World Obesity Day

Non sempre il sovrappeso dipende da fattori ambientali: in quasi il 5% dei casi in età pediatrica l’origine è genetica

Il World Obesity Day è un’iniziativa globale che si celebra il 4 marzo, istituita nel 2015 dalla World Obesity Federation e incentrata sulla promozione della salute e sulla sensibilizzazione contro l’obesità. Il tema di quest’anno, “Sistemi da cambiare, vite più sane”, auspica un cambiamento di prospettiva, da un’ottica incentrata sulla persona a uno sguardo più allargato all’insieme dei sistemi (sanitari, alimentari, normativi, governativi e persino urbanistici) che influenzano gli ambienti in cui viviamo, il cibo che mangiamo, le cure che riceviamo e, in una parola, la nostra salute.

La diffusione dell’obesità è aumentata nel tempo, raggiungendo dimensioni epidemiche, e costituisce ormai uno dei maggiori problemi di salute pubblica a livello mondiale. Le stime parlano di 1,9 miliardi di obesi entro il 2035 in tutto il mondo e di un aumento del 100% dell’obesità infantile. Il fenomeno potrebbe essere arginato non solo intervenendo sull’insieme dei sistemi che influenzano gli ambienti di vita, ma anche adottando stili di vita salutari, cominciando da un'alimentazione sana e una regolare attività fisica.

Ma non sempre l'obesità dipende da fattori ambientali: a volte la causa è genetica. Le obesità genetiche non superano il 5% del numero totale dei casi di obesità in età pediatrica: sotto il cappello di queste patologie si ritrovano alcune malattie rare, fra le quali la sindrome di Prader-Willi, (la più comune, con una prevalenza stimata di un caso su 25.000 persone) e le sindromi di Silver-Russell, di Beckwith-Wiedemann, di Bardet-Biedl, di Alström, di Carpenter o, ancora, le obesità da micro-aberrazioni cromosomiche.

“Si tratta di obesità sindromiche con quadri fenotipici complessi, che possono comprendere ritardo psico-motorio, bassa statura, ipogonadismo, alterazioni oculari e altri sintomi”, spiega Malgorzata Wasniewska, Professore Ordinario di Pediatria presso il Dipartimento di Patologia umana dell'adulto e dell'età evolutiva “Gaetano Barresi” dell’Università degli Studi di Messina.

“Un altro gruppo sono le forme di obesità monogenica in cui l’obesità spesso non è associata a quadri malformativi. Le obesità monogeniche riconoscono una causa genetica unica a penetranza completa, sono rare e generalmente gravi. Sono causate da mutazioni di geni coinvolti nella via ipotalamica 'leptina-melanocortina', che sta alla base della regolazione dell’appetito. Per quanto concerne le obesità monogeniche, causate da varianti genetiche che colpiscono circuiti neuronali e dunque impattano sulla regolazione di appetito e sazietà – precisa Wasniewska – due sono le caratteristiche cliniche chiave: l’obesità grave a esordio precoce nei primi due anni di vita e l’iperfagia (fame insaziabile)”.

Nel 2017, sulla rivista The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism sono stati riportati i criteri per la diagnosi dell’obesità genetica, nei quali si invita all’utilizzo di strumenti come il Body Mass Index (BMI) per il monitoraggio dei pazienti: l’attenzione deve essere particolarmente rivolta alle forme di obesità che insorgono molto presto – generalmente entro i 5 anni – con un rapido aumento del peso prima dei 2 anni e una marcata iperfagia, “soprattutto nel momento in cui a questi sintomi si associano altri segnali, fra cui un disturbo comportamentale oppure deficit ormonali”, prosegue la dr.ssa Roberta Pajno, dell’Unità di Pediatria dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

I più recenti processi tecnologici nel campo della biologia molecolare hanno portato anche a disporre di alcuni pannelli per l’analisi dei geni coinvolti nell’insorgenza di queste patologie, ma il loro utilizzo va inserito in un percorso ben strutturato che integri il cariotipo molecolare o i test di metilazione. “Purtroppo, ad oggi non siamo ancora abbastanza bravi nell’identificare le obesità genetiche”, conclude Pajno. “La sfida attuale è di approfondire la conoscenza di queste patologie per diagnosticarle sempre più precocemente. A tal proposito un ruolo centrale è affidato al pediatra di base, che deve rilevare i segnali di allarme dell’obesità genetica e inviare il paziente quanto prima presso un centro di terzo livello”.

“L’obesità genetica è difficile da gestire solo con la modifica della dieta o con uno stile di vita che preveda di aumentare l’attività fisica”, precisa la dr.ssa Flavia Napoli, della Clinica Pediatrica e Endocrinologia presso l’IRCCS Istituto “Giannina Gaslini” di Genova. Questo vale in modo particolare per bambini e adolescenti, molti dei quali affetti da patologie come la sindrome di Prader-Willi, che comporta una marcata iperfagia in conseguenza della quale chi ne soffre va incontro allo sviluppo di obesità infantile, con problemi comportamentali associati all’affannosa ricerca del cibo. “Per alcuni tipi di obesità genetica esistono farmaci innovativi diretti contro specifici difetti genetici, in particolare nei circuiti dell’ipotalamo che regolano la fame, la sazietà e il dispendio energetico”, prosegue la dr.ssa Napoli. “Sono farmaci molto sicuri che presentano effetti collaterali di scarsa entità e non gravi”.

Il Gruppo di Studio sulle Obesità Genetiche della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) – i cui lavori sono coordinati dalla dr.ssa Roberta Pajno – ha redatto alcuni anni fa un documento con importanti raccomandazioni per la gestione dell’obesità in questi pazienti. A quelle vanno oggi ad aggiungersene altre, estese ad ulteriori forme di obesità – non unicamente legate alla sindrome di Prader-Willi – che considerano i nuovi farmaci in arrivo. “C’è ancora molta strada da fare perché scarseggiano i dati a lungo termine sull’efficacia e la tollerabilità di queste terapie”, conclude la dr.ssa Napoli. “Rimane perciò decisivo l’approccio multidisciplinare, con una rete di supporto al paziente che includa anche il supporto psicologico”.

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