Presentato il primo Manifesto Sociale sulla patologia, per una migliore presa in carico del paziente
Roma – “Sostenibilità e Innovazione nella Colangite Biliare Primitiva: verso un modello di presa in carico efficiente e più vicino al paziente”: è il titolo del meeting organizzato dall'Italian Health Policy Briefing (IHPB) presso la Fondazione Sturzo di Roma. Numerose le tematiche relative colangite biliare primitiva (PBC) affrontate nel corso del dibattito: dalla diagnosi precoce all'integrazione dei percorsi di diagnosi e cura tra ospedale e territorio in una logica multidisciplinare, fino al pieno accesso alle innovazioni terapeutiche.
Durante l'evento è stato presentato il primo Manifesto Sociale sulla PBC, un'iniziativa promossa da uno Scientific and Advocacy Network composto da società scientifiche (AISF e SIMG), rappresentanti del mondo accademico e delle associazioni, nonché da esponenti dei sistemi sanitari regionali. Il Manifesto nasce con l'intento di evidenziare le principali difficoltà che affrontano le persone affette da colangite biliare primitiva, sottolineando l'urgenza di risposte concrete per arrivare a un modello di presa in carico rapido ed efficace.
Pietro Invernizzi, direttore scientifico della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza, European Reference Network Rare-Liver Center, professore ordinario di Gastroenterologia All’Università di Milano Bicocca e coordinatore della Commissione Malattie Rare AISF, ha spiegato che quello attuale è un periodo di grandi novità per le persone affette da PBC. “Mi occupo di questa malattia da oltre 30 anni e ricordo che per molti anni non ci sono state novità nell'ambito della cura”, ha detto Invernizzi. “Poi, tante industrie farmaceutiche hanno finalmente deciso di investire nella PBC e abbiamo iniziato ad avere nuovi farmaci, e sempre più efficaci. Anche la conoscenza della malattia è migliorata e oggi la diagnosi è più tempestiva e accurata”.
“Importante a questo riguardo - ha proseguito Invernizzi - è stata l'attività di un'ampia comunità di epatologi esperti della PBC, che recentemente ha anche ricevuto un importante supporto dal programma PNRR finalizzato a strutturare delle reti regionali collegate tra loro in una rete nazionale,con la finalità di migliorare la competenza nella diagnosi e nella gestione, anche a livello di centri epatologici e di medicina generale di primo livello. Ovviamente il lavoro di squadra ci sta permettendo di portare avanti progetti di ricerca di valore sulla malattia”.
La colangite biliare primitiva è una malattia epatica autoimmune, rara e progressiva, che danneggia i piccoli dotti biliari e che, se non trattata adeguatamente, può causare danni al fegato che possono portare a fibrosi e cirrosi epatica e, nella fase terminale della malattia, alla necessità di trapianto di fegato. La patologia si manifesta prevalentemente tra i 45 e i 65 anni e nove pazienti su dieci sono donne.
In Italia, la prevalenza della PBC è stimata in 27,9 casi per 100mila abitanti, con un'incidenza annuale di 5,31 casi ogni 100mila abitanti. La diagnosi viene effettuata attraverso test biochimici, sierologici e talvolta istologici, spesso in assenza di sintomi specifici. La prognosi della malattia sta migliorando grazie a diagnosi più precoci e ad un inizio del trattamento più tempestivo, sebbene tale riscontro non sia presente egualmente su tutto il territorio nazionale. Le complicanze legate alla diagnosi tardiva, in pazienti nei quali la patologia è già evoluta verso la cirrosi, sono associate a una prognosi sfavorevole e ad una ridotta aspettativa di vita.
I sintomi più comuni comprendono fatigue e prurito, che possono interessare fino all'80% dei pazienti: sono sintomi che, se sottovalutati, possono diventare gravemente debilitanti, con un impatto negativo sulla qualità di vita delle persone affette da questa patologia. Attualmente, le terapie disponibili per la PBC mirano a rallentare la progressione della malattia. Oggi l'UDCA è l'unico farmaco rimborsato per il trattamento in prima linea, e per i pazienti che non rispondono in modo adeguato a questo trattamento è disponibile la molecola elafibranor come terapia di seconda linea.
Uno dei temi sui quali si è registrata unanime convergenza è l'importanza di una più organica integrazione ospedale-territorio che possa favorire la presa in carico del paziente, anche mediante un approccio multidisciplinare. “Una presa in carico che non solo faciliti la precoce identificazione dei pazienti, ma che sia anche concepita nella logica di garantire un accesso alle cure che sia adeguato alla condizione del malato, attraverso una collaborazione tra medico di medicina generale e specialisti operanti in strutture di riferimento, prevedendo una gradualità di presa in carico che includa cure di prima linea e cure di seconda linea”, ha sottolineato Edoardo Giovanni Giannini, professore ordinario di Gastroenterologia presso l'università di Genova, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Clinica Gastroenterologica dell'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, componente della Commissione Malattie Rare di AISF.
Importanti indicazioni sono anche pervenute dal mondo delle associazioni, specie in relazione alla necessità che le risposte sanitarie possano essere sempre più incisive e produttive grazie al ricorso a strumenti e metodologie di lavoro innovativi come telemedicina e teleconsulto, in grado di facilitare la relazione a distanza tra paziente, medico di medicina generale e centro di riferimento.
Una sottolineatura cui si è aggiunta la raccomandazione del dottor Ivan Gardini, presidente Epac, che a proposito del riconoscimento della PBC come malattia rara anche in Italia, ha evidenziato che è “una soluzione che consentirebbe l'accesso a una serie di benefici e semplificazioni, tra le quali il più rapido inserimento dei farmaci nei prontuari regionali, la disponibilità di risorse per la ricerca, i finanziamenti alle associazioni e alle reti di centri specialistici che devono essere formalizzati e ben mappati sul territorio”.
“Come associazione da sempre al fianco dei pazienti - le parole del presidente di AMAF, Davide Salvioni - desideriamo evidenziare con forza un aspetto: la diffusione capillare delle conoscenze sulla PBC. È un fattore chiave per permettere una maggiore equità di cura su tutto il territorio nazionale. Non possiamo accettare che la qualità dell'assistenza dipenda dalla regione o dalla struttura in cui ci si trova. Un'informazione capillare e aggiornata, rivolta sia ai professionisti sanitari che ai pazienti stessi, è fondamentale per una diagnosi precoce, un accesso tempestivo alle terapie e una gestione ottimale della malattia, ovunque ci si trovi in Italia. Questa iniziativa - ha concluso - segna un passo cruciale verso una sanità più inclusiva e responsiva. Ci auguriamo che il Manifesto sia un'occasione per un dialogo costruttivo e per azioni concrete che mettano sempre più al centro la persona con PBC”.
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