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Come in Italia, dove più indagini rivelano i disagi delle famiglie e dei pazienti affetti dal malattie rare, anche in Inghilterra il quadro non è roseo. A darne un’idea è una ricerca compiuta tra i malati dall’Organizzazione Malattie Rare UK (RDUK). I problemi sono quelli che conosciamo anche noi, ritardi nella diagnosi e diagnosi errate, assistenza poco coordinata che obbliga a girare da un ospedale all’altro (uno su 4 dichiara di essere stato in almeno 3 o 4 cliniche), oltre alla mancanza di terapie. Il 46 per cento delle persone affette da malattie rare in Inghilterra ha dovuto attendere oltre un anno prima di ricevere la diagnosi definitiva, una percentuale identica ha ricevuto almeno una volta nella vita una diagnosi sbagliata. Ma poi ci sono anche quelli che hanno aspettato 5 o anche 10 anni prima di dare un nome al male che affliggeva se stessi o i propri figli. A dare notizia di questa ricerca inglese è l’ultima newsletter di Eurordis, in gran parte dedicata ai temi dell’assistenza poiché questo sarà il tema della ormai prossima giornata della malattie rare che si terrà il 28 febbraio 2011. Il rapporto si chiama “Esperienze di Malattie Rare: Uno Sguardo nella Vita dei Malati e delle loro Famiglie”, è il primo di questo tipo mai fatto in UK, ed è stato inviato dalla RDUK agli oltre 600 membri aderenti, in gran parte associazioni, che lo hanno sottoposto ai propri iscritti. Alla fine sono stati ricevuti 570 questionari che investono un totale di 119 patologie rare.

Crescono a ritmo veloce le pubblicazioni scientifiche relative a nuove e sempre più ampie e accurate metodologie di diagnosi prenatale che permetterebbero di scoprire eventuali malattie genetiche e cromosomiche. Spesso però si tratta di test in fase di sperimentazione, non ancora disponibili  e molto costosi. Nell’immediato, però, c’è qualche cosa di molto più semplice che i genitori in attesa di un figlio possono fare: sottoporsi ad una consulenza genetica. Come si procede e quali sono i vantaggi lo ha spiegato il Prof. Giuseppe Novelli, preside e direttore del Centro di Genetica Medica della Facoltà di Medicina dell’Università di Tor Vergata (Roma) in una intervista su Repubblica pubblicata lo scorso 25 gennaio.

La multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline (GSK) ha deciso di investire in Italia e non solo sullo stabilimento di Verona, già centro mondiale di eccellenza per la produzione di antibiotici. L’azienda ha infatti annunciato oggi, presentando il nuovo piano industriale, che sarà potenziato anche lo stabilimento di Parma, che produrrà anche per conto di altre multinazionali, mentre a Padova  sarà realizzato uno dei quattro centri europei di smistamento dei farmaci dell'azienda che assicurerà le forniture per l'Italia e l'Est-Europa. Un piano ambizioso che prevede che un impegno importante nell’ambito della ricerca e sviluppo di farmaci sulle malattie rare. L’azienda infatti ha recentemente siglato un accordo con Telethon per lo sviluppo di 7 nuove terapie per altrettante malattie rare: la leucodistrofia metacromatica, la sindrome di Wiskott-Aldrich, la beta talassemia, la leucodistrofia globoide, la mucopolisaccaridosi 1, la granulomatosi cronica e l’ADA-SCID, la malattia che vede l’Istituto San Raffaele Telethon all’avanguardia mondiale per la messa a punto della terapia genica.

Quando due ‘big’ della medicina pediatrica si uniscono, come è accaduto ieri con la firma di un accordo tra l’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze e il Children’s Hospital di Philadelphia c’è da aspettarsi importanti risultati. L’accordo prevede infatti l’avvio di una collaborazione negli ambiti dell’assistenza clinica e della ricerca scientifica.  L’intesa, siglata da Tommaso Langiano, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer e da Steven Altschuler, Direttore Generale (CEO) del Children’s Hospital of Philadelphia, instaura un rapporto di collaborazione a sostegno dell’eccellenza e dello sviluppo dei servizi sanitari pediatrici, della formazione e della ricerca scientifica. Nella fase iniziale della collaborazione particolare attenzione verrà posta alle aree della Chirurgia pediatrica e della Chirurgia endoscopica.

Non se ne conoscono le cause esatte, in Italia sono pochissimi i centri che se ne occupano e cure definitive, al momento, non ce ne sono. La sarcoidosi, una malattia sistemica che può colpire più organi, come se non bastasse, non è nemmeno compresa tra quelle esenti. Visite e cure sono a carico dei pazienti, che non raramente vanno all’estero: magari appena oltralpe, in Svizzera o in Belgio, alcuni anche negli Stati Uniti. All’estero la malattia sembra essere più ‘popolare’ che da noi e non mancano le associazioni di pazienti che se ne occupano in maniera specifica. Ce ne sono in Austria, Belgio, Francia, Germania e Regno Unito; in Italia no. Per essere più precisi l’unica che c’era, con sede in Sardegna, ha concluso la sua avventura nel 2009. Ora però le persone che soffrono di questa malattia sembrano aver ritrovato la forza di unirsi per provare a cambiare le cose.

Il dibattito intorno ai test prenatali sta crescendo. L’ultima polemica è quella nata sulle pagine del quotidiano ‘Avvenire’ tra due ematologi, il prof Licinio Contu, presidente dell’ADMO, l’associazione dei donatori di midollo osseo, e il Prof Aurelio Maggio, direttore dell’Ematologia II dell’Ospedale V. Cervello di Palermo. Maggio è a capo dell’equipe di ricercatori che, finanziata dalla Fondazione Franco e Piera Cutino Onlus, ha messo a punto un nuovo procedimento di diagnosi prenatale della talassemia: la celocentesi. Il principale punto della discordia è intorno al fatto che la celocentesi consente di avere i risultati entro il secondo mese di gravidanza. Ci sono varie implicazioni in questo. Per la coppia si tratta di un mese in meno di ansie, dal punto di vista della procedura la celocentesi è una tecnica meno invasiva che non prevede l’inserimento dell’ago nel pancione e che ha dimostrato risultati attendibili. Ma c’è un altro punto: in base a quanto dispone oggi la legge sull’aborto, avendo la diagnosi prima del terzo mese una coppia che decidesse di non proseguire la gravidanza potrebbe farlo ricorrendo all’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) e non all’aborto terapeutico.

La parola solidarietà nella provincia di Perugia non conosce crisi e va anzi in direzione opposta: nel 2010 c’è infatti stato un aumento della raccolta fondi del 26 per cento rispetto al 2009. Il dettagli delle donazioni raccolte è stato presentato lo scorso 5 gennaio, in un incontro alla Provincia di Perugia dal coordinatore BNL per Telethon, Paolo Gallina. L’occasione è stata l’estrazione dei biglietti vincenti della Lotteria per Telethon che ha visto circa 3.300 biglietti venduti per un ricavato di oltre 5.500 euro. I dati mostrano che in tutta l'Umbria complessivamente si sono raccolti 255.415 euro, di cui 203.508 nella sola provincia di Perugia: nel 2009 erano stati raccolti 161.355 euro.

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