Il costo dell’aggiunta di questo test è irrisorio (un dollaro circa) se paragonato a ciò che può comportare. I risultati di uno studio made in USA
USA - Lo screening neonatale costituisce uno strumento indispensabile per migliorare la qualità di vita di molti bambini affetti da patologie rare, individuandoli alla nascita, prima che la malattia si manifesti clinicamente, e garantendo loro l’erogazione delle cure non appena necessario, prevenendo le terribili complicazioni che la malattia comporta. Oltre che per i pazienti e per le loro famiglie, un solido programma di screening neonatale rappresenta un vantaggio anche per il sistema sanitario, consentendo di ottimizzare i costi dei trattamenti e arginando le spese che devono essere sostenute per contrastare le conseguenze di una malattia che, nella grande maggioranza dei casi, risulta progressiva ed invalidante. Analogamente a quanto accade in ambito oncologico, per essere efficaci i programmi di screening neonatale devono fondarsi su precise linee guida riconducibili a tre punti nodali: la disponibilità di metodi diagnostici validi ed economici per individuare precocemente la malattia, la possibilità di confermare la diagnosi anche in associazione ad altre patologie e la certezza che un approccio terapeutico precoce possa migliorare l’outcome clinico della malattia.
La fattibilità di un programma di screening neonatale nella Fibrosi Cistica (CF) ha preso corpo già alla fine degli anni Settanta, con la messa a punto della metodica IRT (Tripsinogeno Immunoreattivo su goccia di sangue), ma solo nel 2002 in una conferenza congiunta di CDC (Centers for Disease Control and Prevention) e CFF (Cystic Fibrosis Foundation) è stata ufficializzata la raccomandazione di adottare programmi di screening neonatale per la CF, sottolineando l’importanza di ricorrere a trattamenti tempestivi. Questo ha permesso di concentrare le energie nella messa a punto di un percorso sempre più articolato che, grazie alla realizzazione di studi clinici mirati e all’identificazione della migliore metodica di screening, ha portato ad un sensibile incremento della qualità di vita del paziente, riducendo i periodi di ospedalizzazione e i costi per il paziente e garantendo i follow-up e le consulenze genetiche per i familiari in centri specializzati, finendo col fare di quello per la CF un modello di screening neonatale da applicare a molte altre patologie.
Su questa linea d’azione, un gruppo si studio americano ha effettuato un’analisi di vantaggi derivanti dall’inserimento in programmi di screening neonatale di malattie quali la Distrofia Muscolare di Duchenne, l’Atrofia Muscolare Spinale (SMA) e la Malattia di Pompe (AMD). La pubblicazione dei risultati su Annals of Neurology ha rivelato che la giustificazione all’inserimento di queste malattie in tali protocolli è sostanzialmente legata al miglioramento dell’outcome clinico dei pazienti: per la SMA e la AMD l’identificazione precoce dei pazienti affetti si traduce in un beneficio immediato, dal momento che i piccoli pazienti colpiti da queste malattie hanno gravi complicazioni respiratorie e nutrizionali che possono portare a morte già nel giro di due o tre anni. Nel caso della DMD, lo sviluppo di nuovi metodi diagnostici combinato ai buoni effetti documentati della terapia a base di corticosteroidi ha reso questa patologia un ottimo candidato per un programma di screening neonatale.
Gli autori dello studio hanno riportato gli incoraggianti risultati di un nuovo test che, prendendo a modello quanto già realizzato per la CF, combina la rilevazione dei livelli sierici di un marcatore (in questo caso al creatinchinasi, CK) con quelli di un saggio molecolare che valuta le alterazioni genetiche (nello specifico, di un gene localizzato sul cromosoma X). Il costo dell’aggiunta di questo test è irrisorio (un dollaro circa) se paragonato a ciò che può comportare: la terapia a base di corticosteroidi già intorno ai 2-4 anni di vita è associata ad un incremento della funzione motoria dei pazienti e ad un miglioramento dell’outcome clinico dopo i 14 anni di trattamento.
Dal 1976, anno in cui in Nuova Zelanda è stato avviato il primo programma di screening per la DMD, più di un milione di bambini sono stati sottoposti al test e, se si considera che la DMD ha un’incidenza di 1:5000, non è difficile immaginare il beneficio che può derivare dall’identificazione precoce della presenza di una malattia che ha un’aspettativa di vita che si aggira intorno ai 30 anni. Il programma di screening più esteso è stato realizzato in Galles ed ha visto la partecipazione di 335.045 bambini: a 63 di questi è stata diagnosticata la DMD. È bene ricordare che i trattamenti della DMD hanno costi elevatissimi (si arriva anche a mezzo milione di dollari) perciò il valore del test di screening neonatale ha un impatto duplice, sul paziente e sul sistema sanitario. In aggiunta a questo, gli autori concordano nell’evidenziare che lo screening neonatale consente non solo di identificare pazienti che possano beneficiare delle nuove terapie geniche, come osservato nel caso di SMA e DMD, ma anche quelli che possano avere accesso alle terapie esistenti, come nel caso dei corticosteroidi per la DMD e della terapia enzimatica sostitutiva per AMD.
Ad oggi, nel nostro paese lo screening neonatale risulta obbligatorio solo per fenilchetonuria, ipotiroidismo congenito e fibrosi cistica e, nonostante una consistente presenza di centri specializzati sparsi sul territorio, si percepisce la carenza di un punto di coordinamento forte, dal momento che ogni regione opera in maniera autonoma, con il risultato che lo screening per la fibrosi cistica non viene messo in atto in tutte le regioni.
Il cambiamento di rotta nella gestione di queste malattie è atteso già entro la fine dell’anno, con l’approvazione del disegno di legge firmato dalla senatrice Taverna che prevede un ampliamento del ventaglio di patologie rare (si arriverà a 40) da inserire nei programmi di screening ed un maggiore stanziamento di fondi per la copertura finanziaria.
Pertanto, per il controllo di malattie come DMD, SMA e AMD è possibile stilare un piano d’azione che, a partire dai risultati dello screening neonatale, preveda già dopo le prime settimane dalla conferma della diagnosi l’accesso a centri di cura e ricerca specializzati, dove si metta in atto un modello di gestione multidisciplinare della malattia in grado di coinvolgere specialisti di diversi settori clinici. La realizzazione di documenti di consenso e linee guida basate sull’esperienza diretta è fondamentale e deve partire dalle prime valutazioni di un intervento terapeutico precoce, reso possibile dalla creazione dei registri pazienti che documentino l’andamento e la risposta alla malattia.
Infine, la presenza di organi centralizzati di coordinamento economico dei centri di cura e del loro operato è un passaggio cruciale per definire la migliore gestione della malattia.
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