Uno studio spagnolo allarma la comunità scientifica: omeopatia e agopuntura rischiano di portare il paziente a sospendere le terapie.
Il morbo di Crohn è una malattia cronica autoimmune dell’intestino in cui il sistema immunitario aggredisce il tratto gastrointestinale provocando un’infiammazione severa. Gli effetti sono principalmente dolori addominali, diarrea, vomito, perdita di peso, artriti reumatoidi, infiammazioni oculari, stanchezza e mancanza di concentrazione.
Non esiste ancora una terapia farmacologica risolutiva o una terapia chirurgica eradicante la malattia di Crohn. Le possibilità di trattamento sono limitate al controllo dei sintomi, al mantenimento della remissione e alla prevenzione delle ricadute. Proprio per questo motivo pare che il 23 per cento dei malati abbia provato almeno una volta un rimedio alternativo, dall’omeopatia, all’agopuntura. Ben l’11 per cento dei pazienti ha abbandonando le terapie tradizionali, mettendo a rischio la possibilità di guarigione.
Questi dati sono emersi da del congresso della European Crohn's and Colitis Organization (Ecco). L'indagine ha coinvolto 705 pazienti con malattia di Crohn, colite ulcerosa o di altro tipo, che sono stati intervistati dai ricercatori dell’Ospedale Universitario di Santiago de Compostela. L’intervista mirava a capire quanto e quali medicine alternative siano diffuse. L'omeopatia è risultata al primo posto delle preferenze, dunque, seguita da agopuntura, kefir (bevanda fermentata a base di latte) e aloe vera. Il 74 per cento dei malati ha confessato di non aver tratto giovamento da questi tentativi. È la lunga durata della malattia e la prospettiva di non uscirne a spingere i pazienti a provare metodi alternativi e anche in Italia “alcuni sono spinti da questo desiderio comprensibile - spiega Salvo Leone, direttore di Amici onlus (Associazione per le malattie infiammatorie croniche dell'intestino) - ma dobbiamo dire che le terapie alternative non possono assolutamente sostituire quelle tradizionali, possono semmai essere un'integrazione, ma non si devono abbandonare le cure standard. Le terapie ci sono e funzionano e in caso contrario bisogna consultare il medico”.
In Italia risulta che “il 53 per cento dei pazienti esce dalla visita con lo specialista convinto di non aver detto qualcosa di importante. Al 25 per cento capita qualche volta, al 28 per cento di frequente. I tempi stretti della visita e i problemi di comunicazione legati alla natura di queste malattia portano spesso a non fare le domande che si volevano fare”.
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