La leucemia mieloide acuta (AML) è una forma tumorale maligna caratterizzata, oggi, da una prognosi favorevole quando la diagnosi è tempestiva. Sotto questo aspetto, però, è necessario fare ancora molta strada.
Attualmente, infatti, la diagnosi viene effettuata tramite rilevazione di tracce di specifici biomarkers, come quello WT1. Il problema è che i test attualmente utilizzati sono in grado di rilevare soltanto concentrazioni superiori al livello minimo di soglia. I rischi a cui si va incontro sono due: una diagnosi tardiva di malattia o una non diagnosi di malattia residua.
A breve, però, grazie ad un nuovo test ideato dalla Fondazione Don Carlo Gnocchi, con la collaborazione dell'oncoematologo dell’ospedale San Raffaele di Milano Fabio Ciceri, sarà possibile rilevare la presenza del biomarcatore WT1 anche a basse concentrazioni.
Come spiegato da Marzia Bedoni, collaboratrice di Furio Gramatica, responsabile della Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, grazie a questo test sarà possibile individuare la malattia residua e sarà possibile avviare nuove strade sia nella diagnosi che nella cura dei tumori.
Il test, grazie all'impiego di nanoparticelle che si legano e individuano le particelle di biomarker presenti sotto la soglia minima, verrà impiegato sia per ottenere una diagnosi precoce della AML (soprattutto in quegli individui che presentano familiarità alla malattia), sia durante la terapia per stabilirne l'efficacia e dopo la terapia per indagare la presenza di eventuali forme residue della malattia.
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