La virologa di fama internazionale Ilaria Capua a Cagliari, invitata dal presidente della commissione Sanità alla Camera Pierpaolo Vargiu
CAGLIARI – Quando si parla di ebola, la paura fa più danni dell’infezione stessa. L’Italia non è fra i paesi a rischio: lo garantisce Ilaria Capua, virologa di fama internazionale e vicepresidente della commissione Cultura della Camera, a Cagliari su invito di Pierpaolo Vargiu, presidente della commissione Sanità. I due deputati di Scelta Civica hanno presentato una mozione in cui si chiede che l’Italia, in quanto Presidente di turno dell’Unione Europea e in virtù della sua autorevolezza e delle sue competenze riconosciute a livello internazionale, assuma la leadership per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
Al momento si contano circa 12mila casi e più di 6mila morti. “L’Organizzazione Mondiale della Sanità – spiega l’on. Capua – ha sottovalutato l’emergenza, e sia i governi che l’industria non hanno mai investito nella ricerca poiché non era conveniente. Eppure ora l’epidemia è così grave da aver portato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a riunirsi per la seconda volta nella sua storia a causa di una crisi sanitaria (la prima volta si discusse di AIDS)”.
L’incontro, introdotto da Franco Meloni, coordinatore del Centro Studi Riformatori Sardi, non ha riguardato solo l’ebola. “Pandemie come l’Hiv, la Sars, l’influenza, la West Nile, la BSE, provengono tutte dagli animali”, continua la virologa. “L’ebola è la punta di un iceberg prodotto da fenomeni legati alla globalizzazione: l’aumento della popolazione, specialmente in Asia e Africa, ha portato ad un’impennata nel consumo di carne, e spesso gli allevamenti si trovano in condizioni igienico-sanitarie inadeguate. Dato che ad oggi una cura per l’ebola non c’è, ma esistono solo sieri o vaccini sperimentali, mai testati sull’uomo, bisognerebbe avere il coraggio di andare a debellarla nei paesi africani colpiti, intervenendo sulle condizioni igienico-sanitarie in loco. Ma occorre fare i conti con i retaggi culturali (ad esempio i riti funerari) e con l’ostilità delle popolazioni locali”.
L’ebola è una febbre emorragica causata da un filovirus ad alta letalità: il vettore sono i pipistrelli frugivori, che possono contagiare i primati e l’uomo. Non è stata scoperta di recente: il primo caso è del 1976, ma i numeri di quest’ultima epidemia sono incredibilmente più alti rispetto alle precedenti. L’epidemia del 2014 ha colpito prevalentemente Guinea, Liberia, Sierra Leone, Nigeria, Mali, Senegal e Costa d’Avorio, mentre non è mai stata diagnosticata a nord del Sahara. In Europa ci sono stati pochissimi casi: il pericolo principale è il trasporto aereo, e il Paese più a rischio è la Gran Bretagna.
Il contagio avviene per contatto con liquidi biologici (quindi non con un semplice starnuto) e l’incubazione dura dai 2 ai 21 giorni: i primi sintomi sono stanchezza, mal di testa, febbre alta, vomito, diarrea, per poi giungere ad una sindrome emorragica. La mortalità media è del 50%, ma in assenza di terapia arriva al 90%. Inoltre si è scoperto che il soggetto colpito continua ad essere infettante anche per i tre mesi successivi alla guarigione.
Ma l’ebola non è l’unica malattia di cui dovremmo preoccuparci: “Attualmente – avvisa l’on. Capua – in Congo c’è un focolaio di vaiolo della scimmia, una malattia grave e invalidante, ma teoricamente potrebbero arrivare in Italia anche la tubercolosi o la West Nile, che dalle zanzare si trasmette agli equini e agli umani, e che ha già colpito pesantemente gli Stati Uniti”.
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