Il mieloma multiplo (MM) è un tumore del midollo osseo, più frequente negli uomini che nelle donne, e si presenta nella larga maggioranza dei casi dopo i 60 anni. La malattia è causata dal danneggiamento del DNA di alcune plasmacellule, cellule immunitarie che hanno la funzione di produrre anticorpi e difenderci dalle infezioni. Le cellule del mieloma sono caratterizzate dalla produzione in eccesso di un anticorpo, noto come paraproteina o Componente M, che viene rilevato nel siero del paziente e facilita la diagnosi. Inoltre, viene prodotta anche una grande quantità di citochine, segnali dell’infiammazione, che possono interferire con la formazione delle altre cellule del sangue o con la sintesi di osteoclasti, le cellule dell’osso, innescando fragilità e fratture ossee tipiche di questa forma tumorale.

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La neuropatia periferica può essere rilevata dal 3 al 20% dei soggetti al momento della comparsa del mieloma multiplo e in una percentuale maggiore di pazienti durante il corso della malattia. Negli ultimi dieci anni, l’incidenza di neuropatia periferica nel mieloma multiplo e l’impatto di questa complicanza sulla qualità della vita dei pazienti è diventato un problema sempre più rilevante, a causa della diffusione dei nuovi agenti talidomide e bortezomib, che in genere inducono tossicità neurologica come uno dei loro maggiori effetti collaterali.

Secondo uno studio di fase III, i cui risultati sono stati pubblicati su Journal of Clinical Oncology, la somministrazione del farmaco melfalan ai pazienti affetti da mieloma multiplo che devono sottoporsi a trapianto autologo di cellule staminali sarebbe in grado di ridurre gli effetti provocati dalla chemioterapia, quali nausea e vomito. Inoltre sembrerebbe che, aggiungendo aprepitant al trattamento preventivo standard (granisetron e desametasone) si ottenga un miglioramento nella qualità della vita.

Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad importanti cambiamenti nel trattamento del mieloma multiplo. L'editoriale del New England Journal of Medicine, a firma di David Avigan e Jacalyn Rosenblatt, fa il punto della situazione, citando i due studi più recenti sulla malattia pubblicati nell’ultimo numero del giornale. "Questi due articoli – scrivono Avigan e Rosenblatt – migliorano considerevolmente la nostra comprensione della terapia per il mieloma e dei metodi per integrare al meglio i nuovi agenti per il trattamento della malattia". Ed entrambe le ricerche concordano nel ritenere preferibile la terapia continua.

Secondo i risultati dello studio multicentrico CHAMPION-1, presentati al congresso ASCO di Chicago, i pazienti affetti da mieloma multiplo recidivato o refrattario ai trattamentigodono di una significativa attività antitumorale se trattati, una volta alla settimana, con la combinazione carfilzomib (inibitore del proteasoma)- desametasone. Il trattamento è risultato sicuro.

Risultati incoraggianti anche dalla sperimentazione di un nuovo trattamento che combina lenalidomide e desametasone. Il commento del Prof. Antonio Palumbo, ematologo delle “Molinette” di Torino e coordinatore del progetto

TORINO – Nuove speranze per i pazienti affetti da mieloma multiplo. La novità più importante è per chi si sottopone a trapianto subito dopo la diagnosi: in questo caso la sopravvivenza raddoppia. Una scoperta strettamente collegata alla terapia farmacologica: un secondo studio rivela infatti che una combinazione di lenalidomide e desametasone si è dimostrata più efficace rispetto alla terapia standard.
In entrambi i casi è stato determinante il contributo del Prof. Antonio Palumbo, della Divisione di Ematologia dell’ospedale 'Molinette' di Torino. I due studi sono stati pubblicati il 4 settembre sul New England Journal of Medicine, la più prestigiosa rivista scientifica al mondo. "Il mieloma multiplo – spiega il Prof. Palumbo – è un tumore del midollo osseo che colpisce in particolar modo gli anziani: l’età media alla diagnosi è di 70 anni. In Italia, a causa dell’invecchiamento della popolazione, l’incidenza è arrivata a 10 casi su 100.000".

ROMA – A parità di efficacia fra somministrazione endovenosa e sottocutanea di bortezomib, quest’ultima è preferita dai pazienti con mieloma multiplo. Questa è la conclusione cui sono giunte le dottoresse Maria Teresa Petrucci, Paola Finsinger, Marta Chisini e Fabiana Gentilini del Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Per valutare l’effetto positivo sulla qualità di vita dei pazienti, le studiose hanno analizzato, in un articolo pubblicato sul giornale Patient Preference and Adherence i dati disponibili fino ad oggi, concernenti diverse strategie utilizzate per migliorare la tollerabilità del farmaco.

TORINO - Come per molte altre malattie, anche per il mieloma multiplo, tumore del midollo osseo che colpisce un tipo particolare di cellule del sistema immunitario (plasmacellule), uno degli obiettivi della ricerca è la terapia personalizzata. Al momento, il protocollo clinico viene scelto sulla base di alcuni parametri generali, come l'età del paziente e lo stadio della malattia, ma si sta lavorando per identificare altri fattori che permettano di indirizzare meglio la gestione dei pazienti, sulla base delle loro caratteristiche genetiche o immunitarie. Vanno in questa direzione i risultati di uno studio pubblicato su Hametologica da un gruppo di ricerca italiano coordinato da Paola Omedé, del laboratorio di citofluorimetria della Città della salute e della scienza di Torino: uno studio relativo all'impatto di alcune anomalie cromosomiche e dell'immunofenotipo sulla sopravvivenza di pazienti trattati con regimi terapeutici differenti.

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