Intervista a Gabriele Berti e Giovanni Cancellieri, rispettivamente Presidente e Consigliere dell’associazione “That Disorder - Global Human Community ETS”
Quella di Huntington è una malattia rara, genetica e neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale. Si parla di malattia autosomica dominante in quanto, se un genitore ne è affetto, ogni figlio ha una probabilità del 50% di ereditarla. La mutazione responsabile è stata scoperta nel 1993 e oggi è possibile fare un test genetico anche prima della comparsa dei sintomi. La malattia colpisce a livello motorio, cognitivo e comportamentale, ma non si manifesta sempre allo stesso modo. Tra i sintomi comportamentali apatia, irritabilità, aggressività e pensieri suicidari sono molto frequenti. Una delle caratteristiche principali è rappresentata dai movimenti involontari, per cui in passato si parlava di “Ballo di San Vito” o addirittura di possessioni demoniache.
Per secoli chi ne era colpito veniva guardato con diffidenza e paura. Quei movimenti incontrollati associati ai disturbi comportamentali creavano disagio e l’ignoranza scientifica del tempo alimentava stigma, vergogna ed esclusione sociale, che spesso permangono tutt'ora.
Il nome “That Disorder”, scelto per una nuova associazione di pazienti dedicata alla malattia di Huntington, nasce con l’intento di restituire dignità, superare i tabù e creare nuovi spazi di ascolto e consapevolezza. Vuole anche ricordare come questo “disordine” era chiamato prima che il medico americano George Huntington lo riconoscesse come una vera e propria malattia, alla fine del XIX secolo. Per esprimere al meglio la missione e lo spirito dell’associazione, il nome completo include la dicitura “Global Human Community”: un ente senza scopo di lucro che sottolinea, già nel nome, sia l’approccio umano rivolto alla comunità mondiale colpita dalla malattia di Huntington, sia la volontà di costruire una rete solidale e attiva a livello globale. Ad oggi molto è cambiato. Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha fatto passi importanti e sta continuando a farli, ma c’è ancora tanta strada da fare.
"That Disorder - Global Human Community ETS" considera l'arte nelle sue diverse forme, la cultura e l’educazione come strumenti potenti per far conoscere la malattia di Huntington. Perché raccontare, coinvolgere e creare empatia può davvero fare la differenza. L’associazione è poi impegnata in diversi progetti concreti. HDental, un programma che offre cure odontoiatriche gratuite e formazione per i caregiver sull’igiene orale, attivo in Italia e in partenza anche in Venezuela grazie alla collaborazione con la fondazione americana Factor-H operante in America Latina, con cui l'associazione collabora. Un progetto motorio sviluppato in collaborazione con i professori delll’Università di Firenze, pensato per aiutare le persone con Huntington a mantenere attive le capacità motorie. Infine, un progetto internazionale di danzaterapia, con workshop previsti in Germania e in Egitto, con l’obiettivo di espandersi anche in altri Paesi.
Come e perché nasce l’associazione?
“L'idea “That Disorder”, nata alcuni anni fa da un mio progetto fotografico per sensibilizzare sulla malattia di Huntington, si è evoluta in associazione all'inizio di quest’anno con l'obiettivo di accrescere la consapevolezza, combattere lo stigma che ancora oggi circonda la malattia e fornire un supporto alle famiglie”, risponde il Presidente, Gabriele Berti. “Ho conosciuto la malattia di Huntington solo nel 2018, quando è stata diagnosticata nella mia famiglia. L'impatto è stato profondo, soprattutto per le implicazioni dell'ereditarietà. Da allora, ho cercato di offrire il mio contributo personale, sia partecipando a studi di ricerca come Enroll-HD e HD-Clarity, sia utilizzando la fotografia come strumento di sensibilizzazione”.
Quali sono le sfide quotidiane per chi convive con la malattia di Huntington?
“Grazie ai progetti fotografici che ho realizzato in Italia e in diverse parti del mondo, dal Pakistan al Messico, ho avuto l'opportunità di immergermi nelle vite di famiglie con background culturali e sociali molto diversi, ma unite da un filo comune: la malattia di Huntington”, continua il Presidente. “Questa esperienza mi ha permesso di toccare con mano le loro paure, i loro dubbi e le loro speranze, creando un legame profondo. Le sfide quotidiane che affrontano sono tanto complesse quanto variabili e si evolvono con il progredire della malattia. Innanzitutto, c'è la difficile decisione di sottoporsi al test predittivo, un'incognita che grava come una spada di Damocle sui soggetti a rischio asintomatici. Poi, ci sono le scelte delicate legate alla procreazione, che portano con sé dilemmi etici e personali complessi e spesso dolorosi. Ma forse la sfida più ardua è rappresentata dalla gestione della malattia che spesso colpisce più membri della stessa famiglia, talvolta contemporaneamente. In questi casi, i caregiver, spesso familiari a loro volta a rischio, si trovano a sostenere un peso emotivo e fisico devastante. Ho visto la loro resilienza, ma anche la loro fragilità e ho capito quanto sia fondamentale offrire loro un supporto concreto e costante”.
