Per endocrinologi, medici nucleari ed esperti della tiroide la nube non è pericolosa

“Alla luce dell’imminente transito sull’Italia di una nube contente particelle radioattive scaturita dall’esplosione in Giappone, vogliamo rassicurare la popolazione che si trova nel nostro Paese sul fatto che, ad oggi, non esiste alcun rischio di contaminazione”. È quanto comunicano in una nota congiunta l’Associazione Medici Endocrinologi (AME), l’Associazione Italiana Medicina Nucleare (AIMN) e l’Associazione Italiana Tiroide (AIT). “Non è, quindi, raccomandata alcuna misura terapeutica o preventiva – proseguono - poiché il livello di radioattività è, infatti, estremamente basso e non eccede in maniera significativa la normale esposizione ambientale”.    
Tuttavia, alla luce delle continue notizie riguardanti l’esplosione della centrale nucleare giapponese a Fukushima, le 3 Società scientifiche ritengono opportuno fare alcune precisazioni.

Stabilire un'alleanza strategica tra gli operatori del settore finanziario italiano e le imprese italiane operanti nel settore biotecnologico, al fine di creare le condizioni per consentire un maggiore intervento finanziario nel capitale delle imprese biotech. Sono questi gli obiettivi dell'accordo siglato da Assobiotec, l'Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie e AIFI, l'Associazione italiana del private equity e venture capital. L'accordo dà il via a una collaborazione stabile tra le due organizzazioni e prevede, quale strumento operativo, la costituzione di una Commissione mista con rappresentanti delle due Associazioni.

Avreste avuto qualche cosa da dire o da condividere con altri relativamente alle malattie rare e non avete potuto farlo? Adesso, grazie ad un accordo tra la nostra testata e Ok Salute, avete un'opportuntà di dire la vostra. E’ stato infatti attivato, proprio questa mattina, un blog fisso, a cura del nostro direttore, dove potrete fare tutti i commenti e le osservazioni che vi sembrano opportune.

“Creatività, eccellenza, impegno: oggi qui abbiamo concentrato il meglio della ricerca italiana per la lotta alle malattie genetiche. Una squadra formidabile, che con i suoi risultati tiene alto il nome dell’Italia nel mondo”: ne è convinto il presidente della Fondazione Telethon Luca di Montezemolo, che nella sede della Provincia di Trento, ha aperto questa mattina i lavori della sedicesima edizione della Convention scientifica Telethon, che si terrà fino al 9 marzo presso il Palazzo dei congressi di Riva del Garda e vedrà la partecipazione di ben 670 scienziati provenienti da tutta Italia. “Ricercatori che Telethon ha scelto grazie a una selezione severissima e rigorosa -  sottolinea ancora Montezemolo -  perché è soltanto affidandosi ai migliori che si può arrivare al traguardo della cura”.

Il sistema potrebbe essere concorrenziale agli attuali comunicatori, che non sono nemmeno compresi nel nomenclatore degli ausili e delle protesi

Essere affetti dalla sindrome Locked In vuol dire anche non potersi esprimere verbalmente. I movimenti che rimangono a questi malati sono pochissimi, spesso solo quello degli occhi. Eppure con questa malattia si può vivere anche più di 10 anni e poter comunicare con gli altri diventa fondamentale, sia per mantenere la vita sociale che per poter esprimere bisogni e volontà. A volte gli ausili disponibili, posto che si riesca ad ottenerli, non si adattano al malato. Trovandosi esattamente in questa condizione Luigi Ferraro, presidente di Lisa Onlus, che per sua moglie li aveva provati tutti senza risultato, si è rimboccato le maniche e, con l’aiuto di un amico informatico, si è messa a lavorare ad un software in grado di adattarsi meglio alle esigenze dei malati Locked In. “Il lavoro è quasi terminato – racconta Ferraro – e a breve questo software, che in tutto ci sarà costato 500 euro, sarà disponibile sul nostro sito in open source, chiunque potrà provarlo e magari, chissà, riuscirà finalmente a trovare il sistema informatico che gli permetterà di esprimersi con facilità”. 

I tagli all’assistenza stanno avendo ripercussioni gravissime sulle famiglie. In Italia potrebbero esserci 600 casi ma sono difficili da trovare e i malati rischiano spesso una diagnosi errata

“In tanti anni che mi occupo di questa malattia, effettivamente, ho sentito pochissimi malati che avrebbero scelto l’eutanasia, anzi, quello che si percepisce tra loro è una grande voglia di vivere, soprattutto se c’è intorno la famiglia e l’assistenza domiciliare è adeguata. Secondo la mia esperienza i risultati della ricerca del prof Laureys sono attendibili”. Così Luigi Ferraro, presidente dell’associazione Lisa Onlus, un’associazione dedicata esclusivamente alle persone affette dalla Locked In Syndrome (LIS), e marito di una donna da anni colpita dalla forma totale della malattia, commenta la notizia pubblicata questa mattina su Osservatorio Malattie Rare. L’associazione è nata nel 2010 ma nasce di fatto da una costola dell’associazione ‘Gli Amici di Daniela’ fondata proprio da Ferraro nel 2007 e che si occupa, oltre che della LIS, anche di stato di coma, stato di minima coscienza e stato vegetativo persistente.    

I ricercatori suggeriscono che, prima di dare una morte dolce, si tenti di dare una vita migliore.

Essere chiusi dentro se stessi, prigionieri di un corpo incapace di muoversi e di parlare. Doversi esprimere, in maniera limitata, con i movimenti degli occhi mentre le capacità cognitive rimangono intatte. Tutto questo succede a chi è affetto dalla sindrome Locked in (LIS), una malattia che può insorgere in seguito ad una lesione pontina o, assai più raramente, per una emorragia o per un tumore. La morbilità e la mortalità sono elevate, tuttavia è possibile il recupero parziale; il paziente necessita comunque di una presa in carico molto specializzata che include una psicoterapia di sostegno oltre alla necessaria fisioterapia. Per chi è in salute può essere un pensiero insopportabile. Eppure, stando ad uno studio guidato dal prof  Steven Laureys del dipartimento di neurologia dell’Università di Liegi (Belgio) pubblicato on line su British Medical Journal, le persone affette dalla sindrome ‘Locked in’ non sarebbero poi così infelici come si potrebbe pensare e solo una piccolissima parte prende in considerazione la possibilità di porre fine alla propria vita.

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