Talassemia: news su farmaci, terapie, sperimentazioni e qualità della vita
La talassemia è una malattia ereditaria del sangue ed è caratterizzata da un'anemia cronica dovuta alla sintesi ridotta o assente di una delle catene polipeptidiche (alfa o beta) presenti nella molecola dell’emoglobina, proteina responsabile del trasporto di ossigeno attraverso tutto l’organismo. Il nome “talassemia” deriva dal greco “thàlassa” (mare) e “haîma” (sangue), ed è stato scelto per via della grande diffusione di questa patologia nell’area del bacino del Mediterraneo. La malattia era tipicamente presente tra le popolazioni residenti nelle aree paludose o acquitrinose, infestate per secoli dalla malaria: la ragione di ciò risiede nel fatto che, nei talassemici, l'anomalia dei globuli rossi ostacola la riproduzione del plasmodio della malaria, rendendoli più resistenti a questa malattia e consentendo, negli anni, una sorta di selezione naturale delle persone con talassemia in determinate zone d’Italia, come la Sardegna o il delta del Po.
Il codice di esenzione della talassemia è RDG010 (afferisce al gruppo “Malattie del sangue e degli organi ematopoietici”).
La sezione Talassemia è realizzata grazie al contributo non condizionante di Chiesi Global Rare Diseases.
Esistono diverse forme di talassemia: quella più diffusa nel bacino del Mediterraneo è la beta talassemia (dovuta a ridotta o totale assenza delle sintesi di catene beta dell'emoglobina). In Italia, si stima che i pazienti talassemici siano circa 7.000, con concentrazione massima in alcune regioni del Centro-Sud: la regione più colpita è la Sicilia, in cui si contano 2.500 pazienti, seguita dalla Sardegna con 1.500; i restanti 3.000 pazienti sono abbastanza uniformemente distribuiti in tutta la Penisola, con una frequenza più alta fra Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Calabria.
La beta talassemia è una condizione di gravità molto variabile: si passa da una forma denominata talassemia minor, quasi sempre asintomatica, fino alla forma più grave, nota come talassemia major o malattia di Cooley, una condizione che comporta la dipendenza da trasfusione di sangue (talassemia trasfusione-dipendente). Inoltre, a seconda del tipo di mutazioni presenti nel gene beta globinico (ne esistono oltre 200), si distingue una forma beta0, in cui la sintesi delle catene beta dell’emoglobina è completamente assente, o una forma beta+, in cui la sintesi delle catene beta dell’emoglobina è ridotta, anche se la malattia rimane in molti casi trasfusione-dipendente. La beta talassemia si trasmette con modalità autosomica recessiva: in una coppia di genitori con mutazioni nel gene beta globinico, ogni figlio avrà il 25% di probabilità di essere sano, il 25% di probabilità di essere malato e il 50% di probabilità di essere portatore della malattia.
La diagnosi è basata sull'osservazione clinica e di solito si effettua a partire dai primi anni di vita, quando in un bambino si notino segni clinici di anemia grave, ritardo nella crescita, stanchezza e pallore. La conferma diagnostica si ottiene tramite analisi cliniche e biochimiche, sulla quantità e il tipo di catene globiniche presenti nel sangue (esame emocromocitometrico ed elettroforesi dell’emoglobina), accompagnate, poi, da test genetici. Conoscendo le mutazioni presenti nei genitori, è possibile effettuare una diagnosi prenatale mediante villocentesi.
L’unica terapia risolutiva per la beta talassemia è il trapianto di midollo osseo o di cellule staminali da donatori compatibili. Recenti studi hanno confermato che in assenza di un donatore familiare compatibile, o in età superiore ai 14 anni, i risultati di tale procedura possono non essere ottimali, accompagnandosi ad un discreto margine di rischio. Pertanto, anche in un Paese come l’Italia, in cui sono presenti numerosi pazienti, la limitata disponibilità di donatori compatibili, che si stima non superi il 30% dei casi, si preferisce ricorrere alla terapia palliativa basata su ripetute trasfusioni di sangue (ogni 15-20 giorni). In genere, il trattamento standard basato su trasfusioni viene avviato in tenera età, portato avanti per tutta la vita, e associato all’impiego di numerosi altri farmaci di supporto, tra cui, prima di tutto, i cosiddetti “agenti chelanti”. Questi ultimi sono necessari per evitare le numerose complicanze trasfusionali dovute all’accumulo di ferro, in particolare negli organi altamente irrorati, come fegato, cuore e ghiandole endocrine. Per la beta talassemia è stata approvata anche una terapia genica, attualmente non disponibile in Europa. Sono inoltre in corso sperimentazioni cliniche su una ulteriore terapia genica sperimentale per la beta-talassemia e l'anemia falciforme.