Cosa serve nella presa in carico delle persone con Huntington?
“I bisogni sono molteplici e complessi. Permangono lacune significative nell'offerta di servizi essenziali: dall'assistenza domiciliare specializzata, al supporto psicologico mirato per caregiver e soggetti a rischio, fino ai centri diurni che offrano attività terapeutiche e di socializzazione adeguate. Oltre alle necessità pratiche, emerge con forza l'esigenza di combattere lo stigma sociale che ancora circonda la malattia, promuovendo una cultura di inclusione e consapevolezza. Troppo spesso, le famiglie si sentono isolate e abbandonate, vivendo un profondo senso di disagio. In questo senso il ruolo delle associazioni è fondamentale. Uniti alle altre associazioni ci impegniamo per colmare queste lacune, creando una rete di supporto che faccia sentire ogni persona parte di una grande comunità. Lavoriamo per offrire non solo assistenza pratica, ma anche un senso di appartenenza e comprensione, perché nessuno debba affrontare questa sfida da solo. È fondamentale un approccio multidisciplinare, che coinvolga neurologi, genetisti, psicologi, fisioterapisti, logopedisti, nutrizionisti e assistenti sociali. Serve una maggiore integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali, per garantire una presa in carico congiunta e personalizzata. Bisogna investire nella ricerca scientifica per trovare terapie più efficaci e rallentare la progressione della malattia. Inoltre, è essenziale rafforzare le reti di supporto e le associazioni di pazienti, a livello nazionale ed internazionale, per favorire lo scambio di esperienze e la condivisione di risorse”, risponde Berti”.
Perché è così importante l’igiene orale?
“Mi sono avvicinato alla malattia di Huntington grazie al mio coinvolgimento con Gabriele, inizialmente supportando il suo progetto fotografico e in seguito partecipando attivamente alla fondazione dell'associazione”, interviene il Consigliere di "That Disorder", Giovanni Cancellieri. “Come medico specializzato in odontoiatria, ho ideato e istituito HDental, un programma di assistenza odontoiatrica gratuita focalizzato sulla prevenzione e la cura delle patologie orali. L'obiettivo è migliorare la qualità della vita delle persone affette da questa malattia neurodegenerativa. Le manifestazioni della malattia di Huntington possono avere un impatto significativo sulla salute orale, in quanto i movimenti involontari, caratteristici di alcune fasi della patologia, possono compromettere la capacità di mantenere un'igiene orale autonoma ed efficace. Il programma è rivolto anche e soprattutto ai caregiver, per offrire formazione pratica, materiali utili, come video, guide e tutorial che insegnano come affrontare con serenità e competenza la routine dell’igiene orale. Spazzolini elettrici, tecniche per evitare il rischio di soffocamento, consigli su come mantenere una buona igiene anche in situazioni complesse: ogni piccolo gesto può fare una grande differenza e prevenire lo sviluppo di patologie orali più complesse. Ma non ci fermiamo qui. Vogliamo anche facilitare l’accesso alle cure odontoiatriche gratuite per le persone con Huntington, creando una rete di dentisti e strutture sanitarie pronte a offrire servizi dedicati. Per noi è importante che nessuno debba rinunciare a curarsi per motivi economici o logistici. Anche in questo caso abbiamo avviato una serie di collaborazioni con associazioni internazionali per portare il programma fuori dai confini italiani”.
Avete un comitato scientifico o dei clinici di riferimento?
“Anche se siamo nati all’inizio di quest’anno, e quindi siamo ancora una realtà molto giovane, abbiamo già dei punti di riferimento importanti. In particolare, collaboriamo con la professoressa Camilla Ferrari, responsabile del Presidio Malattie Neurologiche rare dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze, che per noi rappresenta una figura di riferimento sul territorio. Quindi sì, se qualcuno si rivolge a noi, possiamo indicare senza problemi dove trovare supporto e a chi rivolgersi. Inoltre, Selene Capodarca, la nostra Vicepresidente e membro dello European Huntington’s Disease Network, è attiva da molti anni nel mondo della malattia a livello internazionale. Conosce bene il settore, le realtà che se ne occupano e le persone giuste da contattare. In questo senso possiamo davvero offrire un orientamento solido a chi ha bisogno”, conclude Berti.
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