Uno studio ha rivelato che, nonostante i dubbi e le paure, i pazienti sono favorevolmente disposti nei confronti della ricerca

ROMA – Qual è l'atteggiamento dei pazienti con una malattia rara riguardo alla partecipazione alla ricerca sul genoma, e in particolare rispetto alla condivisione a livello internazionale dei propri dati e campioni biologici? In passato è stata pubblicata una miriade di articoli sulle opinioni dei pazienti su questi temi, ma quelle di un distinto sottogruppo – le persone con una malattia rara – sono sconosciute, ed è importante capire se differiscono da quelle del pubblico generale.

L'unico lavoro che ha indagato le opinioni delle persone affette da una malattia rara è stato recentemente pubblicato sulla rivista European Journal of Human Genetics. Allo studio hanno partecipato anche due italiane: la dr.ssa Sabina Gainotti dell'Istituto Superiore di Sanità e la dr.ssa Deborah Mascalzoni dell'Università di Uppsala (Svezia).

Gli autori lavorano all'interno di un consorzio internazionale multidisciplinare chiamato RD-Connect, che ha sviluppato una piattaforma integrata che collega i database, i registri, le biobanche e la bioinformatica per la ricerca clinica sulle malattie rare. I focus group sono stati condotti con 52 pazienti con una vasta gamma di patologie rare, provenienti da 16 Paesi.

Utilizzando un approccio basato sulla reazione a diversi tipi di scenario, i partecipanti sono stati incoraggiati a esporre i temi rilevanti per le proprie esperienze, piuttosto che quelli indicati dal ricercatore. I problemi includevano l'ampia condivisione dei dati, il consenso per un nuovo e diverso uso dei campioni storici e per quelli dei bambini.

I pazienti si sono rivelati favorevolmente disposti nei confronti della ricerca e inclini a permettere la condivisione di dati e campioni biologici a livello internazionale. Le espressioni di fiducia e gli atteggiamenti più favorevoli nei confronti dell'assunzione di un rischio sono state spesso influenzate dalla natura della malattia rara di cui soffrivano, nonché dalle pratiche normative e culturali del loro Paese d'origine. Una delle maggiori preoccupazioni era rappresentata dalla sicurezza dei dati dal loro uso improprio: c'era una forte consapevolezza della vulnerabilità intrinseca nell'avere una malattia rara e della possibilità che l'aperta conoscenza di questo fatto potesse comportare una successiva discriminazione.

I pazienti affetti da malattie rare e i loro familiari vedono i loro rapporti con i ricercatori come motivati da interessi comuni, e i partecipanti sono pronti a mettere i loro dati e i loro campioni a disposizione dei ricercatori, fintanto che questa condivisione sia trattata con rispetto e reciprocità. Quando questi dati e campioni sono condivisi e utilizzati dai ricercatori di tutto il mondo, i pazienti percepiscono tuttavia che il luogo di influenza si è spostato, e che il loro controllo sulle informazioni relative alla propria salute o a quella dei loro familiari è diminuito.

Da qui il desiderio, fortemente manifestato, di proteggere la loro autonomia e quella dei propri bambini contro potenziali cali di privacy. Uno dei mezzi per farlo è quello di garantire che le organizzazioni dei pazienti siano rappresentate nella governance di una piattaforma globale come RD-Connect, in modo da assicurare loro, in queste interazioni globali, un livello di protezione e controllo equivalente a quello che hanno nei loro rapporti con i ricercatori locali.

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