Per le coppie a rischio di avere un figlio affetto da talassemia arriva una nuova tecnica di diagnosi prenatale, la celocentesi, che permette di sapere, già dal 2° mese di gestazione, lo stato di salute del feto. Questo risultato è stato reso possibile dal connubio tra un’eccellenza della ricerca italiana, in particolare siciliana, e l’iniziativa di soggetti privati. Lo studio, effettuato all’Ospedale V. Cervello di Palermo da un’equipe guidata da Aurelio Maggio, direttore di Ematologia II, e svolto con la collaborazione del ginecologo greco George Makrydimas, è stato finanziato, infatti, dalla Fondazione Franco e Piera Cutino Onlus. La nuova tecnica è stata presentata oggi presso la sede romana della Regione Sicilia ed ha visto la partecipazione, oltre che degli autori dello studio, di due tra i maggiori esperti della malattia: Lucio Luzzatto, direttore scientifico dell’Istituto Toscano dei Tumori e Renzo Galanello, dell’Ospedale Microcitemie - Asl 8 di Cagliari. Alla conferenza, realizzata grazie al contributo incondizionato di Chiesi Farmaceutici, azienda italiana che da anni investe nella ricerca di nuove terapie e metodi diagnostici per la malattia, hanno preso parte Giuseppe Cutino, presidente della Fondazione Cutino che porta il nome della sorella, morta a causa della talassemia, l’assessore siciliano alla Sanità Massimo Russo e l’europarlamentare Rita Borsellino, in qualità di presidente onorario della Fondazione, oltre a una folta rappresentanza degli Ospedali Riuniti Villa Sofia – V. Cervello di Palermo, tra i quali anche il direttore generale Salvatore Di Rosa.
Il protocollo sperimentale è stato messo a punto all’Università di Cagliari e i risultati pubblicati su Bone Marrow Transplantation (BMT).
Attualmente per i malati di talassemia l’unica speranza di guarigione è il trapianto di midollo osseo, o più correttamente di cellule staminali ematopoietiche. Chi si sottopone a trapianto però corre un rischio: la malattia del trapianto contro l’ospite, in inglese Graft versus Host Disease o GVHD, la reazione avversa più diffusa e pericolosa. Oggi, grazie a una ricerca condotta da una equipe di ricercatori dell’Università di Cagliari è possibile scegliere il donatore più idoneo tenendo conto di un nuovo fattore predittivo di GVHD diminuendo il rischio di questa reazione. Secondo i risultati dello studio appena pubblicato su BMT, infatti, risulta che vi sia una maggiore possibilità di questa reazione avversa se il donatore è omozigote per l'aplotipo KIR di gruppo A – i geni KIR codificano per un sistema di recettori che modulano l’attività delle cellule Natural Killer, cellule linfocitarie implicate nella reazione immunitaria. Viceversa lo stato di eterozigote, e dunque con almeno la presenza di un aplotipo di tipo B riduce il rischio di GVHD.
Viene dall’Italia questa volta la notizia di nuovi passi avanti per la terapia genica di della talassemia, una delle malattie rare più presenti nel nostro paese. La notizia, riportata oggi dall’Agi, viene da uno studio effettuato al dal Policlinico San Matteo di Pavia dalla dottoressa Laura Salvaneschi in collaborazione con le istituzioni internazionali di ricerca: l'olandese Bmdw e il Saint Louis di Parigi, che da tempo portano avanti ricerche sull’impiego di staminali provenienti dal cordone ombelicale.
L'accumulo di ferro del pancreas è infatti correlato alle cardiopatie nei talassemici
“I risultati a cui siamo giunti con l’applicazione della nuova tecnologia T2, il cui studio è stato fortemente sostenuto anche dalla SITE è solo il primo passo di una serie importantissima di applicazioni. Il prossimo sarà utilizzare la nuova tecnologia per valutare gli accumuli di ferro nel Pancreas che, è dimostrato, sono correlati alle cardiopatie nei talassemici”. A dirlo è Paolo Cianciulli presidente della SITE – Società Italiana di Talassemie ed emoglobinopatie.
I risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista Haematologica, una delle maggiori del settore, e sono di quelli che capaci di far fare più di un sorriso ai malati di talassemia che ogni giorno si sottopongono alla necessaria terapia per tenere sotto controllo gli accumuli di ferro nel cuore, effetto collaterale delle necessarie trasfusioni. Uno studio tutto italiano ha infatti dimostrato la maggiore efficacia del deferiprone nel prevenire e rimuovere l’accumulo di ferro cardiaco, tra i tre farmaci chelanti del ferro ad oggi disponibili Visto che questo farmaco è disponibile anche in forma orale il vantaggio in termini di qualità della vita non è trascurabile considerato che la terapia per via sottocutanea con desferrioxamina viene somministrata indossando per più ore al giorno un ago con una sorta di ‘pompa’ che trasferisce il farmaco. “Le persone affette da talassemia major – spiega infatti il prof. Aurelio Maggio, direttore di Ematologia II presso l’azienda ospedaliera Riuniti Villa Sofia - V. Cervello di Palermo e tra i firmatari dello studio – cominciano le trasfusioni intorno ai 2 - 3 anni. Le trasfusioni vengono effettuate ogni 15 – 20 giorni e dopo le prime 20, dunque intorno ai 3 anni, si rende necessaria la terapia chelante”. Lo studio comparativo tra i tre farmaci chelanti in monoterapia è stato possibile grazie all’utilizzo della nuova tecnica diagnostica di RM denominata “multislice T2* (leggi Star)”, nell’ambito del Progetto Miot - Myocardial Iron Overload in Thalassemia presso l’U.O.C. di Risonanza Magnetica, diretta dal Dott. Massimo Lombardi, della Fondazione Gabriele Monasterio CNR/Regione Toscana per la Ricerca Medica e di Sanità Pubblica, con sede a Pisa.
La tecnica è stata messa a punto presso la U.O.C. di RM di Pisa della Fondazione G. Monasterio - CNR - Regione Toscana per la Ricerca Medica e di Sanità Pubblica ed è stata esportata in altri 7 centri universitari ed ospedalieri italiani: Ancona, Ferrara, Roma, Campobasso, Lamezia Terme, Catania e Palermo. In 4 anni sono stati esaminati con tecnica T2 star multislice più di 1.600 pazienti e i loro dati clinico-strumentali sono stati raccolti nel più ampio sistematico database a livello internazionale sulla talassemia
Per la maggior parte dei talassemici la sopravvivenza dipende da continue trasfusioni di sangue, una pratica indispensabile, ma con un importante effetto collaterale: l’accumulo di ferro a livello del cuore, potenzialmente mortale. Le complicanze cardiache infatti rimangono la prima causa di morte in questa popolazione. Fino a qualche anno fa l’entità dell’accumulo di ferro cardiaco non poteva essere misurata. Ora, grazie ad una tecnica innovativa di risonanza magnetica chiamata “T2* (leggi T2 star) multislice”, messa a punto nell’ambito del progetto MIOT - Myocardial Iron Overload in Thalassemia – promosso dalla Fondazione Gabriele Monasterio CNR-Regione Toscana, con sede a Pisa, si può invece avere una misura esatta e senza metodi invasivi. “Prima dell’arrivo di questa tecnologia - spiega la dottoressa Alessia Pepe dirigente medico della U.O.C. di Risonanza Magnetica del Monasterio, diretta dal dottor Massimo Lombardi - la misurazione dell’accumulo di ferro cardiaco si basava su indicatori poco specifici e sensibili e per i quali è stata ormai provata l’inefficacia ai fini di un’ accurata valutazione. In genere la terapia chelante veniva prescritta senza conoscere il reale carico di ferro a livello cardiaco, presupponendo che c’era verosimilmente un accumulo, ma senza sapere quanto. Era difficile personalizzare le terapie e i malati andavano ancora incontro frequentemente a scompensi cardiaci anche mortali. La diffusione di questa nuova tecnologia invece, l’unica che può quantificare l’accumulo di ferro su tutto il ventricolo sinistro semplicemente facendo una risonanza magnetica, consente di tagliare la terapia su misura del malato”.
L’aumento di persone provenienti dal Nord Africa e dal Sud Est asiatico che vivono nel nostro paese ha cambiato la geografia della talassemia in Italia. Se fino a poco tempo fa si poteva dire che la malattia fosse presente in Italia soprattutto in Sicilia, in Sardegna e in alcune zone dell’Emilia Romagna una volta interessate dalla presenza di paludi, per un totale di circa 7.000 casi di cui circa 5000 nella forma di Talassemia Mayor o malattia di Cooley, oggi le cose stanno cambiando. La soglia dei 7.000 pazienti è stata superata – anche se dare cifre esatte è molto difficile dato che ad oggi solo la Regione Sicilia ha attivato il registro regionale della talassemia – e la distribuzione sul territorio è cambiata. La notizia è stata data nel corso del VI Congresso della SITE - Società italiana talassemie ed emoglobinopatiesvoltosi a Milano dalla professoressa Maria Domenica Cappellini, direttore dell’Unità operativa di medicina interna del Policlinico di Milano che ha presieduto il congresso insieme al prof. Paolo Cianciulli, preside della società medica.
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