ricoveri, ben quattro in pochi mesi. Fu allora che, con il prezioso aiuto dell’associazione ASIMAS, scoprii il centro specializzato di Catania e la dottoressa Alessandra Romano. Un incontro che è stato fondamentale, perché mi ha fatto sentire compresa come mai prima. Mi ricordo che mi disse "io lo so perché non dormi, perché hai sempre mal di testa o perché sei nervosa, non te la inventi”. Iniziai finalmente una terapia anti-mediatore con antistaminici quotidiani, che mi permisero di dormire bene e di controllare meglio i sintomi della malattia”.

Oggi come vive la quotidianità?

“Mi sento molto più consapevole e in equilibrio. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, rispettando i miei limiti e seguendo con attenzione un’alimentazione appropriata e un’attività fisica mirata come il pilates. Sono seguita da ottimi medici anche al Policlinico di Palermo, persone che ormai sento vicine quasi come fossero persone di famiglia. Non permetto più che la mastocitosi mi limiti, ma ci convivo con serenità e determinazione”.

Che ruolo ha avuto ASIMAS nel suo percorso?

“È stata determinante. Senza il loro supporto sarei ancora alla ricerca disperata di assistenza e diagnosi appropriate. ASIMAS è un punto di rifermento molto importante perché crea reti tra i pazienti e i centri specializzati, facilitando enormemente il percorso diagnostico e terapeutico. Grazie a loro ho potuto recentemente aiutare una ragazza di Palermo ad avere rapidamente una diagnosi precisa, evitandole così anni di incertezza e una vita limitata da sintomi senza una causa apparente. Facendo alcune ricerche su internet, questa ragazza ha trovato informazioni sulla mastocitosi e sull'associazione ASIMAS. Navigando un po' tra vari contenuti, ha trovato casualmente una mia foto, con nome e cognome, e ha deciso di contattarmi. All'inizio ero un po' restia, perché confrontarsi con qualcuno che ha la tua stessa condizione significa inevitabilmente mettersi completamente a nudo e non è facile. Solo da poco ho imparato a gestire meglio queste situazioni. L’ho indirizzata immediatamente ad ASIMAS per avere i riferimenti dei medici specializzati e nel giro di appena due settimane è riuscita ad arrivare al Policlinico di Palermo e ottenere rapidamente una diagnosi precisa di mastocitosi sistemica. Lei, a differenza mia, non ha sintomi particolari oltre a una compromissione estetica dovuta alle macchie. Ci siamo incontrate qualche settimana fa ed è stato un momento molto intenso, perché ricevere una diagnosi di una malattia rara non è affatto semplice. Nonostante io mi consideri una persona serena, forse perché convivo con questa condizione da più di trent’anni, trasmettere tranquillità a una ragazza così spaventata è stata una sfida difficile”.

Ha trovato delle difficoltà nel lavoro?

“Oggi non provo più alcun tipo di vergogna, anzi, più ne parlo apertamente, più le persone comprendono realmente cosa significhi convivere con la mia malattia. Spesso si tende a banalizzare, si pensa che sia semplicemente allergica, ma non è così: sono un soggetto ipersensibile, non soltanto allergico. Per questo spiego sempre chiaramente la mia situazione ai colleghi e ai datori di lavoro, affinché sappiano che porto con me farmaci salvavita, che devono essere sempre facilmente raggiungibili. Sono biologa e lavoro in laboratorio, quindi passo molte ore in piedi e con le spalle curve; i miei colleghi sanno che appena ne sento la necessità devo fermarmi, sedermi o addirittura distendermi un attimo. Purtroppo la mastocitosi non rientra attualmente tra le patologie che garantiscono il riconoscimento dell'invalidità civile, o perlomeno non in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Le percentuali di invalidità attribuite sono molto basse e variano parecchio da regione a regione. Ciò accade perché la mastocitosi è considerata una malattia rara e i nostri sintomi, anche quelli secondari, come il mal di schiena, per noi sono spesso seri e invalidanti. Avere il riconoscimento dell'invalidità civile sarebbe importantissimo: significherebbe prima di tutto essere ufficialmente riconosciuti e tutelati dallo Stato”.

Quale consiglio si sente di dare a chi riceve una diagnosi di mastocitosi?

“Affrontare la malattia giorno per giorno, ascoltando attentamente ogni segnale che il corpo ci manda, senza sottovalutare mai nulla. È importante affidarsi ai centri specializzati, cercare supporto psicologico se necessario, e non lasciare mai che la malattia definisca completamente la nostra vita. Bisogna mantenere sempre un atteggiamento positivo e proattivo, convivendo con questa condizione con forza e serenità”.

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