Maurizio Scarpa

Il prof. Maurizio Scarpa: “Fondamentale che pediatri di libera scelta e medici specialisti conoscano la patologia nelle sue caratteristiche”

Un difetto nella degradazione delle glicoproteine, scatenato da una mutazione in un gene dal nome complicato (MAN2B1), provoca l’accumulo di oligosaccaridi ricchi in mannosio a livello dei lisosomi cellulari. È così che la malattia nota come alfa-mannosidosi si insinua nella vita di molte persone, alcune delle quali, toccate dalle forme meno gravi, possono arrivare a rendersi conto di essere malate anche dopo vent’anni dalla nascita.

L’alfa-mannosidosi è una patologia metabolica subdola, difficile da riconoscere dal punto di vista clinico, seppur semplice da diagnosticare dal lato prettamente tecnico: dosando, infatti, i livelli dell’enzima alfa-mannosidasi lisosomiale, si capisce immediatamente se l’individuo ne è affetto. “Questo esame, tuttavia, non si esegue nella routine clinica”, spiega il Prof. Maurizio Scarpa, direttore del Centro di Coordinamento Regionale per le Malattie Rare del Friuli Venezia-Giulia e coordinatore della Rete di Riferimento Europea MetabERN, dedicata alle malattie metaboliche. “È un esame che si esegue sulla base di ben precise indicazioni e in laboratori specializzati, per cui è fondamentale che i pediatri di libera scelta o i medici specialisti conoscano la patologia nelle sue caratteristiche. Infatti, nei casi più attenuati, se lo specialista non ne sospetta la presenza, la diagnosi può arrivare tardi, o non arrivare mai. Ed essendo l’alfa-mannosidosi una malattia rara, è fondamentale che i pazienti siano presi in carico e seguiti da chi conosce nel dettaglio la patologia e le sue peculiarità”.

Nell’alfa-mannosidosi, l’accumulo di oligosaccaridi ricchi in mannosio è causa di un’ampia sequela di problemi: queste grosse molecole di carboidrati, infatti, quando si aggregano in depositi troppo voluminosi, vanno a intaccare diversi organi e tessuti. Le conseguenze di tutto ciò si osservano dunque a livello sistemico e, a seconda che l’alfa-mannosidosi si presenti in forma severa o attenuata, il riconoscimento della stessa può essere più o meno immediato. “Il caso più semplice da identificare è quello che, già intorno ai primi mesi di vita, va incontro a uno sviluppo diverso dal bambino sano”, prosegue Scarpa. “Infatti, i piccoli pazienti affetti da alfa-mannosidosi, nei primi due anni di vita, hanno uno sviluppo, in altezza e peso, maggiore dei loro coetanei sani. Sono massicci e tendono a non assomigliare ai genitori. Hanno tratti caratteristici, con una testa grande, fronte e mascella prominenti, maso a sella un po’ schiacciato, denti distanziati e labbra spesse. Possono avere anche macroglossia, cioè la lingua di grosse dimensioni, e sviluppare difetti di vista o perdita dell’udito”.

A questi tratti somatici tipici si accompagnano altri campanelli d’allarme, che devono destare il sospetto del medico. “Dopo i due anni di età, il ritmo di crescita di questi bambini rallenta”, chiarisce l’esperto. “L’accrescimento corporeo appare rallentato e subentrano problematiche scheletriche e di rigidità articolare. Questi bambini cominciano a stare seduti e a camminare in ritardo e, dopo il diciottesimo mese di vita, tale ritardo nelle tappe evolutive diventa evidente. Anche lo sviluppo mentale non appare correlato all’età. Inoltre, nelle forme severe di malattia, osserviamo una maggiore ricorrenza di infezioni, che non si limitano alla tonsillite o alla laringite, ma comprendono infezioni polmonari di natura batterica, anche molto pericolose”.

L’alfa-mannosidosi di tipo 3, la variante più grave della patologia, ha manifestazioni cliniche peculiari, simili a quelle della sindrome di Hurler, ed è quindi più facilmente riconoscibile. Nelle forme più attenuate della malattia, invece, le caratteristiche di base non cambiano, ma sono presenti in maniera più o meno evidente. “Soprattutto in questi casi, serve l’occhio di un esperto o di qualcuno che sappia fare un corretto inquadramento”, aggiunge Scarpa. “Altrimenti, capita che il bambino affronti per anni dolori ossei, cardiaci o intestinali, iniziando così un’odissea di visite da un ambulatorio all’altro, continuando ad essere seguito da un ortopedico o da fisioterapista, da un cardiologo o da un gastroenterologo, solamente per i singoli sintomi, senza che si trovi una soluzione al suo problema. Invece, per i “malati rari” in generale, e per questa patologia in particolare, c’è bisogno di qualcuno che, conoscendo il problema, sappia tirare le fila, faccia una diagnosi e applichi, eventualmente, una terapia: questo è il compito dei centri regionali specializzati”.

“Per questo motivo, i pediatri, i medici di medicina generale e i vari specialisti dovrebbero possedere una conoscenza di base delle malattie rare, così da farsi venire il sospetto di trovarsi di fronte a qualcosa di anomalo”, sottolinea il Prof. Scarpa. “Nella sua vita professionale, un medico entra in contatto con circa 2500-3000 patologie, e alcune di queste sono necessariamente rare. Indipendentemente dal fatto che ci si trovi dinnanzi a una malattia lisosomiale o ad una forma sindromica, bisogna saper richiedere la consulenza di un esperto in malattie rare, rivolgendosi ai centri di riferimento regionali presenti in ogni regione, in modo tale da indirizzare il paziente verso un percorso di approfondimento che lo avvicini sempre più alla soluzione del suo problema”.

Il presente articolo, a cura di OMaR (Osservatorio Malattie Rare), fa parte di un progetto di sensibilizzazione sull'alfa-mannosidosi rivolto ai medici pediatri e promosso da CGM fablab

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