Uno studio italiano analizza i dati di 130 pazienti raccolti in 40 anni

PARMA - La malattia di Behçet è una rara patologia infiammatoria multisistemica, che comporta prevalentemente aneurismi e trombosi arteriose e venose, la cui origine è ignota. In circa il 10 per cento dei casi viene coinvolto anche il sistema nervoso centrale e si parla quindi della meno conosciuta neuro-Behçet, che può manifestarsi in meningoencefalite, perdita della coordinazione muscolare (atassia), demenza e atrofia ottica.

Nei bambini, la sindrome neuro-Behçet è di difficile diagnosi poiché i sintomi che coinvolgono il sistema nervoso non sempre compaiono fino all'età adulta e spesso si sovrappongono con altre patologie; sono pertanto necessarie tecniche radiologiche come la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica. Un nuovo studio, condotto dal dottor Paolo Mora e altri ricercatori dell'Istituto di Oftalmologia dell'Università di Parma e pubblicato su Orphanet Journal of Rare Diseases, ha analizzato gli aspetti neuro-oftalmici della patologia, riportando i dati di 130 pazienti raccolti negli ultimi 40 anni.

Come in altri studi, i dati della ricerca hanno confermato che la malattia colpisce tre volte di più i maschi delle femmine, con una distribuzione geografica precisa. In media gli episodi neurologici si sono manifestati all'età di 11,8 anni, precedendo, nel 36 per cento dei casi, gli altri sintomi. I principali sintomi a carico degli occhi sono stati papilledema, cioè il rigonfiamento della papilla ottica causato da una eccessiva pressione intracranica e uveite, cioè l'infiammazione dell'uvea, lo strato compreso tra sclera e retina. La terapia a base di steroidi sistemici, spesso combinata con la somministrazione di altri immunosoppressori come colchicina e azatioprina, ha permesso miglioramenti significativi o guarigione nella grande maggioranza dei casi, mentre 10 pazienti hanno subito danni permanenti.

“Basandosi sull'analisi dei dati e la nostra esperienza, la diagnosi ritardata e il conseguente ritardo nella terapia immunosoppressiva, possono favorire complicazioni permanenti, in particolare atrofia ottica”, concludono gli autori.


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